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Famiglia, società e monaci: una regola per vivere in pace

E’ un paradosso di prima grandezza: una regola fatta per i monaci, cioè proprio per quelli che hanno lasciato e rinunciato alla vita di famiglia, può aiutare invece quelli che hanno presso questa strada. A prima vista è un concetto paragonabile a qualcuno che si orienta nelle strade di Roma con la mappa di Napoli. O a qualcuno che cerca di realizzare il montaggio di un modellino di aeroplano con le istruzioni di una macchina a fare il caffè. Normalmente l’insuccesso è sicuro.

 A meno che ci sia qualche cosa in comune. Per esempio se nella macchina a caffè e nell’aeroplano ci sono motori elettrici simili; allora potrebbe accadere che le istruzioni per l’una aiutino a fare l’altra. Per ritornare al nostro soggetto, monaci e famiglie hanno in comune una cosa: la natura umana. E si potrebbero trovarne anche altre, ad esempio il desiderio di servire Dio, il desiderio dell’armonia nella comunità, ecc.

Allora ecco la ricetta benedettina: l’obbedienza mutuale (Capitolo 71 della Regola di San Benedetto – L’obbedienza fraterna: “La virtù dell’obbedienza non dev’essere solo esercitata da tutti nei confronti dell’abate, ma bisogna anche che i fratelli si obbediscano tra loro, nella piena consapevolezza che è proprio per questa via dell’obbedienza che andranno a Dio. Dunque, dopo aver dato l’assoluta precedenza al comando dell’abate o dei superiori da lui designati, a cui non permettiamo che si preferiscano ordini privati, per il resto i più giovani obbediscano ai confratelli più anziani con la massima carità e premura).”

E’ chiaro che tutto non può essere presso alla lettera nell’ambito della famiglia. Ma c’è molto da imparare. Per esempio che la meta della nostra vita non è l’affermazione del sé sopra gli altri o l’autorealizzazione a tutti costi, ma nella famiglia è opportuno dare ad ognuno uno spazio di crescita.

Amare è volere il bene dell’altro, e quindi la sua crescita, in ogni dimensione. Quindi ogni membro della famiglia deve essere attento al bene degli altri. Non si tratta, per esempio, di assecondare sistematicamente i capricci dei bambini, né di cadere in sistematiche contraddizioni.

Ci vuole una sensibilità e una certa intelligenza che sta alla base della tradizione monastica. Bisogna saper ascoltare, aspettare ma soprattutto rispettare ed amare. Nel monastero – come nella famiglia – troviamo persone che non abbiamo scelte. Ma ci riunisce lo stesso scopo, che è quello di essere felici, di stare insieme per essere forti e raggiungere qualcosa.

Oggi molto spesso aziende e corporazioni in qualche modo seguono il modello della vita benedettina. Per avere successo ci vuole non solo disciplina ma anche una chiara guida; non è sbagliato dunque il detto che vuole la famiglia come la scuola migliore per la vita nella società.

I problemi ci saranno sempre, ma tutto è possibile avendo la giusta motivazione. Per i monaci ovviamente il motivo primo ed ultimo è Gesù. Per la famiglia basata sul sacramento di matrimonio, anche. Anzi, la professione monastica non è un sacramento, come lo è invece per una coppia di sposi. Allora la famiglia ha tanti mezzi – si direbbe persino migliori – per progredire verso la felicità piena e tanto umana. Coraggio!

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