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L’ideologia woke: il frutto maturo del relativismo occidentale

Qual è l’origine storica della deriva ideologica politicalcorrettista o woke, che da decenni ha conquistato l’egemonia tra le classi dirigenti occidentali, traducendosi in un fanatismo ideologico neo-puritano, fatto di processi e pubbliche umiliazioni per chiunque nell’agone pubblico non faccia atto di sottomissione all’ortodossia dottrinale dell’anti-discriminazionismo? Qual è l’essenza concettuale della violenza intimidatrice che scomunica ogni pensiero e parola ritenuto “offensivo” verso categorie arbitrariamente designate come privilegiate e meritevoli di risarcimento a tempo indefinito, e si traduce anche in un giudizio implacabile sulla storia passata, sfociando nella furia divorante e iconoclasta della cancel culture, nella condanna implacabile dei figli sui quali ricadono in eterno le colpe dei padri?

Nel suo articolo, Sergio Belardinelli individua giustamente il nodo storico-culturale fondamentale dell’avvento di tale ferrea egemonia, e la forza principale della sua tendenza inesorabilmente autoritaria, nel relativismo radicale, cioè nella perdita di fiducia e di interesse nella verità, connessa alle dinamiche socio-economiche e culturali proprie dell’Occidente maturo: quello in cui accanto alla crescita della qualità della vita materiale portate dal mercato e dal welfare delle “società opulente” si afferma un sentire diffuso “decostruzionista” e negatore delle fondamenta etico-politiche e filosofiche stesse della civiltà occidentale.

Citando Christopher Lasch, Belardinelli definisce questo nuovo mainstream come “cultura del narcisismo”, e ne individua l’esito ultimo e più pericoloso in quello che egli chiama “emotivismo identitario”: nella tendenza, cioè, a un iper-soggettivismo fondato sulla rappresentazione arbitraria del sé all’interno di una “bolla” (tendenza accentuata dall’avvento della società della comunicazione digitale e dei social media) e al rifiuto di argomentare razionalmente tra il proprio punto di vista e quello altrui, rifugiandosi nel potere della “narrazione” che identifica bene e male secondo criteri manichei e vittimistici.

Ciò detto, sulla ricostruzione che Belardinelli compie del problema, e dunque del vicolo cieco in cui le società occidentali si sono cacciate, aleggia un interrogativo che nel suo scritto non appare ricevere una risposta adeguata alla sua gravità. Dove, e con quale metodo, va ricercata quella verità che dovrebbe a suo avviso rappresentare la bussola comune del dibattito pubblico in quelle società, per uscire dall’emotivismo identitario? Si tratta di una domanda la cui risposta esige anche un’adeguata spiegazione del motivo per cui il relativismo delle élites si riveli non uno scetticismo latitudinario, ma al contrario un furibondo fanatismo para-religioso, intollerante, persecutorio.

È qui che l’argomentazione di Belardinelli sembra oscillare, cedere a un atteggiamento quasi di ambigua equidistanza tra l’ideologia woke e i suoi oppositori, all’idea che all’intolleranza persecutoria dei primi corrisponderebbero specularmente i “discorsi d’odio” dei secondi, le cui posizioni sono invece assai diverse tra loro e non riassumibili in uno stereotipo.

Il punto fondamentale, a mio avviso, è che per la civiltà occidentale la verità che dovrebbe orientare la dialettica politica e civile non è soltanto un obiettivo tendenziale a cui avvicinarsi per approssimazione, attraverso un pluralismo inteso come “procedura”, metodo della conoscenza, secondo una traccia “socratica” del razionalismo che giunge fino all’idea di società aperta di Karl Popper. Quel metodo dialogico della concordia discors intersoggettiva di cui la ricerca scientifica e la democrazia liberale sono espressioni non sarebbe nemmeno immaginabile se non vi fosse, alla sua radice, un logos comune che ne è l’origine storica, che lo ha reso possibile, e che ne incarna il fine. Questo logos comune è l’articolo di fede ebraico, e poi cristiano, secondo cui l’essere umano, ogni essere umano, è stato creato da Dio a Sua immagine e somiglianza, fine ultimo della Creazione, e in quanto tale è dotato di ragione, in grado di comprendere la verità e di scegliere il bene, unico, prezioso, meritevole di essere salvaguardato dagli abusi di qualsiasi potere, quindi dotato di diritti inalienabili.

Senza l’adesione condivisa a tale fondamento umanistico che guarda al trascendente, completato per i cristiani dall’incarnazione di Cristo che redime la natura umana e ogni individuo una volta per sempre, il modello di società occidentale fondato sui diritti umani, sulle libertà individuali, sulla democrazia, sulla limitazione del potere viene meno, così come viene meno ogni possibilità di garantire il dialogo nel dibattito pubblico attraverso l’argomentazione razionale.

Il relativismo radicale che dilaga nelle élites occidentali contemporanee, e che sfocia nell’emotivismo identitario, è allora da classificare innanzitutto come rifiuto dell’umanesimo ebraico-cristiano, rifiuto del fondamento inevitabilmente trascendente della razionalità, libertà e dignità umana: è l’Occidente che rifiuta se stesso e si vuole distruggere, come avviene proprio nel fenomeno della cancel culture.

La torsione “irreligiosa” della modernità europea, come Augusto Del Noce aveva ben visto, sfocia inevitabilmente, attraverso l’ideologia come religione secolarizzata, nel nichilismo. Ma il nichilismo è a sua volta una religione, e una religione molto più fanatica, intollerante e persecutoria di qualsiasi culto che guarda al trascendente, perché nessuna civiltà può vivere senza un fondamento religioso, e la classe dirigente della nostra, ampiamente scristianizzata, cerca di votarsi a un nuovo culto, più assoluto, tirannico ed esclusivo, che è appunto il culto dell’identità intesa come auto-rappresentazione soggettiva illimitata, imposta attraverso la retorica emotiva della “narrazione” unica e perseguita dai miti del transumanesimo/postumanesimo.

Combattere le derive fanatiche del “wokismo” e della cancel culture significa dunque, molto semplicemente, difendere il fondamento religioso ebraico-cristiano della società contro chi lo nega e vuole sradicarlo. Non basta difendere il pluralismo e il dialogo, se questo non si legittima nell’origine divina dell’umano, e quindi nella sua assoluta centralità come essere razionale e libero, aperto alla verità. Se non si traduce nella lotta senza equivoci alle varie teste dell’idra woke: nel riaffermare le radici ebraico-cristiane dell’Occidente contro i miti del multiculturalismo; nel riaffermare l’antropocentrismo contro l’antiumanesimo dell’ambientalismo apocalittico e del decrescitismo; nel riaffermare il fondamento naturale della famiglia e della società contro l’agenda Lgbt/genderista.

Combattere il relativismo significa stare dalla parte di chi difende l’identità fondativa dell’Occidente, di chi cerca di ricongiungerlo alle proprie radici, contro chi vorrebbe dissolverlo in un melting pot indistinto in cui esso sarebbe ben presto colonizzato e divorato da civiltà al contrario più solidamente incentrate intorno ai propri originari principi ispiratori.

Fonte: Eugenio Capozzi | Lisandermag.substack.com

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