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Chiara Castellani: solo lo sviluppo renderà l’Africa davvero libera

Medico missionario di 71 anni, vive da 26 anni nella Repubblica democratica del Congo. Nel libro Savana on the road racconta i viaggi in motocicletta con un amico infermiere per curare gli ammalati di Aids

«Non credo nell’emergenza, credo nello sviluppo. Per porre le basi di una libertà futura».

Dopo tanti anni d’Africa — e dopo tante fatiche, molti passi avanti e qualcuno indietro — Chiara Castellani, medico missionario di 71 anni, non ha perso la grinta e la fiducia di sempre. Che si fondano certamente su una fede rocciosa. Solo così si può spiegare il coraggio e la tenacia di questa donna minuta e all’apparenza fragile, che, con la sua protesi al braccio destro — perso in seguito a un incidente in ambulanza sulle piste dell’Africa — si definisce: «Un passero con un’ala sola».

Eppure non si è mai arresa e ancora oggi continua a portare avanti le sue battaglie non solo per la salute, ma per la giustizia, l’uguaglianza, l’istruzione, la convivenza pacifica. E, appunto, per la libertà. Concetti che attualmente, in Repubblica Democratica del Congo, dove vive da 26 anni, sembrano mere chimere. Una volta di più, dopo le stragi del passato che l’hanno toccata anche molto da vicino, il Paese è in bilico, sull’orlo di una crisi politica che rischia di degenerare in nuovi scontri e violenze.

Chiara è perfettamente lucida e cosciente di questa situazione. È un’analista acuta e implacabile dei mali che devastano il suo Paese d’adozione, ma anche dei molti e spregiudicati interessi economici internazionali che destabilizzano e depredano quella regione. Quando, però, parla della sua gente, allora torna nel suo sguardo lo scintillio di un’“altra” Africa: «il luogo della mia anima e della mia famiglia allargata». Lo dice anche nel suo nuovo libro, Savana on the road, scritto a quattro mani con l’amica giornalista Mariapia Bonanate (vedi box). Un viaggio, reale e simbolico, nel cuore del Congo, tra molte difficoltà e imprevisti, ma sempre in mezzo a «gente meravigliosa, con la quale continuiamo a sognare di costruire un futuro di pace, giustizia e amore».

IL SOGNO: ESSERE MEDICO IN MISSIONE

Sono gli stessi ideali che, giovanissima e fresca di laurea in medicina ottenuta a 26 anni, avevano spinto Chiara a partire per il Nicaragua. «Avevo una specializzazione in ginecologia e ostetricia. Mi sono ritrovata a fare il chirurgo di guerra». Era il 1983 e il Nicaragua era appena finito nelle mani dei sandinisti. «Ho passato più tempo in sala operatoria che in sala parto», ammette Chiara, che in quegli anni ha salvato molte vite, mantenendo però un’attenzione sempre vigile anche per le giovani partorienti che avevano bisogno del suo aiuto. Doctora Clarita — così la chiamavano — resta in Nicaragua sino al 1989. Poi, dopo un passaggio in Honduras, si trasferisce in Repubblica Democratica del Congo (allora ancora Zaire) con l’Associazione italiana amici di Raoul Follereau (Aifo), per mettersi a servizio della diocesi di Kenge. È il suo sogno di diventare missionaria in Africa che finalmente si realizza. La situazione sul posto, però, è tutt’altro che facile. Chiara deve occuparsi dell’ospedale di Kimbau, un presidio sanitario rinato dai ruderi di un edificio coloniale belga. E attorno, nella savana, di 22 centri sanitari. È il solo medico per una popolazione di circa 150 mila abitanti.

Come se non bastassero queste difficoltà, i gravi disordini che scoppiano nel Paese costringono Chiara a rientrare in Italia. Ma torna appena possibile e di nuovo ha a che fare con la guerra. Nel 1997, l’avanzata di Laurent Désiré Kabila provoca un’orrenda strage di 300 persone a Kenge. «Ancora una volta», ricorda «constatavo con orrore come la guerra si combattesse sempre e ovunque sulla pelle dei più poveri, nell’indifferenza di tutti».

Chiara è rimasta a Kimbau sino al 2010, continuando a garantire una presenza piuttosto assidua sino al 2013 per seguire alcuni progetti nutrizionali e di lotta alla malaria e all’Aids. E proprio la battaglia contro l’Hiv è stata tra quelle che l’hanno impegnata maggiormente, ma anche che le hanno dato le maggiori soddisfazioni. Una di questa ha il nome, il volto e il coraggio di Kikobo: «Il mio progetto più riuscito!», dice Chiara: «Con i suoi successi universitari, quelli nell’insegnamento e nella professione, e anche con il suo impegno in politica, mi ha dimostrato che di Aids non si muore».

All’inizio non la pensava esattamente così. Né lei, né lo stesso Kikobo. Erano i tempi in cui l’Aids era ancora la maladie des blancs (la malattia dei bianchi). Una malattia subdola e devastante, ma anche invisibile e misteriosa. Legata alla vita sessuale e ai molti tabù che la circondano. «Un problema culturale, oltre che sanitario», ricorda Chiara che, come molti altri in Africa, aveva enormi difficoltà a reperire i farmaci antiretrovirali, ancora coperti da brevetto ed estremamente costosi.

«Lottammo insieme», dice Chiara, «per ottenere quel farmaco che veniva negato a Kikobo come a molti altri da una logica crudele per cui il denaro è più importante della persona». Non solo sono riusciti a ottenere i farmaci, ma Kikobo è diventato il primo sieropositivo a ottenere un diploma universitario a Kenge e il primo a candidarsi alle elezioni politiche in tutto il Congo. «Anche con l’Aids si ha il diritto di sognare. E Kikobo ha continuato a sognare ostinatamente, ogni giorno, la sua guarigione».

USCIRE DALLE LOGICHE DELL’EMERGENZA

L’esperienza con Kikobo — e con molti altri — è stata una grande lezione anche per una donna con l’esperienza di Chiara: «Mi ha insegnato che il miglior investimento che si possa fare, quando si redigono progetti di sviluppo in Africa, è quello sulla persona umana».

Ed è proprio quello che sta facendo attualmente e in maniera più strutturata in veste di responsabile dell’Ufficio delle opere missionarie mediche della diocesi di Kenge, che coordina il lavoro di 38 strutture, compresa una scuola infermieri.

«Dobbiamo uscire dalle logiche dell’emergenza, anche se dal punto di vista della cooperazione sono quelle che permettono di accedere a maggiori fondi. Ma è solo lavorando per lo sviluppo che si creeranno le basi per dare un futuro a questo Paese e alla sua popolazione».

Sviluppo significa soprattutto formazione. «Stiamo facendo un grande lavoro di riqualificazione del personale sanitario, ma vorrei investire anche in progetti di formazione agricola con le donne. Purtroppo, vedo molti giovani che vanno a studiare altrove e non fanno più ritorno. Posso capirlo. Gli studenti qui hanno grandi difficoltà e bisogni, a volte non hanno neppure di che mangiare. Ma è un vero peccato, perché giovani qualificati potrebbero offrire un servizio meraviglioso».

Chiara però non si arrende. Non è nel suo carattere. Non fa parte della sua ragione di vita. «Investire sulla persone significa non solo formazione professionale, ma accompagnamento e condivisione di gioie e anche di tragedie. Ma mai di disperazione. Perché la vita in Africa non muore. E finché c’è vita c’è speranza».

IL LIBRO: IN MOTO CON KIBOBO

Savana on the road. Il diritto di sognare è il nuovo libro di Chiara Castellani e Mariapia Bonanate, recentemente uscito per le Edizioni San Paolo. Una sorta di lunga lettera scritta da Chiara a Kikobo, l’infermiere ammalato di Aids con il quale, a bordo di una motocicletta, ha percorso la savana per raggiungere i villaggi più remoti e curare gli ammalati. Sullo sfondo le molte vicissitudini che hanno attraversato in questi anni la Repubblica Democratica del Congo. Ma anche quella straordinaria capacità tutta africana di reinventarsi ogni giorno e di andare avanti.

Fonte:  Famiglia Cristiana|Credere.it

 

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