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La lenta, incessante ritirata dei moderati

Ci sono due fenomeni che il mondo digitale non riesce a misurare come meriterebbero. Il primo è l’attività della cosiddetta «maggioranza silente». Cioè, quel gran numero di persone che non lascia nessuna traccia della propria presenza social. Gente che non mette mai un «mi piace» o una faccina, non lascia commenti e non condivide post. Apparentemente non fa nulla. Di più: apparentemente non esiste. Poi, ogni tanto, incontri un conoscente che ti dice: «Ti leggo sempre». Non sta barando per piaggeria, fa davvero così: legge e basta. In questo modo sfugge a qualunque analisi. Il secondo fenomeno è ancora più importante. E riguarda quella che potremmo definire la lenta ma inevitabile ritirata dei moderati. Non esistono dati certi, ma credo sia iniziata durante la seconda fase della pandemia. Quando dopo mesi di «andrà tutto bene», di incontri in video, di abbracci e baci virtuali, di applausi al personale sanitario, le persone hanno iniziato a tirare fuori tutta la rabbia, la paura e la frustrazione che avevano accumulato.
Così, piano piano, le nostre bacheche si sono riempite di post sempre più aggressivi. Tutti (o quasi) all’improvviso sapevano tutto di tutto. Di virologia come di diritto. E siccome i social premiano gli estremi, alcuni hanno avuto e hanno anche un discreto successo. Il che li ha spinti e li spinge a urlare di più. E pazienza se alcuni di stanno semplicemente confermando di essere affetti da quella distorsione cognitiva denominata «effetto Dunning-Kruger», a causa della quale «individui poco esperti e competenti in un campo tendono a sopravvalutare le proprie abilità autovalutandosi a torto esperti in materia». Ognuno di noi ne ha incontrati a decine. Anche nella versione indicata dal corollario di questa distorsione cognitiva: «Gli incompetenti si dimostrano estremamente supponenti».
Insomma, ad un certo punto non solo è diventato estremamente difficile portare a termine quella che il filosofo Bruno Mastroianni chiama «la disputa felice» ma anche soltanto non essere attaccati con violenza anche solo per avere postato articoli tratti da giornali seri.
Faremmo un grave errore, però, se limitassimo tutto questo alle discussioni sui vaccini. Perché questa ondata, questa brutta moda, questo pessimo modo di relazionarsi online con gli altri ormai riguarda tutto. Che si tratti dello sport come della politica, della Chiesa come di un fatto di attualità sembra diventato difficilissimo se non impossibile un confronto civile. Si salvano in parte solo coloro che hanno un discreto numero di fan, pronti a difenderli dagli attacchi. Ma gli altri, tanti altri, hanno via via smesso di partecipare. Per evitare di spendere energie a rispondere a persone che non hanno alcuna intenzione di dialogare, hanno smesso di rispondere e poi di esprimersi. Spesso non commentano nemmeno più i post degli amici, limitandosi al massimo a dei generici «mi piace». È la lenta incessante ritirata social delle persone moderate. Di chi ama il confronto ma non sopporta lo scontro. E così si «astiene». Chi resiste spesso sceglie altre strade e condivide storie e momenti personali: la laurea di un figlio o di un nipote, l’anniversario di matrimonio, il ricordo di una gita, un momento di svago o il dolore di un lutto. Ogni post di questo tipo raccoglie giustamente l’affetto degli amici. E i social sembrano sempre di più tanti diari personali. Anche così, però, la circolazione delle idee e il pensiero moderato rischiano di sparire.

Fonte: Gino RANCILIO | Avvenire.it

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