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La riconquista del Messico

Un popolo ferito da conflitti sociali, narcotraffico, violenza. E il rischio di sentirsi inutili di fronte a problemi enormi. Alla vigilia della visita del Pontefice, abbiamo raccolto le voci di chi lo attende (da “Tracce” di febbraio)

Hugo León, di Città del Messico, ha capito che cosa rappresenta l’imminente visita di papa Francesco guardando sua figlia maggiore. Fino a quel momento, gli ronzavano in testa le risposte offerte dai media: «Una scossa politica, una tirata d’orecchi ai Vescovi, una denuncia contro la corruzione e le violenze». Ma un pomeriggio Rachele comincia a raccogliere oggetti da vendere per aiutare un asilo della zona: le catechiste stanno spiegando le opere di misericordia e hanno invitato i ragazzini ad implicarsi. Il papà costruisce carrettini di legno, la zia inforna biscotti, i fratelli radunano i giocattoli. E Rachele non ha voluto depositarli nei contenitori della parrocchia, ma consegnarli di persona ai bimbi dell’asilo. «È stato uno spettacolo commovente», racconta Hugo. Che cos’è dunque l’arrivo del Papa? «La misericordia di Dio che ti raggiunge, il suo contagio, e scoprire che essa è più potente di qualsiasi altra cosa».

Il Messico attende Francesco con ansia febbrile. Che cosa porterà Bergoglio in questa nazione così ricca e così fragile, segnata nel suo dna dalle apparizioni della Vergine di Guadalupe? Che cosa dirà ad un Paese con 100 milioni di cattolici praticanti eppure lacerato dai conflitti sociali, dalla povertà delle sterminate baraccopoli, dal narcotraffico, dalla violenza, dalla tratta dei migranti in fuga verso la terra promessa degli Stati Uniti? Dopo essere stato anche nel Chiapas, il Papa concluderà il viaggio a Ciudad Juárez, la città più pericolosa al mondo, tenuta in pugno dai cartelli della droga e dai mercanti di clandestini. Che germe di cambiamento porterà su questi confini inutilmente blindati, che sono al tempo stesso un deserto e un inferno?

María Luisa Aspe Armella guida il Dipartimento di Storia dell’Università iberoamericana di Città del Messico, una delle principali istituzioni culturali dell’America Latina. È specializzata in Storia della Chiesa. «Mi attendo che il Papa rafforzi la speranza cristiana e l’impegno che ne deriva. Spero, quanto al mio lavoro, che offra punti di incontro con chi ha identità deboli o è fuori dalla Chiesa, e che scuota la gerarchia. E mi auguro una consolazione per il popolo vessato dalle disuguaglianze». E la denuncia delle ingiustizie? «Mi è capitato varie volte di dibattere pubblicamente su questo viaggio. Giornalisti, accademici, intellettuali chiedono che il Papa denunci gli orrori messicani e faccia i nomi dei responsabili. Si guarda a lui come a un leader politico, sperando che risolva ciò che noi messicani non sappiamo affrontare. Ma la gente non chiede castighi: vuole speranza, consolazione, vicinanza».

Il sindaco assassinato

Ai primi di gennaio, monsignor Ramon Castro, vescovo di Cuernavaca, ha celebrato i funerali di Gisela Mota, sindaco di Temixco assassinata dai narcos il giorno dopo l’insediamento. «Il popolo soffre, anela la beatitudine della pace», dice il presule: «Spero che la visita del Papa ci aiuti a cogliere l’immensa opportunità di lasciare indietro il torpore e che il suo messaggio si trasformi in sfide di impegno evangelizzatore. Il Messico chiede a Francesco che tocchi le piaghe per consolare il popolo e denunciare le ingiustizie; che nei suoi messaggi menzioni le cause di queste ferite e che incoraggi tutti a vivere nell’impegno con la verità e la giustizia. E gli chiede di essere un messaggero della misericordia».

Secondo una ricerca, soltanto per il 5 per cento dei cattolici messicani l’impegno sociale è connesso alla fede. C’è una dissociazione tra la fede e la vita, tra l’immensa devozione a Nostra Signora di Guadalupe, patrona del Continente americano, e la testimonianza pubblica? Jorge Traslosheros, docente all’Istituto di ricerche storiche dell’Università nazionale autonoma del Messico, parla di un cattolicesimo «vergonzante»: «Ci si vergogna. La Chiesa fa molto bene alla società in termini sociali e culturali, ma è certo che noi cattolici non siamo riusciti a generare una cittadinanza promotrice di una società giusta e pacifica. A essere, come diceva don Bosco e in qualche modo anche don Giussani, buoni cristiani e cittadini virtuosi».

Aggiunge Traslosheros: «Permane una fede che ha vergogna di sé, che genera cattolici timidi, non disposti a partecipare al dibattito pubblico, oppure cattolici anticlericali, che se la prendono con le gerarchie». Quale contributo possono dare i cattolici a un Paese più giusto? Il vescovo Castro risponde così: «Possiamo contribuire a combattere la cultura dello scarto vivendo il vangelo dell’allegria, offrendo ambienti familiari sani, riconoscendo le nostre possibilità nei valori tradizionali come la famiglia, la vita, la condivisione dei beni e la ricerca di Dio».

Francesco è il terzo Papa che si reca in Messico. Giovanni Paolo II andò cinque volte tra il 1979 e il 2002, con quattro pellegrinaggi al Santuario della Madonna di Guadalupe, e Benedetto XVI vi fece tappa nel 2012. Che novità potrà portare la visita del primo Pontefice latinoamericano? «Giovanni Paolo II ci ha fatto scoprire la gioia della fede», continua Traslosheros, «che però rischia di scadere nel sentimentalismo. Benedetto XVI ci ha sollecitati a mettere intelligenza nella fede. L’invito di Francesco è che la gioia e l’intelligenza si trasformino in azioni per il bene della società messicana». Specifica María Luisa Aspe Armella: «Non si può essere cattolici dimenticandoci dei fratelli. La parola del Papa sarà il messaggio di Gesù alla samaritana. La samaritanità è il cuore del suo messaggio: la sicurezza che Dio ci ama e ci cerca sempre».

Amedeo Orlandini, direttore del Dipartimento di Filosofia all’Università cattolica Lumen Gentium di Città del Messico, individua questo rischio per i cattolici: «Coltivare una sensazione di inutilità davanti agli enormi problemi del Paese, come se la fede non potesse vincere in queste circostanze. Il paternalismo statale ha indotto la gente a ripiegarsi nel privato; invece che appoggiare il protagonismo dei messicani, la politica lo ha frenato e quasi eliminato. Ma anche nella Chiesa ci sono difficoltà: quella messicana, con belle eccezioni, è abbastanza clericale e i laici sono considerati – e si considerano – come un’appendice del clero. Tuttavia ci sono realtà ecclesiali vive, opere concrete in aiuto dei migranti e che promuovono il dialogo e la pace, presenze significative nel campo educativo. Dalla visita del Papa spero di essere confermato nella fede, che la fede si rinnovi in me e in tutti in un nuovo inizio che restituisca freschezza ed entusiasmo».

Le sorprese

«Il primo cambiamento è in me», conferma l’architetto Oliverio González, responsabile di CL in Messico. «Il Papa andrà nei luoghi più periferici del nostro Paese, dove il dolore e la disperazione, che hanno generato la violenza e la disuguaglianza sociale, sembrano guadagnare sempre più terreno. Ma egli non viene a “salvare” il Messico, viene per un amore a me. E, se io cambio, tutto il mio Paese può cambiare. In questo Anno della Misericordia, la sua visita è una grazia enorme per approfondire che cosa sia fare esperienza della misericordia».

Un incontro personale: è questa la convinzione anche di monsignor Christophe Pierre, il nunzio apostolico in Messico. «Il Papa viene per essere testimone di Cristo in un incontro umano. Egli vuole conoscere le persone, le situazioni, i gruppi, i problemi. Per come capisco da questi mesi di preparazione, il desiderio del Papa è che sia un viaggio pieno di sorprese, uscendo dal “già saputo” per permettere alle persone di scoprire cose nuove. Il messicano continua ad essere profondamente religioso: chiunque, anche chi si è allontanato dalla Chiesa, pensa che il Papa può offrire una speranza per uscire da povertà, violenza, insicurezza. Guardano a lui perché può comunicare un senso».

Il Nunzio sottolinea che al centro della cultura messicana c’è l’avvenimento di Guadalupe: «Il Papa ne è convinto, per questo la visita comincerà lì. La storia del Paese è segnata dall’incontro con Maria e quindi con Cristo. Le apparizioni riconciliarono i conquistati con i conquistatori, la Madonna ha riscattato il popolo che si voleva distruggere. Nel dramma di una conquista violenta c’è stata la possibilità di riconoscere un valore, una via di riconciliazione. Questo è il ruolo della Chiesa, e lo dobbiamo vivere anche oggi».

Fonte: Tracce.it

 

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