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«Il patriarca Kirill è stretto tra due fuochi»

Stefano Caprio, docente di storia e cultura russa al Pontificio istituto orientale di Roma, spiega a Tempi cosa c’è dietro il discorso di Kirill e perché i vertici della Chiesa ortodossa faticano a opporsi al conflitto in Ucraina

«Penso che il Cremlino abbia esercitato pressioni sul patriarca Kirill». Così Stefano Caprio, sacerdote e docente di Storia e cultura russa al Pontificio Istituto orientale di Roma, si spiega parlando con Tempi il sermone di domenica del patriarca ortodosso di Mosca. Kirill ha affrontato il conflitto in Ucraina evocando «una lotta che non ha un significato fisico, ma metafisico», spiegando che le popolazioni del Donbass in particolare stanno subendo l’imposizione di una cultura occidentale che «viola la legge di Dio»: «Per entrare nel club di quei paesi è necessario organizzare una parata del gay pride», ha detto.

Professore, come si spiega l’utilizzo di toni così duri da parte del patriarca Kirill?

Quella di Kirill era una citazione della lettera che il monaco Filofej di Pskov nel XV secolo inviò al principe di Mosca per dirgli che lo zar deve difendere la Chiesa, la Russia e il mondo intero da tre pericoli.

Quali pericoli?

Innanzitutto l’eresia, compresa quella cattolica di Roma; in seguito l’invasione, con riferimento agli agareni, cioè ai musulmani che volevano invadere Constantinopoli; infine la sodomia, che era ritenuta la massima espressione dell’immoralità. Citando il gay pride, quindi, il patriarca di Mosca vuole certamente provocare la mentalità occidentale contemporanea, ma soprattutto riaffermare quella che è ritenuta essere la missione storica della Russia e della Chiesa russa, e cioè salvare il mondo dalla degradazione morale e dall’eresia.

Che visione dell’Occidente ha la Chiesa ortodossa russa?

Ritiene che la nostra cultura sia degradata, anche se di solito i toni utilizzati sono meno accesi. Il fatto che Kirill si sia espresso in questo modo dopo dieci giorni di silenzio lascia pensare che ci sia stata qualche pressione da parte del Cremlino. È vero che Kirill ha già usato toni simili in passato, ma solitamente sono altre personalità a parlare in questo modo.

Chi?

Il metropolita di Pskov, Tikhon, ad esempio. Lui è il padre spirituale di Vladimir Putin, quello che ha favorito la sua conversione e negli anni scorsi è spesso intervenuto utilizzando toni forti.

Si aspettava che Kirill si schierasse così apertamente a favore del Cremlino?

Sì, perché Kirill ispira la politica di Putin da decenni e non era possibile che lo smentisse del tutto. Inoltre, bisogna considerare che nella Chiesa ortodossa russa, che Kirill deve rappresentare, esistono settori ancora più radicali, monaci e vescovi che in passato hanno accusato Putin addirittura di essere troppo debole. Sono gli stessi che negli ultimi anni hanno denunciato le politiche anti-Covid, ritenendo la pandemia un complotto mondiale.

Kirill ha dunque le mani legate?

Il patriarca in passato è stato ritenuto abbastanza filo-occidentale, ma anche se volesse ora non potrebbe usare toni concilianti. In questo momento è stretto tra due fuochi: la sua preoccupazione principale oggi, in realtà, è non rompere definitivamente con gli ortodossi ucraini che sono rimasti fedeli a Mosca e che ora sono infuriati con lui perché sostiene Putin. Non dimentichiamo che la parte ucraina della Chiesa ortodossa russa ne costituisce la metà.

La rottura è inevitabile?

Una mossa in questo senso l’hanno fatta gli ucraini: quasi tutte le chiese del Patriarcato di Mosca domenica si sono rifiutate di nominare il patriarca durante la Messa. Anche se non canonicamente, dunque, spiritualmente si sono già staccate. Onofrio, il metropolita di Kiev e primate della Chiesa ortodossa russa fedele a Mosca in Ucraina, è sempre stato leale con la Russia e non voleva che una parte della Chiesa ortodossa diventasse autocefala (come stabilito nel 2018 dal patriarca della Chiesa ortodossa di Costantinopoli, Bartolomeo, ndr). Ma non può tollerare neanche che la Russia schiacci l’Ucraina.

Perché storicamente la Chiesa ortodossa russa è così legata al potere politico?

Servirebbe troppo tempo per dare una risposta esaustiva, diciamo che sono insieme dall’origine stessa della Russia. Perfino al tempo dell’Unione Sovietica, quando la Chiesa ortodossa fu perseguitata, Stalin decise di rispolverarla per rinfocolare lo spirito patriottico durante l’invasione di Hitler. Così nacque la chiesa di Stalin, che del resto era un ex seminarista che sognava da bambino di diventare patriarca della Georgia. E Kirill, da giovane monaco, fu cresciuto dal gruppo dei metropoliti di Stalin.

Il legame dunque è inscindibile.

C’è sempre stato e in alcuni periodi la Chiesa prevalse sul potere politico. Quando sorse la dinastia dei Romanov, che perdurò fino al 1917, il primo zar, Michail Fedorovic, era il figlio del patriarca esponente della famiglia Romanov. E per una ventina d’anni a comandare fu il patriarca e non lo zar. Viceversa, nel 1700 Pietro il grande decise di eliminare il patriarcato per non avere interferenze. Da allora la Chiesa ortodossa russa fu molto sottomessa allo zar fino all’avvento del comunismo.

E dopo il comunismo?

Da allora la Chiesa ortodossa è tornata in auge perché ha fornito l’armamentario ideologico della nuova Russia. Bisogna anche dire che Putin negli ultimi dieci anni è andato oltre, ma ormai la Chiesa ortodossa fatica a smentirlo.

La Chiesa ortodossa russa è dunque favorevole alla guerra in Ucraina?

Non in modo monolitico. Ci sono tanti sacerdoti, laici e professori universitari in Russia e all’estero che si sono espressi contro la guerra in Ucraina, ma sono stati emarginati.

All’inizio del conflitto si poteva forse sperare in una mediazione favorita da papa Francesco e dal patriarca Kirill, che avevano parlato di Ucraina anche nella famosa dichiarazione congiunta del 2016, frutto dello storico incontro a Cuba, presso l’aeroporto internazionale José Martí dell’Avana. È ancora possibile?

I rapporti tra i due ultimamente erano molto buoni. Bisogna dire che anche l’incontro del 2016 fu un po’ condizionato dalla politica internazionale: Mosca allora aveva bisogno di consenso per entrare militarmente in Siria. Quell’incontro fu favorito proprio da Putin e le dichiarazioni congiunte sull’Ucraina non piacquero affatto agli ucraini, che si sarebbero aspettati parole di condanna per l’operato del Cremlino. Diciamo che pur di realizzare lo storico incontro, il Vaticano accettò di farsi un po’ usare politicamente. Credo che il Papa sia disposto a cedere molto pur di favorire la pace con la Chiesa ortodossa, non tanto però da spingersi ad approvare il conflitto in Ucraina.

Lei che cosa pensa della guerra?

Penso che bisognerebbe fare di tutto per convincere gli ucraini a cedere qualcosa pur di ottenere la pace. Temo altrimenti che si verificherà una strage.

Fonte: Leone Grotti | Tempi.it

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