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Piano Mattei: ora l’Africa attende i fatti

Giorgia Meloni ha presentato i progetti del Governo italiano per il continente. Indicate cinque aree di intervento: istruzione e formazione professionale, salute, acqua, energia, agricoltura. Plaudo dell’Unione Europea, qualche distinguo da parte dei leader africani.

Il 30 gennaio l’Italia ha restituito all’Etiopia  “Tsehay” (nome di una figlia dell’ imperatore Haile Selassiè), il primo aereo costruito in Etiopia nel 1935 grazie alla collaborazione di un ingegnere tedesco. L’aereo, dopo la conquista italiana dell’Etiopia, era finito nel bottino di guerra  e trasferito in Italia. Restaurato e spostato in vari musei, si trovava  nel Museo Storico dell’Aeronautica Militare di Vigna del Valle, sulla sponde del Lago di Bracciano. L’Etiopia reclamava da tempo la restituzione del velivolo e finalmente Il ministro Guido Crosetto lo ha consegnato al primo ministro etiope Abiy Ahmed.

L’iniziativa, che in Etiopia ha avuto grande risalto,  non fa parte del Piano Mattei per l’Africa, ma rappresenta comunque un gesto di attenzione da parte del governo nei confronti di uno dei quattro  paesi africani (Etiopia, Eritrea, Somalia e Libia) che furono colonie italiane. Ed è una “coda” del vertice Italia Africa ospitato il 29 gennaio nell’Aula del Senato dopo la cena di gala di domenica sera offerta dal Presidente della Repubblica Mattarella al Quirinale.

“Esplorare lo straordinario potenziale di sviluppo delle relazioni tra Africa ed Europa sul terreno politico, per spegnere i focolai di tensione e di conflitto, sul terreno economico, per realizzare una produzione sostenibile e un’equa distribuzione delle risorse, per accrescere il patrimonio delle nostre rispettive culture, è il compito che sta dinanzi a noi”, ha detto fra l’altro Mattarella ai rappresentanti di 46 Paesi (inclusi capi di Stato e di governo) e di 25 organismi multilaterali.

Nel suo discorso introduttivo Giorgia Meloni ha spiegato i punti principali del cosiddetto Piano Mattei. Sono state indicate cinque aree di intervento:

istruzione e formazione professionale, salute, acqua, energia, agricoltura. Roma per iniziare ha messo sul piatto “5,5 miliardi di euro tra crediti, operazioni a dono e garanzie: circa 3 miliardi dal fondo italiano per il clima e 2,5 miliardi e mezzo dal fondo per la Cooperazione allo sviluppo”, ha spiegato la presidente del Consiglio. Ci sono già dei progetti pilota, dal Marocco al Kenya, dall’Algeria al Mozambico, dall’Egitto all’Etiopia, con il coinvolgimento di 12 società partecipate (da Eni a Leonardo).

Secondo Meloni, “Si tratta di un Piano di interventi con il quale vogliamo dare il nostro contributo a liberare le energie africane, anche per garantire alle giovani generazioni un diritto che finora è stato negato, perché qui in Europa noi abbiamo parlato spesso del diritto a emigrare, ma non abbiamo parlato quasi mai di come garantire il diritto a non dover essere costretti a emigrare, e a non dover così recidere le proprie radici, in cerca di una vita migliore sempre più difficile da raggiungere in Europa”. 

La  strategia è appoggiata dall’Unione Europea, con i suoi vertici presenti a Palazzo Madama. Meno univoco il messaggio arrivato dall’Unione Africana, con il presidente della Commissione Moussa Faki (ex primo ministro del Ciad) che ha mosso critiche a Roma per una “mancata consultazione” al momento di elaborare il piano. Un tema, quello del mancato coinvolgimento, che era stato sollevato anche da 79 Ong di base nel continente, coordinate dall’organizzazione Don’t Gas Africa.

“L’Africa è pronta a discutere i contorni e le modalità della sua attuazione. Devo insistere sulla necessità di far coincidere le parole con i fatti. Capirete che non possiamo accontentarci delle sole promesse, che spesso non vengono mantenute”, ha detto Moussa Faki. “L’Africa”, ha aggiunto il rappresentane dell’UNione Africana, “non tende le mani ai suoi partner, elemosinando e non offrendo nulla. La nostra ambizione è più alta. Chiediamo un cambiamento di paradigma, un nuovo modello di partenariato che apra la strada a un mondo più equo, più adatto a costruire pace e prosperità attraverso ponti di amicizia e non barriere di sicurezza percepite come barriere di ostilità”.

“Ma non si tratta di un Piano concepito come una scatola chiusa, da imporre e calare dall’alto, come, dobbiamo dire, è stato a volte fatto in passato, perché anche il metodo deve essere nuovo. Così Il Piano è pensato come una piattaforma programmatica aperta alla condivisione e alla collaborazione con le Nazioni africane, sia nella fase di definizione sia in quella di attuazione dei singoli progetti”, ha chiarito in ogni caso Giorgia Meloni.

Meloni, chiudendo i lavori, ha comunque assicurato che non si tratta di “un piano di buone intenzioni, ma di obiettivi concreti e realizzabili, per cui servirà un cronoprogramma preciso che seguirò personalmente”. Ed ha enfatizzato il concetto della “condivisione” nei passaggi di questa strategia. Per la gestione del Piano Mattei è stata creata una “cabina di regia”.

Fonte: Roberto Zichittella | FamigliaCristiana.it

 

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