Alla ricerca di un criterio per scegliere chi votare alle elezioni
Capita che in procinto di un turno elettorale, molto frequenti in Italia, qualcuno mi chieda a chi ho intenzione di dare il mio voto.
Cerco sempre di rispondere spiegando come il mio voto non sia significativo, mentre è importante individuare un criterio con il quale scegliere chi votare, evitando il più possibile scelte “di pancia” cioè basate su simpatie occasionali, legate alla personalità dei candidati o al tema del momento, per esempio l’immigrazione oggi, piuttosto che la crisi economica o il tema sempre delicato dell’eccessiva imposizione fiscale.
Prima del 1989 non era così. C’erano le ideologie e i partiti di massa, si votava per compartimenti stagni, con poche variazioni di volta in volta, tanto che a ogni turno elettorale si osservava se i partiti (che erano sempre gli stessi) avevano incrementato o perduto pochi decimali. Anche lo spostamento dello 0,5% era considerato un successo o una sconfitta elettorale.
Oggi il problema è il criterio. Certo, presuppone avere una certa antropologia di riferimento, cioè una serie di principi fondamentali grazie ai quali fare la propria scelta elettorale. Però stupisce, come spesso anche chi dovrebbe avere questa antropologa di riferimento, poi non ne tenga conto. Vale per molti cattolici e anche per chi nonostante il clima culturale dominato dal relativismo, ha comunque alcuni punti di riferimento, come la centralità della famiglia o la sacralità della vita.
Provo a fare un esempio. Nel dibattito pre-elettorale delle prossime elezioni regionali in Liguria del 27/28 ottobre abbiamo letto sui giornali una frase del candidato di centro-destra Marco Bucci, che ha detto «Dobbiamo dare il messaggio sociale che chi fa figli contribuisce al successo della nostra società. Questa è una cosa importante fra di noi, vorrei che tutti quanti avessero fatto figli». A queste parole risponde il candidato di centro-sinistra Andrea Orlando: «Io non ho ricette contro la denatalità ma sono sicuro di una cosa: non si risolvono i problemi criminalizzando le persone che non hanno fatto figli perché non li hanno potuti avere». A queste affermazioni, riportate dal Corriere della Sera (16 ottobre) aggiungo la dichiarazione della deputata Ilaria Cavo, che mi sembra quella di maggiore buon senso: «Da donna senza figli non mi sono sentita colpita né mortificata dalle parole di Marco Bucci». E’ una caratteristica dei dibattiti quella di buttarla in rissa ogni volta che ci si trovi in difficoltà, in questo caso scambiare il contributo alla società delle coppie che hanno figli con la criminalizzazione degli altri.
Ma ho fatto questo esempio per indicare un criterio. Non sono ligure e non voterò alle prossime regionali della Liguria, ma queste dichiarazioni sono molto indicative dei due candidati, dei loro programmi, delle loro intenzioni. Sono un criterio, che permette una scelta consapevole, non basata su motivi “di pancia” o irrazionali.
Un caso analogo, ma nazionale, riguarda la recente votazione in Parlamento sull’utero in affitto. E’ un tema sul quale non ci dovrebbero essere incertezze. O sei per la dignità della vita del bambino e della madre, oppure sei contro, cioè sei a favore della mercificazione del corpo di una donna, per soldi o per altri motivi, sei favorevole al fatto che un bambino partorito da una donna venga affidato ed educato da chi lo ha comprato pagando un utero per ospitarlo.
Sono solo due esempi ma servono a comprendere il problema, cioè che in ogni frangente della vita, anche quella elettorale, bisogna scegliere avendo un criterio razionale, cioè una cultura antropologica di riferimento, senza la quale saremmo come dei bambini sperduti, delle “canne al vento”. Ma questa cultura è conseguenza di un lavoro di formazione, non nasce improvvisamente dal nulla.
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