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Un messaggio da Marte che ha molto da insegnarci su noi stessi

L’Agenzia spaziale europea (Esa) ha effettuato il primo tentativo della storia di simulare un messaggio radio alieno. È stata abbattuta una frontiera

Lo scorso 24 maggio l’Agenzia spaziale europea (Esa) ha effettuato il primo tentativo della storia di simulare un messaggio radio alieno. Alle 21:16 ora italiana la sonda ExoMars TGO, in orbita intorno a Marte, ha inviato verso la Terra un segnale della durata di circa mezz’ora che è stato ricevuto da tre diversi radiotelescopi: quello dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) di Medicina, vicino a Bologna, quello di Green Bank in West Virginia e quello del Seti Institute di Mountain View in California (qui la diretta dell’arrivo del messaggio).

Il progetto, denominato A Sign in Space, è stato ideato dall’italiana Daniela De Paulis, specializzata nell’organizzazione di performance artistiche ispirate alla scienza, nonché membro del Seti Committee, il gruppo di ricerca interdisciplinare della International Academy of Astronautics (Iaa) per la ricerca della vita intelligente nel cosmo di cui anch’io faccio parte.

E non è certo casuale che l’Italia abbia un ruolo così rilevante in un progetto di questo tipo: anche se pochi ne sono consapevoli, il nostro Paese è da sempre all’avanguardia in tutto ciò che riguarda lo spazio e, per quanto riguarda specificamente il Seti (Search for Extra-Terrestrial Intelligence), è il secondo Paese dopo gli Usa per la quantità dei ricercatori coinvolti e per la qualità dei contributi apportati.

Il programma Seti, iniziato da Frank Drake a Green Bank l’8 aprile 1960, ha come suo principale obiettivo la ricerca di possibili segnali radio di altre civiltà e ciò ha inevitabilmente portato a chiedersi come si potrebbe fare, in caso di successo, a comunicare con esseri di cui non sapremmo nulla, a parte il fatto che avrebbero (almeno) le conoscenze scientifiche necessarie a costruire un radiotelescopio. E poiché lo stesso problema lo avrebbero anche gli ipotetici alieni, ciò di fatto equivale a chiedersi che caratteristiche dovrebbe presumibilmente avere un messaggio alieno indirizzato intenzionalmente a noi.

Benché una tale eventualità non sia molto probabile (i nostri segnali radio sono giunti finora appena a un’ottantina di anni luce dalla Terra, per cui è difficile che qualcuno possa già avere scoperto la nostra esistenza), la questione è comunque della massima importanza. Infatti, per ragioni tecniche, al momento i segnali intenzionali sono gli unici che possiamo sperare di scoprire. Le cose dovrebbero cambiare con la costruzione del gigantesco radiotelescopio Ska, ma perché sia pronto ci vorrà ancora una decina d’anni.

Naturalmente qualsiasi ipotesi in merito è destinata a rimanere tale finché non troveremo davvero un segnale alieno, tuttavia, nel tempo sono state elaborate alcune idee di fondo che generalmente sono ritenute abbastanza solide. Finora, però, non era mai stato possibile verificarle. È vero infatti che alcuni messaggi “di prova” sono già stati inviati verso le stelle, a cominciare dal celeberrimo “messaggio di Arecibo” del 1974, ma questo non ci dice nulla sul fatto che possano effettivamente essere ricevuti, decodificati, ricostruiti e interpretati correttamente.

Ora, invece, dopo appena una settimana dall’inizio dell’esperimento, sappiamo già che almeno i primi due passi sono possibili. Infatti, il segnale è stato ricevuto da tutti e tre i radiotelescopi e il messaggio in esso contenuto, attraverso un lavoro che ha coinvolto migliaia di persone di oltre cento Paesi del mondo, è stato estratto correttamente già nella notte fra il 31 maggio e il 1° giugno, ricavandone una sequenza di 8.212 simboli binari che corrisponde esattamente a quella creata da Daniela e dai suoi collaboratori.

Certo, non va dimenticato che, per quanto lontano sia Marte, rispetto alle stelle è pur sempre “nel nostro cortile di casa”, per cui le difficoltà tecniche erano molto minori. Da questo punto di vista è quasi un peccato che la sequenza sia stata determinata con assoluta esattezza: sarebbe stato infatti più interessante vedere se era possibile ricostruire il messaggio anche avendo “perso per strada” qualche bit, come quasi certamente accadrebbe con un messaggio reale, proveniente da una distanza decine o anche centinaia di migliaia di volte maggiore.

Inoltre, va tenuto presente che, per quanto il contenuto del messaggio sia tuttora segreto, si sa per certo, non fosse altro che per il piccolo numero di bit utilizzati, che esso non sarà realistico come la sua struttura. In un vero messaggio interstellare, infatti, si dovrebbe partire da concetti estremamente semplici e universali (verosimilmente quello logici e matematici), il cui significato dovrebbe essere “spiegato” pazientemente attraverso il loro uso, per poi passare a quelli scientifici e infine tentare (senza nessuna garanzia di riuscirci) di comunicare quelli relativi alla cultura. Ma in un messaggio con queste caratteristiche ciò non era possibile e d’altronde non era neanche nelle intenzioni, dato che lo scopo principale di A Sign in Space, più che dare delle risposte, è suscitare delle domande, approfittando del grande impatto simbolico e psicologico che ha nel nostro immaginario collettivo un messaggio da Marte, per quanto di origine umana.

D’altra parte, questa è anche da sempre una delle motivazioni principali per studiare fin d’ora il problema della comunicazione interstellare, senza avere ancora ricevuto nessun segnale alieno e senza nessuna certezza che lo riceveremo mai. Infatti, riflettere su questo ci obbliga a chiederci, in un modo molto più stringente di quanto potrebbe accadere se lo facessimo solo in astratto, che cosa c’è di davvero universale nella nostra ragione e nelle nostre conoscenze. In un certo senso possiamo considerarlo una specie di “esperimento mentale filosofico”, che era già stato proposto addirittura da Kant e che può aiutarci a capire meglio innanzitutto noi stessi, perfino se il contatto non dovesse verificarsi mai, o perché siamo soli nell’universo o perché la comunicazione è troppo difficile anche per le civiltà più avanzate.

Il progetto non ha un termine stabilito: andrà avanti finché continuerà a riscuotere interesse, attraverso iniziative di vario tipo, sia online che in presenza, in vari paesi, tra cui l’Italia. In particolare, l’Università dell’Insubria, attraverso il centro di ricerca InCosmiCon da me diretto e in cui Daniela riveste il ruolo di coordinatrice dell’area Space & Society, ha intenzione di preparare una serie di eventi, fino ad uno di grande rilevanza da tenersi nel 2024, in concomitanza con il 75° Congresso mondiale di astronautica che si terrà a Milano dal 14 al 18 ottobre. Per informazioni al riguardo tenete d’occhio questo sito.

Chi vuole partecipare alla ricostruzione e all’interpretazione del messaggio e alla discussione sul suo significato può farlo attraverso il sito del progetto. Tutte le spiegazioni relative si trovano in un video rilasciato dall’Inaf il 31 maggio. Per chi volesse saperne di più sui messaggi interstellari e, più in generale, sul tema della vita intelligente nel cosmo e sulle sue implicazioni culturali, filosofiche e religiose mi permetto di consigliare il mio recente libro La vita extraterrestre (Studium 2021), che contiene anche una lettera personale scrittami nel 2014 dal Papa Emerito Benedetto XVI in risposta ad alcune mie domande.

In conclusione, una cosa è certa: A Sign in Space è destinato a segnare uno spartiacque di portata storica in questo affascinante campo di ricerca, segnando un “prima” e un “dopo” da cui non si potrà più prescindere. E tutto questo lo dobbiamo a Daniela e al suo contagioso entusiasmo, che è (letteralmente) arrivato fino alle stelle, realizzando un’idea a cui molti, me compreso, avevano già pensato, ma che nessuno prima di lei aveva realmente creduto possibile. E anche questo ci insegna qualcosa di importante su noi stessi.

Fonte: Paolo MUSSO  | IlSussidiario.net

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