Solito polverone sul caso che ha portato ai domiciliari il governatore ligure, accusato di «corruzione per l’esercizio della funzione». Per quel che si sa ora, a noi ricorda un’altra vicenda
Giovanni Toti, governatore della Liguria (foto Ansa)
È il solito déjà vu. A un mese dal voto per le Europee, esplode un caso giudiziario che, questa volta, riguarda il governatore della Liguria Giovanni Toti. Il plot è sempre lo stesso, nemmeno troppo originale: il triangolo politica-lusso-mafia in cui si mischiano fatti e sospetti che finiscono tutti nello stesso calderone, quello dell’accusa (che poi è quello che conta: “dare la botta”. Poi, il resto, cioè la versione della difesa, è un elemento che arriverà troppo tardi, quando la vicenda sarà passata in cavalleria).
Il caso Toti non sfugge alla regola aurea con cui si trattano le vicende politico-giudiziarie di questo paese: prima si sputtana, poi si capisce. Il copione è sempre lo stesso: intercettazioni che alludono a qualche losco affare, le escort, lo yacht, le fiches per giocare al casinò, il posto in spiaggia riservato «e altri benefit da film di Vanzina» (Facci sul Giornale) più l’immancabile riferimento a personaggi mafiosi o mafiosetti. C’è il politico, il faccendiere, il ricco imprenditore e le loro “mani” – inevitabilmente sporche – sul porto o su qualche supermercato. Cambiano i dettagli, non il canovaccio.
Di casi anche recenti di «presidenti di Regione indagati, sputtanati mediaticamente e poi assolti (da Pittella a Fontana, da Oliverio a De Luca, da Zingaretti a Bonaccini)», come ricordava ieri il Foglio, ne abbiamo già visti molti. In questo paese si può essere garantisti anche solo avendo un po’ di memoria storica. Sospetta è la tempistica, esagerata è la custodia cautelare che è stata eseguita cinque mesi dopo la richiesta della Procura, guarda caso nel momento in cui la campagna elettorale è entrata nella sua fase cruciale.
Contributi tramite bonifico
A meno che ci sia sfuggito qualche articolo, quasi nessuno ha notato un punto dirimente della questione. Tutti i giornali hanno riportato che Toti è «accusato di corruzione per l’esercizio della funzione e per atti contrari ai doveri d’ufficio». Per quel che se ne sa finora, in cosa consiste questa corruzione? Sull’Unità, Paolo Comi, dopo aver letto le quasi 700 pagine dell’ordinanza di custodia, elenca gli «atti contrari ai doveri d’ufficio» imputati a Toti che consisterebbero nell’aver accettato da alcuni imprenditori soldi erogati tramite bonifico bancario per partecipare ad una cena elettorale. In cambio di questi, il governatore avrebbe agevolato alcune pratiche di loro interesse.
Nota l’Unità:
«A parte la singolarità dovuta al fatto che tali contributi sono stati effettuati tramite bonifico bancario, non risultano allo stato indagati nessuno dei componenti della giunta della Regione Liguria o del Comitato di gestione dell’Autorità di sistema portuale del Mar Ligure occidentale che avrebbero eventualmente dato corso alle illecite autorizzazioni in cambio dei fondi ricevuti da Toti. Segno, evidentemente, che le stesse erano regolari e che Toti ha fatto semplicemente il politico, ascoltando le istanze di quelli che potrebbero aiutarlo in campagna elettorale».
Vi ricorda qualcosa? A noi sì, e anche all’Unità, che prosegue:
«Questa vicenda ad un mese delle elezioni Europee, fa tornare alla mente quanto accadde al presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni».
In quel caso,
«Formigoni venne ritenuto l’unico responsabile di corruzione nell’indagine della Fondazione Maugeri di Pavia, pur essendo i provvedimenti adottati da tutti i componenti del Pirellone».
Non c’è scampo per nessuno
Ciò che fu considerato innovativo nella sentenza Formigoni – è tutto spiegato qui – fu che «si può essere incriminati per avere asservito l’esercizio della funzione pubblica a un corruttore “a prescindere dal fatto che tale esercizio assuma carattere legittimo o illegittimo e, quindi, senza che sia necessario accertare l’esistenza di un nesso tra la dazione indebita e uno specifico atto dell’ufficio”».
Volgarizzando in maniera estrema: il fatto che un imprenditore abbia dato dei soldi – non importa se in maniera trasparente – a un politico e che questi – non importa se legittimamente – abbia fatto qualcosa che lo abbia favorito, questo è reato di asservimento della funzione. Non importa nemmeno che quell’atto (gli ospedali per Formigoni, il porto per Toti) sia risultato, ex post, coincidente con l’interesse pubblico e cioè che si possa dimostrare che la decisione politica aveva una sua ragione concreta e positiva per tutti e non solo per il presunto beneficiato. Non importa nulla. Se uno sostiene un politico è un corruttore e il politico un corrotto. Basta dimostrare che abbia fruito di una qualche “utilità” (ecco la parola tanto magica quanto fumosa)
Sintetizza, infatti, l’Unità: «Se un politico cerca i voti e le sponsorizzazioni per le campagne elettorali deve essere arrestato». Capite anche voi che, se è così, non c’è scampo per nessuno. Lo spiegava bene ieri al Corriere il deputato Giuseppe Bicchielli (Noi Moderati):
«Bisogna lasciare da parte l’ipocrisia che ha portato all’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti. La politica costa e ha bisogno di risorse. Se l’accettare finanziamenti leciti e dichiarati può comportare il rischio di
finire in un’inchiesta giudiziaria nessuno sarà più disponibile ad aiutare i partiti. È un problema democratico».
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