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“La nuova guerra mondiale”: da Platone a Kiev, come capire il caos

Nel saggio “La nuova guerra mondiale” Leonardo Tirabassi offre una prospettiva inedita per pensare la guerra in Ucraina come conflitto in vista di un nuovo ordine

Si è detto e prodotto molto e tentato anche troppo di analizzare la guerra da quando è ricomparsa sul suolo europeo, sicché il vero ha iniziato a sfumare nel verosimile, il falso nel plausibile. Leonardo Tirabassi, penna del Sussidiario, è autore di La nuova guerra mondiale (goWare, 2023) e ha il pregio di sgombrare il campo per ripartire, con metodo e rigore, da un nodo centrale, oggi e sempre: quando il successo militare diventa successo politico? Dopo Bakhmut, che è stata una “vittoria della Wagner e del suo discusso capo”, si sarebbe potuto fermare la guerra per adottare una soluzione simile al “congelamento coreano”. Perché non è stato così? Perché l’attesa controffensiva ucraina sembra contraddire il paradigma di von Clausewitz secondo il quale le operazioni belliche dovrebbero essere coperte da una “leggera zona d’ombra”? Non è il caso di aggiungere ulteriori dubbi. Quel che è certo è che Tirabassi conosce bene il generale prussiano: da lì attinge e riparte.

E non è facile districarsi, anche perché la questione ucraina è ben lungi da una facile composizione. Sicuramente, nota fin da subito Tirabassi, la guerra ha già attivato un cortocircuito globale che può essere il prodromo di uno scontro, o di più scontri, per l’egemonia. E forse, proprio per combattere un “rivale sistemico” o, come ha scritto su Le Grand Continent Zhang Weiwei, uno “Stato-civilizzazione” quale è la Cina, occorra proseguire nel lento logoramento della Russia, così da impedire la temutissima saldatura “euroasiatica”? Forse. Fatto è che il limes atlantico, caduto il Muro, è stato spostato verso Mosca di oltre 2mila chilometri. È pur vero che “gli altri” non sono rimasti spettatori passivi. Né la Russia, né la Cina. Insomma, la guerra sul suolo europeo ha una natura globale, come ha notato Giulio Sapelli nella sua introduzione al libro. È così fin dalla Guerra di successione austriaca (1740-1748), una guerra già mondiale che attivò altri conflitti costringendo le potenze a schierarsi e a confrontarsi tra di loro fino alla costruzione di un ordine globale, guidato dalla talassocrazia anglosassone.

L’autore appunta le critiche sulla debolezza congenita dell’edificio europeo che si è ritrovato con il nemico alle porte ma senza un esercito proprio, precondizione per rivendicare un’esistenza politica, e deve appaltare completamente la sua difesa alla Nato, e sulla via della deindustrializzazione, spettro che, nota sempre Tirabassi, spinge Francia e Germania a cercare di mantenere in vita un asse privilegiato con Pechino. L’autore rileva, inoltre, come il baricentro si stia spostando sempre più verso la Polonia, baluardo a Est della Nato, insieme alla Romania, e “primo retrovia ucraino”. Sono “Paesi simili per popolazione e territorio”, ha ricordato l’ex primo ministro Petre Roman sulla rivista turca Transatlantic Policy Quarterly: uno protegge il Mar Baltico, l’altro il Mar Nero, grazie ai missili nel porto di Costanza (essenziale per il corridoio del grano), entrambi ospitano gli F35.

Tuttavia, la Polonia, memore delle spartizioni subite per colpa dei due totalitarismi speculari nel Novecento, coltiva ambizioni di rivincita fin quasi ad accarezzare l’idea di “confederarsi” con l’Ucraina – già accoglie oltre 1 milione di profughi – riprendendo l’esempio dell’Unione Polacco-Lituana, un modello politico non a caso studiato anche dai Padri fondatori statunitensi. Brzezinski dedica intere pagine del suo La grande scacchiera (1997) proprio alla Polonia. Ciò che rende ancor più prezioso il mosaico di analisi di La nuova guerra mondiale è ripartire dal ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan nel 2021 come punto di partenza del caos. Ritiro tanto “caotico” quanto efficientissimo grazie alla logistica, si precisa dettagliatamente nel testo. In filigrana, emerge un nodo problematico della guerra su cui Tirabassi si confronta ma che è da sempre un nodo della filosofia occidentale, da Platone, che prova a distinguere pòlemos e stàsis, ovvero di guerra legittima contro un nemico esterno e di guerra intestina, fino a sant’Agostino.

Come “normalizzare” la guerra riconducendola a un ordine che non porti all’annichilimento dei contendenti? Cos’è una guerra giusta? Gli scontri tra Stati stanno aumentando ma avvengono sempre dentro una cornice di “capitalismo politico” globale, da cui nessuno stato può disconnettersi. Bisognerà leggere Tirabassi e anche un po’ di più Aresu (c’è un suo saggio nel nuovo numero di leSfide) che, unico in Italia, legge lo scontro Usa-Cina aggiungendovi la dinamica, complessa e sfuggente, del “capitalismo politico”. Forse, come fu dopo Vestfalia, potrebbe nascere un nuovo ordine basato sull’inevitabilità del conflitto e sull’impedire al conflitto di debordare. È questa la lezione ucraina? Forse, ammesso che tutto si possa ancora regolare.

Fonte: Lorenzo SOMIGLI | IlSussidiario.net

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