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Famiglia, risorsa o intralcio?

La famiglia è una risorsa per la società o rappresenta un intralcio?

Questa la domanda che segna l’apertura all’incontro dal titolo “Un’economia e una politica per le famiglie” tenutosi lunedì 8 agosto, a Viserba in Piazza Pascoli.

La voce della risposta è di Stefano Zamagnieconomista riminese; professore ordinario di Economia Politica all’Università di Bologna e presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. L’evento si inserisce nel ciclo de ‘ I Lunedì di Viserba’ organizzati dalla parrocchia Santa Maria a Mare ed è stato moderato dal fratello di don Aldo Fonti: l’avvocato Primo Fonti.

“Possiamo pensare alla famiglia attraverso una metafora che la rappresenta come un edificio decostruito, ma non interamente distrutto” inizia a spiegare il prof. Zamagni “ Pezzo per pezzo, l’istituzione della famiglia è stata smembrata e qual è il senso di questa immagine? Così com’è stata frazionata e separata, può essere ricostruita”.

L’economista decreta la crisi profonda nella quale la famiglia versa.

Una crisi letterale, scaturita però da che cosa?

“Sicuramente alcune novità che hanno caratterizzato la metà del secolo scorso hanno scostato il primo mattone dall’edificio che esiste da secoli ed esse sono: da un lato un fenomeno di importanza epocale che è la globalizzazione; dall’altro qualcosa che interessa più la sfera culturale che è il singolarismo. Quest’ultimo non è che l’ultimo stadio di un’altra ideologia, l’individualismo, la cui tesi centrale è quella di mettere l’individuo al centro della realtà. Parliamo però di un individuo che è parte integrante di una comunità, che può essere la famiglia, un gruppo politico o sociale. Nel corso del tempo si è arrivati ad una metamorfosi secondo cui esiste invece un singolo, un soggetto che si differenzia dagli altri e decide di recidere qualsiasi rapporto.

Ed ecco il singolarismo attuale. Negli Stati Uniti è stata addirittura istituita un’Università che verte proprio su questo concetto, l’University of Singularity.

Si pensa al singolo, al proprio profitto personale e molti intellettuali odierni si lasciano convincere dalle grandi imprese, come scritto nella Bibbia ‘per un piatto di lenticchie’ rinunciano ad avere libertà di pensiero”.

Quali sono le supposizioni da apporre alla ricostruzione della famiglia e al rifiuto del singolarismo che è causa della sua decaduta?

“Affinché possa partire una vera e propria politica della famiglia, sono necessari due presupposti.

Da notare l’importanza dell’espressione ‘politica della famiglia’ e non come spesso si legge ‘politica per la famiglia’. Perché? Se si usa la preposizione ‘per’ si segue un approccio di tipo assistenzialistico per cui un soggetto che può essere lo Stato o un’altra autorità, attua dei comportamenti in favore della famiglia.

Ma tutto questo è sbagliato perché la famiglia è un soggetto e non un oggetto della benevolenza pubblica o privata. Quindi, il primo presupposto per una giusta politica della famiglia è prendere atto che essa può essere ricostruita solo all’interno di un ecosistema, va quindi modificato quasi per intero il modello di ordine sociale perché non parliamo di un’entità astratta, ma di una parte integrante della società. Il secondo presupposto è capire che la famiglia è un soggetto che produce. Non è un soggetto di consumo come lo addita l’Istat. La famiglia produce capitale sociale, ovvero quella rete di relazioni di fiducia che si instaurano tra persone che si trovano in un determinato contesto.

La parola fiducia deriva dal latino ‘ fides’ che tutti credono significhi ‘fede’.

Sbagliato! ‘Fides’ vuol dire ‘ corda’. Ci si riferisce alla corda del liuto, la quale doveva essere ben tesa affinché lo strumento musicale potesse funzionare correttamente.

È dunque da qui che nasce l’idea della fiducia come corda: se tesa in senso verticale diventa ‘fede’, una relazione tra l’umano e il trascendentale; se tesa in senso orizzontale tra persone e persone diventa ‘fiducia’. Quindi la famiglia è il primo produttore di corde. Da chi i bimbi imparano a fidarsi? Dalla famiglia. E in futuro sapranno come approcciarsi ad altre persone. Possiamo portare anche l’esempio della sanità e dell’educazione.

Chi è il primo dottore dei bimbi? La prima maestra di vita? La famiglia. È vero che in assenza di essa potrebbero esserci agenzie altre che potrebbero intervenire per fornire lo stesso tipo di servizio, ma a quale costo? Molto alto e con scarsa efficacia, anche. Dunque la famiglia produce quelle che sono definite ‘character skills’, le abilità del carattere che si contrappongono alle ‘cognitive skills’, le abilità cognitive. La maggior parte delle imprese e aziende al giorno d’oggi sono interessate alle prime: se anche non si è un genio, ma si possiede un buon carattere ben propenso all’adattamento e all’apprendimento si ha successo assicurato. La famiglia promuove questo, educa alle virtù nel senso aristotelico del termine.

Ed è dunque il maggior produttore per la società.”

Quali le possibili soluzioni per questa questione delicata?

“La prima soluzione potrebbe essere prendere in considerazione il quoziente famigliare, introdotto nella laicissima Francia nel 1944 e mai più destituito. Noi, Paese cattolico, non lo abbiamo ancora mai introdotto.

Tre anni fa per legge si è affermato il fattore famiglia, ma non è lo stesso. Quale la differenza tra i due? Il primo decreta il pagamento delle tasse misurandolo in base alla numerosità dei componenti della famiglia e alla presenza di minori o anziani; il secondo invece è una sorta di bonus distribuito alle famiglie come supporto al pagamento delle tasse. Ma, come già detto, quest’ultimo approccio è legato ad un assistenzialismo paternalistico tipico delle politiche PER le famiglie.

Una seconda soluzione è l’armonizzazione tra i tempi di vita famigliare e i tempi di vita lavorativa.

Attenzione, non si tratta di una conciliazione, secondo cui gli uni dovrebbero risultare alternativi agli altri. Parliamo di una compatibilizzazione. Uscire di casa alle 7 del mattino e tornare in tarda serata non promuove certamente la convivialità e uno stato sereno all’interno del nucleo famigliare. Non si riesce a far capire che l’attuale situazione critica da un lato contribuisce all’indebolimento del tasso di natalità, dall’altro è causa dell’imbruttimento delle relazioni intra famigliari.

Negli Stati Uniti, sono state adottate soluzioni alternative. Dopo il ‘DINKS’ ( Double Income No Kids – doppio reddito, nessun bambino), – fenomeno sociale recente secondo cui una coppia decide di posticipare la scelta di avere figli per un determinato periodo di tempo, a volta rinunciandovi del tutto, per potersi dedicare alla carriera professionale – si è pensato ad un nuovo modello: il Greedy Jobs (Lavori Avidi).

Si dà la possibilità ai lavoratori uomini e donne che siano, di scegliere se intraprendere un contratto da 40 ore settimanali oppure un contratto a chiamata che però, presupponendo una disponibilità a qualsiasi orario e giorno della settimana, è retribuito al 50% in più del primo. Gli Americani almeno sono pragmatici. Per arrivare all’armonia di cui parlavo prima è necessario abbattere definitivamente il modello taylorista che nel nostro Paese è ancora oggi molto sviluppato. Già negli anni 30, Antonio Gramsci, all’interno dei Quaderni dal Carcere, scriveva feroci pagine in cui additava al taylorismo l’uccisione dell’umano a favore di un maggior profitto. Il lavoro deve essere decente, e lo diventa quando fa sentire la persona capace di autorialità, perché ognuno di noi ha dentro l’ispirazione a sentirsi autore”.

Si tratta di idee realizzabili o di utopie?

“Quello che occorre è cambiare mentalità. Sono idee sicuramente realizzabili con un certo impegno. Le persone che ne sentono parlare per la prima volta magari non ci avevano mai pensato, ma si trovano d’accordo. Perché alla fine tutto impatta sulla felicità. Non troveremo mai una persona che dica ‘non voglio essere felice’, magari qualcuno che affermi ‘mi accontento di quello che ho’, sì, ma nessuno che non voglia, nel profondo, trovare la felicità. E allora quando si tocca questo nervo scoperto, si inizia ad intravedere una reazione.

Ma bisogna esser pronti a cambiare, a capire che qualcosa di nuovo deve arrivare, per cambiare le cose. Nell’Apologia di Socrate, troviamo scritto ‘io so di aver avuto ragione, ma so di non esser riuscito a convincere gli altri perché non ho convissuto con loro’, per convincere serve convivere. Non basta usare la testa, bisogna convivere, esattamente quello che la famiglia fa. La famiglia è luogo di convivenza e nella convivenza avviene il miracolo per cui problemi che sembrano irrisolvibili, invece trovano lì la soluzione.

Ci sono dunque tutte le premesse per procedere ad una ricostruzione dell’istituzione fondamentale che è la famiglia”.

Fonte: Martina Bacchetta int. Stefano ZAMAGNI | IlPonte.com

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