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“Piuma”: la leggerezza della vita – con videointervista al regista
— 5 Maggio 2017— pubblicato da Redazione. —
Qualche giorno fa, di ritorno dal Malawi, mi imbarco sul volo Addis Abeba-Roma che parte a mezzanotte e al decollo l’unica preoccupazione è come prender sonno il prima possibile visto che alle cinque e mezzo si atterra a Roma, pronti – si fa per dire – per una nuova giornata. Un film sembra la scelta migliore, ma non ne trovo uno che abbia almeno i sottotitoli in italiano, e l’inglese dei film mi sembra incomprensibile, almeno a mezzanotte su un volo notturno. Mentre sto per rinunciare trovo, alla fine, un film italiano, Piuma, che non avevo visto quando uscì, lo scorso anno. Dal titolo non sembra pesante e lo scelgo.
Confido di addormentarmi presto. Invece non ho più dormito fino a Fiumicino, dopo essermi appassionato a questa commedia italiana di Rohan Johnson, che ha un padre inglese ma che è un giovane e italianissimo regista di Pisa, al suo terzo film, in concorso per l’Italia a Venezia lo scorso Novembre.
Ferro e Cate stanno per dare l’esame di maturità, vivono sulla Tuscolana a Roma e si accorgono di aspettare un figlio. Il film è semplice e lineare come i nove mesi in cui è suddiviso. Si ride tanto ma si riflette anche molto, perché due ragazzi di diciotto anni mostrano un desiderio spontaneo e sorgivo di vita, di maternità e di paternità senza essere stati preparati da nessuno e da niente ad un senso di responsabilità che nessuno si aspetterebbe. Forse va di moda parlare male dei giovani, a priori. Perché sarebbero lontani dai “valori”, poco seri, incapaci di crescere, di prendersi cura degli altri. Nella mia esperienza di sacerdote ho visto smentito tante volte questo stereotipo ingeneroso ma ben radicato. Anzi, ho trovato l’esatto contrario. Il messaggio che più colpisce del film, e della volontà di voler fa nascere Piuma, è un segno dei tempi che Roan Johnson intuisce: Cate combatte per tutto il film, senza troppo saperlo, per l’autodeterminazione della donna. E Ferro per quella dell’uomo, dato che non hanno dubbi di averla concepita in due, la bambina. Un padre e una madre. Attorno a loro monta una naturale, corale, immediata e ovvia ribellione: il mondo degli adulti è la voce di una società che dà per scontato che no, in una situazione così un figlio proprio no, non si deve fare.
I due ragazzi appaiono un po’ ingenui e anche abbastanza impreparati, son convinti che se sceglieranno di darla in adozione – la bambina – potranno scegliere anche i genitori, li potranno selezionare. Ma in tutto il film noi sentiamo che i saggi sono loro, perché in fin dei conti “queste cose sono rivelate ai piccoli e non ai sapienti” (Mt.11,25). Piuma è un film sull’autodeterminazione della donna, oggi. E dell’uomo. Sul non conformarsi alla mentalità di questo secolo. La bambina è mia e me la gestisco io, si vorrebbe poter dire. E’ chiaramente un film che sa benissimo che è più facile non averlo, un figlio, oggi, che averlo. È più semplice che ti aiutino a eliminarlo, che non a farlo nascere. Per questo ci vogliono ragazzi come Ferro e Cate, il nuovo modello dell’autodeterminazione della persona. Ancora qualcuno, in Italia, scrive e pensa che sia molto difficile abortire nel nostro paese quando il film ci racconta con garbo, leggerezza ma con estrema serietà che invece è molto più difficile mettere al mondo un bambino che non il contrario. E lo fa dal pulpito della fresca e sapiente voglia di vivere di due adolescenti. In tanti pensiamo che un figlio si faccia solo se “ci sono le condizioni giuste”, che poi sarebbero i soldi. Ma i figli, sul pianeta, li fanno i poveri, non i ricchi. Qualcosa non torna. Roberto Volpi ci ha raccontato, una volta sul Foglio, di come dopo un grave terremoto le persone colpite abbiano concepito più figli, anche se stavano sicuramente meglio prima. Voglia di vivere, di ricominciare, di vincere il male col bene?
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