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Carriera alias e gender, ecco chi vuole confondere i giovani su sé stessi

La carriera alias, la possibilità di registrarsi secondo l’identità percepita, è un grimaldello per facilitare la diffusione del gender nella scuola

Recentemente il Papa ha usato di nuovo parole molto chiare e dure contro un pericolo del nostro tempo, l’ideologia gender: “è molto importante che ci sia questo incontro, questo incontro fra uomini e donne, perché oggi il pericolo più brutto è l’ideologia del gender, che annulla le differenze. Ho chiesto di fare studi a proposito di questa brutta ideologia del nostro tempo, che cancella le differenze e rende tutto uguale; cancellare la differenza è cancellare l’umanità. Uomo e donna, invece, stanno in una feconda tensione”. La fresca pubblicazione della Dichiarazione del Dicastero per la Dottrina della Fede Dignitas Infinita ne è stata il lavoro conseguente presentato a tutti i fedeli.

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In contrapposizione a ciò che già da tempo il Papa ha affermato in numerosi suoi interventi abbiamo spesso assistito ad una serie di campagne di partiti e movimenti che hanno cercato di chiarire che la teoria gender invece non esiste e sarebbe un’invenzione dei movimenti cattolici più tradizionalisti. Forse è utile cercare di capire come questa “ideologia gender” opera in un campo come quello educativo all’interno delle nostre scuole.

Un esempio è quello della “carriera alias”, una procedura amministrativa temporanea che prevede la possibilità di registrarsi in una scuola con il nome e il sesso che corrispondono all’identità di genere percepita, anche se diversi da quelli depositati all’anagrafe.

Esistono già leggi che regolano la possibilità di cambio sesso e nome per le persone in transizione di genere (legge 164/82 e dlgs 150/2011) ma le associazioni LGBTQ+ premono perché ci sia una “transizione sociale” riconosciuta a livello istituzionale, già tra gli adolescenti, per anticipare quelli che sarebbero gli effetti della legge dello Stato. Molto spesso questo “nuovo diritto” viene rivendicato nelle scuole sulla base dell’articolo 3 della Costituzione, dimenticando però che l’art. 3 parla di eguaglianza davanti alla legge, senza distinzione di sesso (elemento biologico) e non di genere (percepito) che è il nuovo elemento che invece sarebbe utilizzato per attivare la carriera alias.

Un altro motivo che dovrebbe spingere all’attivazione di questo regolamento è la lotta all’abbandono scolastico: secondo le associazioni LGBTQ+ un ragazzo transgender senza carriera alias sarebbe costretto ad abbandonare la scuola perché si sentirebbe discriminato se non venisse chiamato col nuovo nome e sesso scelto rispetto a quelli anagrafici. Stiamo parlando di ragazzi tra i 13 e 19 anni, in un momento molto particolare della vita,  la fase adolescenziale, in cui si è alla ricerca di sé attraverso il rapporto con i propri pari (spesso difficile negli ultimi anni post Covid), un momento della vita in cui gli ormoni influenzano carattere e corpo fino a far sentire un profondo disagio con se stessi e con gli altri, in cui i social plasmano immagini false di chi si dovrebbe essere, portando spesso a patologie e disagi gravi.

L’ideologia che sta dietro alla promozione di questi regolamenti è chiara; infatti, non si capisce perché ragazzi con altri disagi (anche statisticamente più rivelanti) non abbiano così tanta attenzione nei regolamenti per contrastare l’abbandono scolastico o per favorire l’integrazione all’interno della scuola. Che ci sia un’azione di pressing nei confronti delle scuole per attivare questi regolamenti da parte delle associazioni LGBTQ+ è evidente. Come lo è il fatto che all’interno della comunità scolastica aumenta il rischio di far passare per transfobici, antidemocratici e non accoglienti rispetto alle diversità tutti i contrari alla carriera alias.

Eppure qualche spiraglio a contrasto di questa ideologia si sta aprendo: la recente testimonianza pubblica di Susanna Tamaro sulle pagine del Corriere della Sera dell’11 febbraio scorso ne è un chiaro esempio. Anche l’associazione GenerAzioneD, che coinvolge genitori di ragazzi preadolescenti e adolescenti che si sono identificati come transgender, quindi  persone che vivono in prima persona la tematica della disforia di genere e del mondo trans, sta facendo un lavoro certosino di traduzione e diffusione di articoli scientifici internazionali che contestano con dati di realtà le ideologie gender che dilagano su social e media pubblici. Infine la Chiesa stessa, prima attraverso le parole ripetute del Papa, e poi con il testo Dignitas Infinita.

Recentemente mi sono trovato a discutere di queste tematiche nel mondo della scuola, e i principali scontri dialettici li ho avuti con persone di sinistra e soprattutto con docenti e genitori provenienti dal mondo cattolico, fautori di un pensiero che spesso confonde l’amore cristiano con qualsiasi tipo di amore. Il risultato è quello di esercitare pressioni violente sugli stessi ragazzi che si vorrebbero aiutare.

Gli studi ci dicono che tra l’85 e il 90% degli adolescenti che dichiarano una incongruenza di genere o una disforia rientrano nel tempo nell’accettare il proprio sesso naturale. Già questo dato indica come sarebbe da prendere con estrema prudenza qualsiasi processo (anche come la carriera alias) che vorrebbe favorire una transizione in età adolescenziale.
L’esperienza dice poi che la disforia/incongruenza di genere non è il motivo principale del disagio di tanti adolescenti ma è un disagio secondario, spesso una conseguenza di altri tipi di disagi, più seri, come ad esempio una difficoltà di relazione con i genitori o con i propri pari. In questi casi permettere la carriera alias non significa aiutare l’alunno che ne fa richiesta, ma fargli credere e avvalorare l’idea che il problema sia la disforia/incongruenza senza permettergli di affrontare seriamente, con un lavoro psicologico e farmacologico, i disagi primari, rischiando di aggravare la sua situazione. E poi in questi casi la scuola assumerebbe un ruolo di terapista che non le appartiene.

Chi ogni giorno vive a scuola con i ragazzi si accorge di come il loro grido di disagio rispetto alla vita abbia trovato varie modalità per esprimersi attraverso suicidi, autolesionismo, bullismo, droga e utilizzo sfrenato del sesso. Solo in un contesto del genere si possono capire le parole gravi pronunciate dal Papa, come indicato nella Dignitas Infinita al punto 59: “il rispetto del proprio corpo e di quello degli altri è essenziale davanti al proliferare e alle pretese di nuovi diritti avanzate dalla teoria del gender”. Tale ideologia “prospetta una società senza differenze di sesso, e svuota la base antropologica della famiglia”. Diventa così inaccettabile che “alcune ideologie di questo tipo, che pretendono di rispondere a certe aspirazioni a volte comprensibili, cerchino di imporsi come un pensiero unico che determini anche l’educazione dei bambini. Non si deve ignorare che sesso biologico (sex) e ruolo sociale-culturale del sesso (gender), si possono distinguere, ma non separare”. Sono, dunque, da respingere tutti quei tentativi che oscurano il riferimento all’ineliminabile differenza sessuale fra uomo e donna: “non possiamo separare ciò che è maschile e femminile dall’opera creata da Dio, che è anteriore a tutte le nostre decisioni ed esperienze e dove ci sono elementi biologici che è impossibile ignorare”.

In tutto questo stupisce il vuoto della politica, che non riesce più a dire la propria su questi temi rimanendo in una contrapposizione ideologica e strumentale utile soltanto alla contrapposizione degli schieramenti. È possibile che su un argomento così importante che anima le scuole in tutta Italia un parlamentare non sia riuscito a fare un’interpellanza e che il ministro di turno non entri in merito per disciplinare in qualche modo la carriera alias nelle scuole? Evidentemente si preferisce fare ideologia sulla pelle dei ragazzi. Il Papa sta richiamando tutti i cattolici al pericolo, speriamo che sempre più persone lo ascoltino.

Fonte: Domenico Fabio Tallarico | IlSussidiario.net

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