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il delitto di Lecce: «Frutto di un’Italia senza più morale»

lo psichiatra e scrittore Paolo Crepet : «C’è un filo nero che lega questa vicenda all’omicidio di Willy a Colleferro. La brutalità e il fatto che spesso, in famiglia e in società, la violenza è minimizzata o tollerata». Il movente? «Lo so è che è inquietante ma a volte non c’è, si uccide senza motivo»

«Il delitto di Lecce purtroppo non mi sorprende affatto. Mi chiedo che cosa abbiamo fatto, come società civile, come famiglie, perché non accadesse? La risposta è niente. Siamo tutti uniti nella lotta per non essere educatori, questa è la verità». È l’opinione dello psichiatra e sociologo Paolo Crepet sulla svolta dell’omicidio di Daniele De Santis ed Eleonora Manta, ammazzati a coltellate il 21 settembre scorso e per il quale, la notte scorsa, è stato fermato Antonio De Marco, 21 anni, studente universitario in Scienze infermieristiche e tirocinante all’ospedale Vito Fazzi del capoluogo salentino. «L’azione è stata realizzata con spietatezza e totale assenza di ogni sentimento di pietà verso il prossimo», ha scritto il pm nel provvedimento di fermo, «nonostante le ripetute invocazioni a fermarsi urlate dalle vittime l’indagato proseguiva nell’azione meticolosamente programmata inseguendole per casa, raggiungendole all’esterno senza mai fermarsi».

Crepet, attento indagatore del mondo giovanile che ha appena dato alle stampe il libro Vulnerabili (Mondadori), è tranchant: «Questo caso è una metafora della violenza inaudita che c’è tra i giovani e che non sempre si traduce in un delitto efferato ma si esprime in atti quotidiani, sotterranei, pervicaci, che distruggono l’altro».

Il movente, come ha detto il procuratore capo di Lecce, è il vero buco nero di questa vicenda. Forse una vendetta nei confronti di Daniele ed Eleonora, ex coinquilini di De Marco.

«Lo ripeto da anni sia agli inquirenti che a voi giornalisti, non c’è sempre un movente. La criminologia classica lo prevede per ogni omicidio ma a volte non c’è o, magari, è sfumato, poco chiaro, incerto, una spinta ad agire dove si mescolano tante cose: impotenza, gelosia, invidia. Questo è uno di quei casi».

Si ammazza senza un motivo?

«A volte sì, purtroppo. C’è una recrudescenza della violenza giovanile legata a una questione che noi non prendiamo sufficientemente in considerazione: l’indifferenza, che è la totale assenza di amore. Il contrario dell’amore non è l’odio ma l’indifferenza. C’è un filo nero che lega questo caso a quello di Colleferro».

Qual è?

«Anzitutto l’efferatezza dell’omicidio: qui oltre sessanta coltellate per ammazzare Daniele ed Eleonora, lì un ragazzo inerme, Willy, massacrato fino a distruggergli il fegato e i polmoni. Ci vuole un’indifferenza abissale per compiere tutto questo. E poi l’aspetto sociale: i due ragazzi di Colleferro frequentavano delle ragazze, erano ben visti dalla loro cerchia sociale e di amici. Da padre e da cittadino mi chiedo: che cosa c’è che fa sì che una persona palesemente violenta sia poi così appetibile, benvoluta, addirittura riverita? Se ci fosse un anticorpo sociale contro la violenza queste persone sarebbero isolate, invece non lo sono».

Riguarda anche il presunto omicida di Lecce?

«Della personalità di questo ragazzo sappiamo poco ma una persona che arriva a compiere un delitto del genere ha dimostrato la sua violenza in altre sedi e in altri modi».

Non la fa riflettere l’età? 21 anni.

«Nel bene e nel male abbiamo anticipato tutto, anche la vita di relazione, sessuale, affettiva che adesso comincia a 13-14 anni. A 21 si è già “adulti” per fare certe cose, sentirsi padroni del mondo, onnipotenti, compiere atti di bullismo ma si è “non adulti” per farne altre, ed essere, totalmente involuti dal punto di vista dell’assunzione della responsabilità».

Se avesse l’opportunità di averlo di fronte, che cosa gli direbbe?

«Gli chiederei se è consapevole che trascorrerà i prossimi quarant’anni della sua vita in galera. Dalla risposta capirei molte cose».

Lei insiste molto sul contesto familiare di questi omicidi.

«Sì, perché c’è un problema educativo gigantesco. C’è un’immagine iconica del massacro del Circeo del 1975 ed è quella in cui i carabinieri videro una grande quantità d’acqua fuoriuscire da una villetta della zona. Bussarono alla porta e trovarono la madre di uni dei tre assassini che stava lavando accuratamente il pavimento per cancellare le tracce di sangue. Ecco l’origine del male perché quel gesto, ancorché fatto da una madre, simbolicamente rende umano e comprensibile quel delitto. Quasi normale. Bisogna rompere la complicità tra genitori e figli violenti, se non riusciamo a fare questo è inutile».

Ma quella era la madre dell’assassino.

«Una madre che non si era messa nei panni della madre della vittima della violenza di suo figlio. Purtroppo questa tolleranza in famiglia c’è anche nei casi di bullismo».

In che senso?

«Il bullo, come mi capita di vedere nei casi di cui mi occupo, sempre più spesso è tollerato dai genitori e anche dalla fidanzata. Le dirò di più, spesso è innescato dalla compagna che ha accanto e gli dice: “Quello mi ha guardata in un certo modo, merita una lezione”. Anche nei casi di violenza sulle donne, in famiglia si tende a dire: “Se è un po’ violento è perché è geloso e ti ama”. No, non è così. I genitori dovrebbero dire alle figlie: “Se è violento, scappa subito”. Non c’entrano nulla l’amore e la gelosia con la violenza».

C’è una tendenza ad assolvere?

«Sì, quando una società smette di condannare cessa di essere autorevole. Non si tratta di mettere in galera le persone e buttare la chiave, si tratta di prendere consapevolezza che il male va espiato e non va tollerato. Non è possibile, ad esempio, chiedere e ottenere un patteggiamento per un omicidio».

Nel suo ultimo libro, Vulnerabili, riflette su quello che abbiamo imparato dalla pandemia e sui nostri comportamenti. Com’è stato quello dei giovani in questi mesi?

«Pessimo ma la colpa non è soltanto loro».

E di chi?

«Le famiglie sono state totalmente assenti. Hanno dato il via libera a viaggi, vacanze, divertimento dei figli senza alcuna precauzione perché “poverini, sono stati due mesi chiusi in casa”. Quindi a luglio e agosto dovevano fare baldoria con le mascherine lasciate in albergo. Questo è successo in Italia e all’estero perché nel non essere educatori siamo tutti uguali. Doveva essere un’estate diversa e non lo è stata, per far guadagnare il settore delle discoteche e non solo. L’irresponsabilità dei nostri comportamenti potrebbe farci precipitare in un nuovo lockdown che sarebbe un disastro per tutti».

Fonte: FamigliaCristiana.it

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