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«Mi hanno arrestato per intimidire tutta la popolazione di Hong Kong»
— 2 Marzo 2020— pubblicato da Redazione. —
Parla a tempi.it Lee Cheuk-yan, leader del movimento democratico di Hong Kong (che partecipò al nostro convegno a Milano), arrestato venerdì dalla polizia: «Le accuse sono ridicole. Ci privano dei nostri diritti»
«Non sono affatto sorpreso. Dall’inizio delle proteste sono già state arrestate più di 7.000 persone. Avendo partecipato a decine di marce non autorizzate, temo che il futuro mi riserverà molte altre brutte sorprese». Parla così a tempi.it Lee Cheuk-yan, vicepresidente del Partito laburista di Hong Kong e segretario generale dell’Alleanza di Hong Kong a sostegno dei movimenti patriottici e democratici in Cina. La polizia si è presentata venerdì mattina a casa di Lee per arrestarlo con l’accusa di aver preso parte a una marcia non autorizzata il 31 agosto.
«IL GOVERNO VUOLE INTIMIDIRE LA POPOLAZIONE»
Dopo essere stato portato alla stazione di polizia, Lee è stato liberato su cauzione. «Il mio processo inizierà a maggio», confessa il leader democratico che a novembre ha partecipato a Milano al convegno organizzato da Tempi dal titolo: “La libertà è la mia patria. Da Piazza Tienanmen a Hong Kong” (qui è possibile rivedere la sua testimonianza). «Questo arresto è una vendetta e rappresenta una minaccia per tutti gli abitanti di Hong Kong: anche se manifesti pacificamente, puoi essere arrestato. Ovviamente è ridicolo: è la polizia che ha vietato illegalmente decine di manifestazioni, privando la popolazione del suo diritto di riunirsi in assemblea. Ora il governo mi arresta per intimidire le persone e sperare che così si riduca il numero dei partecipanti alle prossime proteste».
Insieme al testimone oculare della strage di Piazza Tienanmen, venerdì la polizia di Hong Kong ha arrestato anche Jimmy Lai, proprietario del giornale pro-democrazia Apple Daily, e l’ex presidente del Partito democratico Yeung Sum, che ha dichiarato: «Se abbiamo partecipato alla marcia del 31 agosto è perché pensavamo che il diritto di protestare fosse uno dei diritti fondamentali di Hong Kong». Rischiano tutti fino a tre anni di carcere.
LE PROTESTE NON SI FERMANO
Quel 31 agosto migliaia di persone scesero in piazza per protestare contro la legge sull’estradizione che il governo di Carrie Lam stava cercando di approvare. La legge che avrebbe permesso alla Cina di condurre una campagna repressiva senza precedenti a Hong Kong ha scatenato le più grandi proteste di piazza della storia della città autonoma. Il 9 giugno sono scese in strada un milione di persone, cioè il 15 per cento della popolazione, il 16 giugno oltre due milioni.
Centinaia di marce, autorizzate e non, sconvolgono Hong Kong ormai da otto mesi, con i manifestanti che continuano a chiedere al governo di liberare gli arrestati, condurre un’indagine indipendente sulle violenze della polizia, smettere di definire “sommosse” le proteste e garantire piena democrazia, come previsto dalla Costituzione di Hong Kong, alla città.
LA CINA RIALZA LA TESTA
Ora che l’attenzione internazionale su Hong Kong è scemata soprattutto a causa del coronavirus, il governo torna all’attacco e cerca di mettere alla sbarra i leader democratici della città. Oltre a Lee, Lai e Yeung, erano stati infatti arrestati per aver partecipato alla medesima manifestazione del 31 agosto anche altri attivisti noti nel panorama del movimento democratico: Joshua Wong, Agnes Chow, Au Nok-hin, Jeremy Tam e Cheng Chung-tai.
Anche Pechino ha approfittato della debole copertura mediatica per comminare una durissima condanna a 10 anni di carcere a Gui Minhai, uno dei cinque librai di Hong Kong rapiti nel 2015. La condanna di Gui, come spiegato da un altro dei librai rapiti, Lam Wing-kee, non è altro che un avvertimento: «Vogliono usare il processo a Gui per avvertire tutti gli altri di non fare nulla che le autorità cinesi possano ritenere inaccettabile. Vogliono anche inviare un altro messaggio: non allenteremo il controllo su Hong Kong». La battaglia per la libertà di Hong Kong è tutt’altro che finita.
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