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L’identità di genere e il fantasma del transumanesimo

Si atteggiano a epigoni di Martin Luther King e della sua disobbedienza civile perché per anni hanno registrato all’anagrafe i figli di coppie omogenitoriali come se fossero veramente figli della coppia in barba alle leggi e alla verità delle cose, come i 300 sindaci riuniti a Torino; sfottono gongolanti coloro che non si rassegnano alla designificazione della parola “matrimonio” agitando metaforicamente sotto il loro naso la foto dei due carabinieri maschi “sposi” ai quali rende omaggio un picchetto d’onore di commilitoni, come Massimo Gramellini, piemontese falso cortese; sventolano sul palco dell’Eurofestival la bandiera arcobaleno, che in Italia era un simbolo del movimento pacifista, col piglio del dissidente che sfida Putin o l’ayatollah Khamenei rischiando la propria libertà e la propria vita, come Marco Mengoni (mentre a rischiare la morte civile sarebbe in realtà un cantante che criticasse pubblicamente lo sventolìo).

Come stanno le cose

I corifei dei cosiddetti nuovi diritti civili hanno la buona coscienza di chi si sente in sintonia con la marcia della storia, di chi crede hegelianamente che tutto ciò che è reale è razionale, di chi ha ripreso in mano la fiaccola dell’illuminismo per illuminare la strada verso un nuovo umanesimo, più coraggioso e includente di quelli precedenti.

Ma le cose stanno esattamente all’opposto: la nuova genitorialità, le nuove famiglie, la glorificazione delle transizioni sessuali e della fluidità sessuale, i matrimoni “egualitari”, le gestazioni per altri, ecc. non disegnano i confini di un nuovo umanesimo; rappresentano, al contrario, i passaggi sociali necessari alla realizzazione del transumano, sono le grandi pietre che lastricano la via che conduce al mondo post-umano, quello dove gli attori della storia sono esseri ibridi, mescolanza di carne e protesi tecnologiche, che attraverso molte evoluzioni e metamorfosi trasformano l’uomo finalmente e completamente in una macchina.

La questione dell’utero in affitto

In particolare l’utero in affitto è una pratica introduttiva al transumano. Lo diceva, quasi un inciso in un discorso che trattava del femminismo, Marina Terragni qualche sera fa a Milano, alla presentazione del libro di Eugenia Roccella Una famiglia radicale.

Giornalista e scrittrice efficacissima, Marina Terragni è una femminista di sinistra agnostica. L’intelligenza e l’amara ironia di una femminista radicale come lei contrastano singolarmente con il rincoglionimento sentimentalista e/o calabraghista su questi temi sempre più di casa nel mondo cattolico.

Ormai capita di imbattersi addirittura in ciellini che si dichiarano pubblicamente (sui social) favorevoli alle adozioni omogenitoriali, o che sostengono che dovrebbero essere i cattolici stessi a cavare giuridicamente le castagne dal fuoco alle coppie che hanno fatto ricorso all’utero in affitto all’estero e a proporre forme di matrimonio civile omosessuale.

Incominciamo a giudicare

Non è un caso che alla presentazione di un libro brillante e commovente come Una famiglia radicale non fosse presente più di un centinaio di persone. Il racconto biografico firmato dal ministro per la Famiglia è la storia di una bambina, poi ragazza, cresciuta nell’ambiente fortemente anticlericale dei fondatori del Partito Radicale, che coltiva di nascosto la fascinazione per il cristianesimo e alla fine si converte nel momento più tragico della sua vita. Una donna che poi sarà portavoce del Family Day del 2007, che avrà sempre il coraggio di dirsi femminista ma contraria all’idea che l’aborto sia un diritto, o che i rapporti affettivi fra persone dello stesso sesso abbiano bisogno della sanzione di legge dell’unione civile o del “matrimonio”.

In altri momenti una figura come questa e un libro genuino come Una famiglia radicale avrebbero suscitato ben altre attenzioni nel mondo cattolico o almeno in quello dei movimenti cattolici. Non oggi, in piena bassa marea intimista e imborghesita della fede. Dove tanti ripetono le parole di don Luigi Giussani, «Incominciamo a giudicare: è l’inizio della liberazione. Il recupero dell’esistenziale profondo, che permette questa liberazione, non può evitare la fatica di andare controcorrente», senza trarne tutte le conseguenze.

Identità di genere e transumanesimo

Perciò per sentirsi spiegare la verità delle cose bisogna leggere quello che scrivono le femministe della sinistra radicale, come Jennifer Bilek: «Perché questi cambiamenti catapultati nelle culture occidentali, promossi da grandi capitali e governi? Questo fantasma ha un nome: transumanesimo. (…) Tutti i tentacoli dei cambiamenti che trasformano la società, operati in nome del genere, nascono da questo fantasma, da questa cosa che ci rifiutiamo di nominare e affrontare. (…) Noi, come esseri umani, siamo sessualmente dimorfici e l’”identità di genere” sta decostruendo il sesso. L’”identità di genere” ha molte diverse declinazioni, ma la maggior parte di noi guarda i particolari e non vede l’insieme. Dobbiamo guardare quello che l’”identità di genere” produce, più che quello che significa. Distrugge il sesso come categoria significativa e sta letteralmente desessualizzando bambini e giovani. Questo è il punto. È così che viene utilizzata da coloro che forzano la cultura per normalizzare la dissociazione dalla nostra realtà sessuata. L’accettazione del “desexing” del corpo umano è oggetto di investimento di miliardari del settore farmaceutico e tecnologico (…). Le leggi vengono rapidamente adattate in molti paesi contemporaneamente, aiutate dalle Ong Lgbt e dalle organizzazioni “transgender”, per apportare modifiche legali che consentano la depatologizzazione della disincarnazione. (…) L’unica cosa chiara è che la gente viene preparata a enormi cambiamenti dell’umanità e che le leggi vengono cambiate per supportare i cambiamenti in arrivo. Questa evoluzione forzata della nostra specie è alle porte. Dobbiamo capire che l’identità di genere è una facciata per normalizzare il desexing della nostra specie in direzione di una fusione con la tecnologia ben più complessa di quanto abbiamo visto finora. Dobbiamo avere il coraggio di affrontare il transumanesimo nel bel mezzo del salotto dell’“identità di genere” o rischiamo di venire cambiati per sempre».

Un po’ di domande

La Bilek chiarisce perfettamente i termini della questione, e nell’articolo in versione integrale (The Transhumanism in the Middle of the “Gender Identity” Living Room nel blog The 11th Hour; esiste una traduzione italiana realizzata da Marina Terragni per Feminist Post col titolo “Identità di genere, porta d’ingresso al transumanesimo”) illustra anche i motivi, solo accennati nella citazione qui sopra, per cui il transumanesimo sta avanzando nelle legislazioni e nei fatti.

Se il dibattito fra sostenitori dell’identità di genere, ideologia dominante nel movimento politico Lgbtq, e i loro avversari realisti, che difendono l’identità sessuata dell’essere umano, si combattesse soltanto con argomenti ragionevoli, noi realisti dovremmo avere il sopravvento semplicemente ponendo domande scomode.

  • Se c’è matrimonio dove c’è amore, se l’amore è l’unica condizione dell’istituzionalizzazione nuziale del rapporto, perché la cosa dovrebbe essere limitata a coppie di due persone?
  • Perché non ammettere al matrimonio e ai suoi diritti legali anche i rapporti poligamici, le relazioni poliamorose, o le semplici solide amicizie senza risvolti sessuali?
  • Se il dimorfismo sessuale non è più condizione necessaria per il matrimonio, perché dovrebbe esserlo il numero dei contraenti o il fatto che conducano o no certe attività sotto le lenzuola?

Stesso discorso per l’”omogenitorialità”.

  • Se ci sono genitori là dove c’è amore per il bambino, indipendentemente dal loro sesso, perché escludere dalla genitorialità gli insiemi diversi da quelli composti da due unità?
  • Perché una comune, un kibbutz, una comunità monastica, una setta, un villaggio o un quartiere non potrebbero accedere a una genitorialità riconosciuta per legge?
  • Perché mamma Stato non dovrebbe poter svolgere il ruolo di amorevole genitore di una vasta prole?
  • Perché papà Stato non dovrebbe poter esercitare l’autorità intrisa d’amore di un padre sui cittadini-figli?
  • Disforia di genere: perché se mente e corpo non sono in sintonia a rimetterci dovrebbe per forza essere sempre il corpo?
  • Perché mutilare un corpo, introdurre nello stesso sostanze estranee alla sua natura biologica, dovrebbero essere le uniche soluzioni al problema?
  • Perché la medicina non dedica maggiori sforzi a pratiche che aiutino a riconciliare la mente col corpo?

Turbocapitalismo

In tanti anni di discussioni, non ho mai avuto risposte a queste domande.

Nel frattempo opinioni pubbliche occidentali, soprattutto a livello giovanile, e sistemi legislativi scivolavano lentamente ma irresistibilmente sulle posizioni dell’identità di genere. La spiegazione sta nell’evoluzione del capitalismo. Grande finanza e turbocapitalisti ragionano in termini di profitto, e il dimorfismo sessuale è una realtà che oppone resistenza alla logica della massimizzazione del profitto. L’identità di genere, e il suo discorso che fa politicamente appello ai diritti attraverso il movimento Lgbtq, svolge il ruolo della giustificazione ideologica del sistema di potere dominato dalla grande finanza, dai Gafam e dagli altri turbocapitalisti, che attraverso il loro strapotere finanziario condizionano e infine dominano le opinioni pubbliche.

L’identità di genere è la sovrastruttura che ha il compito di giustificare la struttura rappresentata dall’economia politica. La Bilek fa un po’ di nomi. Ricordiamoci sempre che quella gente finanzia le campagne elettorali dei partiti e dei candidati presidenti, in America e nel mondo. Ed esercitiamo la facoltà del giudizio.

Fonte: Rodolfo Casadei | Tempi.it

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