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LIBRI – Sane letture che salvano il giovane dallo stress e dalla teologia del gender

Zingara, teologa, patrista e commentatora di papa Francesco. Ma perché Cristina Simonelli non scrive della sua storia invece che di “traiettorie dell’amore”?

Ho molta simpatia per gli autori che mi fanno recapitare i loro libri in redazione. Perciò un giorno vorrei scrivere di Rosmini e l’idealismo tedesco (Biblioteca di studi rosminiani), poderoso volume di Carlo Maria Fenu, che fu stretto collaboratore di Tommaso Padoa-Schioppa. E vorrei pure segnalare Filippo Astone, Industriamo l’Italia! Viaggio nell’economia reale che cambia (Magenes). Così come mi piacerebbe scolpire il monumento all’Innocente di Gérard Depardieu. O dedicarmi alla recensione dei titoli di una piccola casa editrice, Fede&Cultura, tacciata di “fondamentalismo” (forse perché propone opere di Dumas, Belloc, Benson e perfino di Tommaso d’Aquino?).

Purtroppo, mentre mi districo tra questi buoni propositi, sulla mia scrivania fa capolino l’ultima fatica di Cristina Simonelli. Un volumetto dal layout molto accattivante. Copertina a scritte rosse e azzurre, che per i tipi di Piemme recitano: “Cristina Simonelli (in azzurro), Presidente Teologhe Italiane (in rosso), Dio (azzurro) patrie (“patri” azzurro, “e” rosso) famiglie (“famigli” rosso, “e” azzurra). Le traiettorie plurali (azzurro) dell’amore (rosso)”. Insomma: “Dio patrie famiglie. Le traiettorie” eccetera.

Molto gustoso. Ma la faccenda più seducente è la notizia sull’autrice. «Dal 1976 al 2012 ha vissuto in un accampamento Rom. Figura di spicco del mondo femminile ecclesiale italiano e internazionale. Docente di teologia patristica. Ha commentato per Piemme l’Enciclica di Papa Francesco Laudato si’».

Zingara, teologa presidente, patrista. Commentatora delle encicliche di Francesco. Ma perché non scrivi la tua storia, cara Simonelli, invece che le traiettorie che dell’amore sanno un po’ come sa il prezzemolo surgelato?

Perché poi, non puoi fare a meno di leggerla d’un fiato questa cosa papistico-teologale sul gender prismatico che si proietta anche «su certe orribili pagine della Bibbia». Non puoi fare a meno di plaudire a una scrittura concettuosa. Precisa nei rimandi biografici alla letteratura femminista (Judith Butler regina). E legittimamente da collocarsi tra il meglio degli stereotipi imposti alle masse di googlelandia dalla burocrazia postmoderna che si dà arie di sovversiva quando altro non è che una patatina ogm nell’orticello di first lady Michelle.

Più in là non mi spingo. Perché dopo che hai letto d’un fiato lady Simonelli (e compreso che non c’è niente da fare per l’avvenimento sorgivo, per l’Essere, per l’imprevisto, anche nel meglio dell’arcobaleno), viene per forza l’urgenza di ritornare a Elisabetta. Uno di quei talenti femminili – scrivevamo la settimana scorsa a proposito della sua santità certificata da Francesco – che già a 13-14 anni contengono in se stesse, genere o non genere, la realizzazione di una vita veramente umana.

Un bell’attimo in questo mondo
In questo caso non ti arriva nessun libro. Devi cercare notizie attingendo a un carmelitano Speciale canonizzazione. Che suppongo non sia di facile reperibilità. Dunque, santa Elisabetta della Trinità entra in clausura a 21 anni (per la resistenza della famiglia a lasciarla andare a 16). E muore a 26. Non doveva neanche venire al mondo. Secondo la lettera della madre a un’amica, «i medici avevano dichiarato a mio marito che bisognava sacrificare la neonata il cui cuore non batteva più». Quando spunta fuori dal grembo materno, Elisabetta è un mignon («la piccola è grande come un bambino di sei settimane»). Non è una mammoletta («vivacissima, tremenda, perfino violenta, trés diable! (…) La si minacciava di mandarla in casa di rieducazione e le si preparava la valigetta»). Ma a dieci anni è un genio musicale. Pluripremiata per gli exploit al pianoforte. Adolescente, testimonia un’amica, «molto ardente, sensibilissima, sentiva profondamente i legami che la univano al mondo. Ricordo che durante i suoi viaggi portava sempre le foto di coloro che amava». In effetti sarà per amore (la parola più usata nel suo vocabolario) che Elisabetta prende la strada di Gesù. E gli dice: «O mio Astro, affascinami!».

È tutto denso di tensione, profondità, bellezza, affettività, l’attimo di Elisabetta in questo mondo (1880-1906). Così come sono piene di intelligenza, sensibilità, affezione, gioia (e anche ribellione, «un po’ deprimenti erano gli esercizi spirituali di Ugo Rahner») le Ultime conversazioni di Benedetto XVI (Garzanti Libri). Leggendolo, non vi troverete nella casa dei ricordi di un papa emerito. Vi troverete proprio a casa dell’uomo probabilmente più giovane che sia rimasto sulla faccia della terra.
Fonte:  Santa Elisabetta e Benedetto XVI: sane letture | Tempi.it

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