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Azzurra: non c’è Amore più grande che dare la vita. E se questo non è Bene…

Ancora un passo indietro: la cultura woke si infastidisce se si parla pubblicamente di azioni buone.

Leggo oggi una notizia di cronaca del 16 aprile 2024 che mi arreca tristezza ma, al contempo, spira un soffio di speranza nel mio arido cuore.

Una giovane donna si ammala per un tumore al seno. Il nodulo si rivela un tumore maligno. Iniziano le cure. Dopo qualche anno la giovane si accorge di essere incinta. A un controllo compiuto qualche mese dopo scopre che il cancro si è ripresentato. Decide di interrompere la terapia chemioterapica fino alla nascita del bambino, che viene anticipata a 32 settimane al fine di poterla riprendere al più presto. La giovane muore a 33 anni quando il bimbo compie 8 mesi.

Percorro le righe successive dell’articolo e rimango stupefatto. L’articolista – tale Loredana Lipperini – dopo aver narrato brevemente il fatto, scrive: “Quello che sarebbe bello e giusto e rispettoso fare è evitare la parola sacrificio e non trasformare una storia di vita e di morte in un monumento all’amore materno. Sarebbe bello e giusto che parlassero le persone che amavano Azzurra Carnelos e che sono state da lei amate. Tocca precisarlo, perché troppe volte, in casi analoghi, è scattata la reazione militante che contrappone la sventurata, ingiusta morte di una giovane donna al cinismo di chi interrompe la gravidanza”[1].

E soggiunge, riferendo la circostanza che la notizia era stata riportata su un quotidiano on line accanto a un’inchiesta sulle coppie di giovani che decidono di non essere genitori, che: “Probabilmente in modo inconsapevole, si contrapponevano così bene e male, altruismo ed egoismo: quando, in ogni caso, si tratta di decidere della propria vita, o anche, se così è stato, della propria morte, perché la parola autodeterminazione non dovrebbe essere vuota, e dovrebbe valere sempre, anche quando ci appare scomoda, anche quando ci fa paura o vorremmo usarla per i nostri fini”[2].

Poiché la cronista invita, al termine dello scritto, a dare la parola alle “persone che amavano Azzurra e che sono state da lei amate”[3], nonché a “stringersi a chi ha dovuto dire addio a una giovane donna, liberarli dal peso della retorica altrui, spesso in pessima fede, piangere una vita giovane che si spegne”[4], cerco anch’io, come posso, di partecipare al cordoglio di coloro che le hanno voluto bene.

Trovo allora su un altro quotidiano le parole del marito da cui apprendo che:la prima preoccupazione [di Azzurra] era di non poter diventare mamma[5]. L’uomo soggiunge che alla scoperta di aspettare un bambino, Azzurra dichiarava: “Sono fortunata, ho tanto amore intorno[6] e che durante la gravidanza: “L’unico pensiero di Azzurra era il bambino che stava crescendo dentro di lei: stringeva i denti e sorrideva[7].

Il 2 agosto nasce il piccolo Antonio: il nome venne dato come omaggio a Sant’Antonio da Padova, di cui la giovane era devota.

Mi piace anche leggere le parole della mamma di Azzurra: “Francesco è sempre stato al suo fianco quando la malattia si è riacutizzata, ha lasciato il lavoro per stare al suo fianco, accompagnarla allo Iov (Istituto Oncologico Veneto) per le terapie e riportarla a casa, dispensando forza ed energia[8]. E il marito conclude: “Mi diceva di sentirsi fortunata ad avere tanto amore intorno quando era lei il nostro esempio d’amore”[9].

Leggo dal salmo: “Exsultáte, iusti in Dómino: rectos decet collaudátio”[10]. Anch’io voglio partecipare all’esultanza nella lode per le azioni buone di Azzurra e dei suoi familiari.

Mi domando perché la cronista de La Stampa voglia che si eviti di parlare di sacrificio e che tema si trasformi una storia di vita e di morte in un monumento all’amore materno; perché voglia che non si contrappongano, anche soltanto implicitamente, bene e male, altruismo ed egoismo.

Per la giornalista il motivo sta probabilmente nel fatto che: “la parola autodeterminazione non dovrebbe essere vuota, e dovrebbe valere sempre, anche quando ci appare scomoda, anche quando ci fa paura o vorremmo usarla per i nostri fini”[11].

Non concordo che il concetto di autodeterminazione debba cancellare la distinzione tra bene e male. Né mi sembra giusto e opportuno che gli esempi di vita e di azioni buone debbano essere censurati per evitare discriminazioni con esempi di vita e di azioni che non appaiono congrue con l’amore alla vita e al desiderio buono di maternità.

Fonte: Mauro Ronco | Centro Studi Livatino.it

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