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Educazione. La tragedia di Martina, la rabbia di Alessio: i nostri figli non cresciuti

Come è possibile che quelle che un tempo chiamavamo cotte adolescenziali, oggi siano diventate vicende da cronaca nera? Il copione dell’amore tossico ha raggiunto i piccoli…

Martina muore a 14 anni perché Alessio, da poco maggiorenne, non tollera che lei lo abbia lasciato. Erano ragazzo e ragazza. Poi non più. Ora Martina è morta. Alessio avrà davanti una vita fatta di carcere per un tempo che gli sembrerà infinito.
I femminicidi negli ultimi anni hanno rappresentato narrazioni quasi quotidiane, all’interno delle nostre vite. Ma quasi sempre si trattava di storie che riguardavano “cose da grandi”. Uomini adulti che uccidono donne con cui hanno acceso relazioni amorose che poi diventano prigioni e infine si trasformano in condanne a morte.

Oggi, sempre più spesso, veniamo a contatto con storie di femminicidi che hanno copioni completamente diversi. Perché i protagonisti sono giovanissimi. In alcuni casi si tratta di qualcuno che è appena uscito dalla scuola media.

Come è possibile che quelle che un tempo chiamavamo cotte adolescenziali, oggi siano diventate vicende da cronaca nera? Come è accaduto che ragazzi e ragazze che dovrebbero abitare il territorio dell’amore adolescenziale sognando il primo bacio, mandandosi biglietti teneri pieni di sogni e desiderio, sentendo battere il cuore nell’attesa di un cenno, di una risposta, di una corrispondenza affettiva, oggi si trovino a vivere amori che sono già impregnati della tossicità del peggiore amore tra adulti? Il tremendo delitto di Afragola contiene tutti gli ingredienti di una generazione che attraversa l’età evolutiva sperimentandosi in copioni adulti, pur essendo abitata da soggetti che sono ancora tremendamente piccoli e fragili.

I media ci raccontano che Alessio ha ucciso Martina con una pietra non riuscendo a regolare un impulso di rabbia associato, quasi certamente, al fatto che lei gli deve avere riconfermato che la loro coppia non si sarebbe mai ricongiunta. Solitamente la rabbia esplode in un moto incontrollabile e violento quando non sei capace di integrarla con il supporto dei pensieri. La persona emotivamente competente, sente un’emozione, la riconosce e invece di agirla, le fornisce significati e la trasforma in parola, in attesa, in strategie che rendono le relazioni luogo di rispetto e protezione. E non luogo di violenza ed aggressione. Imparare a sostituire la pulsione col pensiero è un compito complesso. E deve essere allenato attraverso l’educazione, la riflessione, la lentezza, la significazione, l’etica, la morale.

Non si può evitare alla propria mente di accendersi con un impulso infuocato, ma la si può dotare della capacità di non trasformare quell’impulso in un incendio che tutto distrugge. Per riuscirci si deve prima imparare a pensare e solo poi autorizzarsi all’azione. Ma oggi, i nostri figli agiscono tutto, in un tempo in cui la loro immaturità cognitiva – che è fisiologica a questa età – viene amplificata da un mondo che stimola, eccita, distrae e non spinge mai ad essere connessi con la propria interiorità. Interiorità che è desertificata anche dal vuoto spirituale e morale in cui cresciamo figli cui chiediamo di fare tutto in fretta e tutto bene oppure a cui non chiediamo nulla. Ma che poco e raramente invitiamo alla riflessione intorno alla questione etica che permea il loro agire e che dovrebbe portarli, prima di qualsiasi azione che può avere conseguenze tremende, a domandarsi se ciò che stanno per fare è bene o è male.

Spesso i ragazzi che agiscono azioni criminali e che poi si trovano – spalle al muro – a doverne rendere conto, piangendo ammettono di aver fatto ciò che hanno fatto senza pensare alle conseguenze, senza rendersi conto di quanto quella cosa fosse grave. Questo aspetto è ciò che la psicologa che intervista Jamie, preadolescente assassino della serie Tv “Adolescence”, constata nel dialogo con il ragazzo, interrogandolo sul senso della morte e cercando di capire se ha compreso perché il valore della vita è inestimabile.

In casi come questi, ci si accorge che ci sono ragazzi giovanissimi che fanno tutto, senza avere la capacità di costruire significati intorno a ciò che fanno. Oggi invochiamo giustamente che la scuola promuova educazione emotiva, affettiva, sessuale, di genere perché come adulti siamo terrorizzati che i nostri figli si trovino dentro a situazione in cui l’agito (ovvero l’azione mossa dalla pulsione) si sostituisca all’azione pensata e significata. Ma ciò che chiediamo alla scuola dobbiamo prima di tutto chiederlo a noi genitori. Siamo noi che dobbiamo far capire a un figlio cosa significa rispettare le proprie tappe di crescita, rallentare la velocità di un mondo che gli chiede di fare tutto in fretta, tutto troppo presto. Il delitto di Afragola non è solo la vicenda di un maschio incastrato nella trappola del patriarcato. Questa spiegazione è solo una parte del problema. L’altra parte sta scritta nella fragilità educativa che può trasformare una cotta adolescenziale in una tremenda vicenda criminale.

Fonte: Alberto Pellai | Avvenire.it

 

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