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Aborto. Il passo indietro di Parigi

C’è chi è sceso in piazza a festeggiare sotto la Torre Eiffel illuminata per l’occasione. Ma cosa rappresenta davvero il diritto all’aborto inserito nella Costituzione francese? Ne abbiamo parlato con il costituzionalista Vincenzo Tondi della Mura

Primo Paese al mondo, la Francia ha inserito nella Costituzione il diritto all’aborto. Che cosa ha portato a questa forzatura del diritto? E quali conseguenze avrà? Ne abbiamo parlato con Vincenzo Tondi della Mura, ordinario di Diritto costituzionale all’Università del Salento.

Da dove nasce questa iniziativa legislativa?
Il Parlamento francese ha ritenuto che un recente pronunciamento della Corte suprema Usa costituisse una minaccia anche per la propria normativa nazionale. Il riferimento è alla sentenza Dobbs del 24 giugno 2022, che ha abolito un’altra sentenza storica, la Roe contro Wade del 1973, la quale aveva legalizzato l’aborto negli Stati Uniti ed è la capostipite delle legislazioni sull’aborto anche in Europa. La sentenza Dobbs è esplicitamente citata dal Consiglio di Stato francese, chiamato a esprimere un parere preventivo dopo che in Parlamento erano state presentate diverse proposte per sancire questa nuova libertà fondamentale.

La Francia temeva di essere raggiunta dal contagio antiabortista partito dagli Stati Uniti?
Il Consiglio di Stato francese definisce la sentenza Dobbs «un’onda d’urto per le libertà in tutto il mondo». In questo senso Il Parlamento ha voluto premunirsi, non solo qualificando il ricorso della donna all’interruzione volontaria della gravidanza come un diritto, ma addirittura elevandolo al rango di diritto costituzionale, così da vincolare anche le future maggioranze politiche di qualsiasi orientamento al rispetto dello stesso. È evidente l’intenzione tutta politica – e direi anche propagandistica – del revisore costituzionale: essere il primo al mondo a elevare al rango costituzionale il diritto all’aborto. Tutto ciò in base a una lettura simbolica della sentenza Dobbs.

Che cosa intende?
Il pronunciamento della Corte suprema degli Stati Uniti è più articolato di come viene presentato mediaticamente. Esso, per esempio, cita i progressi dell’embriologia rispetto a quando fu emanata la sentenza Roe contro Wade: basti considerare le certezze scientifiche sul fatto – ad esempio – che già alla dodicesima settimana di gestazione un feto può aprire e chiudere la mano, inizia a fare movimenti, percepisce la stimolazione del mondo esterno all’utero. In realtà la decisione non ha imposto in alcun modo restrizioni costituzionali all’interruzione di gravidanza. Ha soltanto stabilito che la Costituzione americana non comanda né proibisce l’accesso all’aborto e di conseguenza ha restituito l’onere di decidere ai rappresentanti eletti dal popolo nei diversi Stati americani; tanto più che dal 1973 in poi la legislazione sul tema era stata sempre più permissiva. La sentenza Dobbs chiede «rispetto e conservazione della vita prenatale in tutti gli stadi di sviluppo» al pari della «protezione della salute e della sicurezza della madre». Si vietano le procedure mediche abortive che provochino dolore al feto, si sollecita la «conservazione dell’integrità della professione medica» e infine si sottolinea che non bisogna abortire con «discriminazione sulla base della razza, del sesso o della disabilità» del nascituro. La sentenza Dobbs è tutt’altro che barbarica e oscurantista, come viene rappresentata. Ma niente di tutto questo è stato considerato dai legislatori francesi.

Che effetti ha la costituzionalizzazione dell’aborto?
Il comma inserito nella Carta fondamentale francese dispone: «La legge determina le condizioni in cui si esercita la libertà garantita alla donna di ricorrere all’interruzione della gravidanza». Con il risultato di attenuare le garanzie, tipiche del diritto, a favore degli altri soggetti coinvolti, cioè il nascituro e il personale sanitario che ha diritto all’obiezione di coscienza.

Quindi i diritti del nascituro e dei medici passano in subordine.
È così, in particolare in riferimento al nascituro. La relazione del Consiglio di Stato spiega che «il governo desidera da un lato affermare che la libertà di ricorrere all’interruzione di gravidanza è garantita dalla Costituzione; dall’altro rimettere al legislatore la determinazione delle condizioni di esercizio» di tale diritto. Viene menzionato «l’equilibrio fra i due principi di valori costituzionali, la libertà della donna e la salvaguardia della dignità della persona umana»: manca però un riferimento esplicito al nascituro. La tutela della donna è molto chiara, mentre quella degli altri soggetti lo è molto meno.

In Italia potrebbe essere introdotta una modifica costituzionale analoga?
La legge 194, al di là che sia o meno condivisibile nel merito, menziona le garanzie di tutti i soggetti coinvolti: parla di tutela del concepito, di protezione della maternità – all’interno della quale vengono posti i diritti fondamentali della vita e della salute della donna – e del diritto all’obiezione di coscienza; diritti che dunque hanno già una “copertura” costituzionale. Anche la Corte costituzionale ha riconosciuto questo impianto legislativo elevandolo al rango di legge a contenuto costituzionalmente vincolato, vale a dire non modificabile dal legislatore ordinario: ricordo in particolare la sentenza 35 del 1997 scritta da Giuliano Vassalli. Insomma, non c’è ragione di riaprire vecchie ferite, perché l’equilibrio fra tutela del concepito e protezione della maternità sancito da quella legge ormai fa parte del sistema costituzionale.

Nonostante tutto questo, la 194 resta comunque una legge che legalizza l’aborto.
Sì, però prevede un accompagnamento alle donne in difficoltà. Le statistiche ci dicono che dove c’è un adeguato tessuto sociale e solidaristico ci sono meno aborti. Si interrompono più spesso le gravidanze dove questo tessuto è disgregato o non c’è, sicché la donna è infelicemente sola: pensiamo a quanto è successo con il lockdown, quando è stata avviata la campagna per l’aborto farmacologico. La cosiddetta “pillola del giorno dopo” non consente più nessun tipo di prevenzione o di aiuto, e la donna è abbandonata a se stessa.

In definitiva, si può dire che, anche sotto l’aspetto giuridico, avere inserito il diritto di abortire nella Costituzione francese sia una questione ideologica?
Certamente. La Francia afferma che intende rispettare un equilibrio fra la salute e la dignità della persona. Però poi non chiarisce in cosa consista questa dignità e soprattutto chi ne sia il beneficiario: demanda il tutto al legislatore ordinario senza però citare mai il nascituro. Dal punto di vista del diritto è un passo indietro. Eppure tutto il mondo lo considera un passo avanti.

 

Fonte: Stefano Filippi | Clonline.org

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