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Canada, giudice ferma la morte assistita di una donna autistica

Calgary è la città più grande della provincia canadese dell’Alberta. Il suo nome significa “freddo giardino”. Un’etimologia che non spiega nulla, del caso in oggetto, ma aiuta a sentirsi raggelare il sangue. MV è la sigla per indicare la donna, WV sta per il nome di suo padre, ma è MAiD in questa sequenza di asettici acronimi il vero colpevole e sta per Assistenza Medica alla Morte. MV ha 27 anni, è una giovane donna che vive con la propria famiglia ed è una persona autistica. Il padre, il povero WV che tanto poverino non è perché si sta strenuamente opponendo all’esecuzione della morte della figlia, per amore e senso di giustizia, ha scoperto quasi per caso che la giovane aveva richiesto e tragicamente ottenuto l’ammissione al programma di morte medicalmente assistita; non è specificato se per auto-somministrazione o per mezzo di un medico o un infermiere incaricati dallo stato; si sa, nei paesi liberi è importante poter scegliere tra diverse opzioni, siamo un po’ la civiltà dei menu a tendina.

Grazie al tempestivo intervento del genitore e al pronunciamento di una giudice con del sale in zucca e qualcosa nel cuore, Anne Kirker, il processo, per ora, è stato fermato. L’8 aprile si è infatti pronunciata a favore dell’uomo che aveva «fatto appello alla decisione di un altro giudice di consentire alla donna di andare avanti con la sua vita nonostante le sue obiezioni». Il processo è previsto per ottobre e la Coalizione per la prevenzione dell’eutanasia ha affermato che cercherà di intervenire nell’appello. Niente da stare allegri e molto di cui preoccuparsi, come sottolinea il direttore esecutivo della Eutanasia Prevention Coalition, Alex Schadenberg che pensa alle tante persone disabili, malate e fragili indotte per disperazione o trascinate loro malgrado su questi binari di morte.

Tra questi volti c’è anche uno dei suoi figli, affetto da autismo. Non sono i binari del treno con fermata Auschwitz, ma hanno lo stesso carico: persone ritenute indegne di vivere, soggetti improduttivi e voci di spesa da tagliare. Il caso della giovane donna di Alberta è emblematico dello scompiglio nell’ordine dei valori che il Canada e molti altri paesi occidentali stanno traducendo in normative, procedure e infine costume sociale. Non possiamo conoscere l’identità della donna per proteggere la privacy sua e dei medici; il padre stesso non ha possibilità di sapere perché il primo medico consultato dalla figlia aveva approvato la sua richiesta di ottenere l’eutanasia, sempre per questioni di riservatezza (l’ammissione ai programmi di morte assistita per malattie mentali e sofferenza psichica senza una patologia fisica diagnosticata non è ancora stata approvata, tra l’altro).

Il giudice la cui ingiunzione è per ora sospesa, Colin Feasby, si è espresso a favore della richiesta di MV e pur riconoscendo il profondo dolore del padre per la morte della figlia ha stabilito «che la perdita dell’autonomia di M.V. era più importante“La dignità e il diritto all’autodeterminazione di M.V. superano le importanti questioni sollevate da W.V. e il danno che subirà perdendo M.V.”, ha scritto Feasby nella sua decisione scritta di 34 pagine pubblicata lunedì. “Anche se trovo che W.V. abbia sollevato questioni serie, concludo che gli interessi di autonomia e dignità di M.V. superano le considerazioni concorrenti”». Se non c’è una verità esterna e riconoscibile, se non esiste un valore che non può essere oggetto di trattative e non si riconosce qualcosa che fondi per tutti l’inviolabilità della vita della persona, l’esito non può essere che questo: la fiera della varietà e della vanità dei diritti, dove tutti hanno cittadinanza e nessuno una solida difesa dalla legge del più forte, che può essere persino la moda del momento. Tra questi spicca sempre la proclamazione dell’aborto come diritto costituzionale di cui la Francia è fiera madrina.

Il problema vero non è che ci siano giudici a favore o contro, e in questo caso ne abbiamo di entrambi gli schieramenti, ma che la vita di una persona sofferente possa finire in balia delle loro decisioni, sulla base di legislazioni che convalidano la forma più perversa e disperata di autodeterminazione. In questo orizzonte preoccupa seriamente la gara che molte regioni italiane hanno ingaggiato a chi arriva primo nell’approvazione di programmi simili, per fortuna per ora con illustri epic fail. Più eutanasia per tutti, il grido di battaglia taciuto di questa nostrana armata Brancaleone che vorremmo meno determinata. Una dignità infinitaontologica radicata nell’essere stesso della persona umana e che sussiste al di là di ogni circostanza», invece, è il canto che la Chiesa e quanti amano il bene supremo della vita continuano a levare con forza.

Fonte: Paola Belletti |  IlTimone.org

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