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FOCUS INFLAZIONE/ I dubbi sugli effetti delle rivoluzioni tech e green

 

Il rapido sviluppo tecnologico e la rivoluzione green possono avere effetti sull’inflazione? Sul tema c’è un dibattito privo di conclusioni univoche

Va subito precisato che l’area di analisi di questo argomento è di fatto sterminata e travalica la macroeconomia in senso stretto per relazionarsi in maniera interdisciplinare all’informatica, alla tecnologia dei metalli, alla tecnologia dell’energia, alla meteorologia, ecc. Tra le altre cose, lo scrivente ha formazione tecnico-quantitativa in ambito macroeconomico e pertanto il relazionarsi a un’esposizione interdisciplinare pone non poche difficoltà e comunque errori di valutazione, o detto meglio, a dei forti giudizi di valore.

Comunque, l’incipit iniziale di questo intervento è il seguente, dandogli l’identitaria connotazione economica: in linea generale la rivoluzione informatica e lo sviluppo tecnologico sono potenti fattori di shock negativi sull’inflazione, mentre i vincoli che derivano dalla discussione sui cambiamenti climatici sono fattori incrementativi dell’inflazione. È del tutto evidente da queste premesse che non ci troviamo di fronte all’esito di un mach sportivo (vince A oppure B?), ma di fronte a un complessissimo e articolato percorso della storia dell’umanità dei tempi a venire; i giudizi di valore caricano gli scenari di forti tensioni emotive: i catastrofisti, i movimenti per la decrescita felice, l’abbattimento della natalità, ecc., ma l’elenco è pieno di tutti i problemi che si vogliono ritrovare.

Nello spunto della presente trattazione, si è creduto utile per dare una qualche forma ed efficacia all’analisi di un argomento vasto e nebuloso, concentrarsi sul perché un fattore, una dimensione della società scateni inflazione e d’altra parte il caso opposto dell’abbattimento della stessa. Quindi, se esaminiamo uno dei fattori più appariscenti, e cioè la rivoluzione informatica, sembra evidente che il suo ingigantirsi nella dimensione sociale porti a inflazione in discesa; gli esempi sono molteplici e uno dei primi riguarda gli spostamenti con le auto, e poi in progressione treni, aerei navi; da casa, con la moderna connettività informatica, c’è una fruizione di beni di consumo e servizi che solo trent’anni fa avrebbero richiesto il 90-85% in più di consumo di idrocarburi: prendere l’auto e andare in banca, andare presso 2-3 uffici pubblici, ecc.

La questione diventa un pochino più complessa perché al fantastico abbattimento di costi di trasporto classici dato dai computer è corrisposta l’esplosione di consumi di 3°-4° livello, in primis il turismo; infatti, è incredibile pensare che prima dello scoppio della pandemia l’industria del turismo era (di fatto potenzialmente è anche nel post-Covid, serve un po’ di tempo per l’abbattimento di tutte le restrizioni) la prima per fatturato del mondo con valori di circa 2.400 miliardi di dollari, precedendo in tal guisa l’industria aerospaziale, l’industria estrattiva di metalli, l’industria degli idrocarburi.

Quindi, da una parte la connettività informatica ha abbattuto in maniera esponenziale l’uso di idrocarburi, dall’altra la dimensione di maggiore benessere ha aumentato in maniera altrettanto forte l’utilizzo di idrocarburi. C’è poi sullo scenario oramai dei prossimi 5-6 anni l’avvento quotidiano dell’idrogeno, dalle abitazioni (elettricità , riscaldamento) fino ad arrivare alle auto, agli aerei e alle navi; in buona sostanza è l’idrogeno il candidato vero su cui si sono e si stanno concentrando le risorse per non utilizzare più il petrolio; il vero problema fondamentale dell’idrogeno a tutt’oggi è che nell’uso quotidiano può portare incontro a disastri veri se per disgrazia succedono malfunzionamenti; il vero sforzo della tecnologia dell’idrogeno è di arrivare tra 5-6 anni a un tasso di sicurezza pari a quello del petrolio e in seconda battuta risolvere i problemi che derivano sempre dalle cose nuove: reti di distribuzione e infrastrutture di stoccaggio e produzione.

Esaminiamo ora il lato opposto della questione: la discussione sui cambiamenti climatici e l’insorgere di vincoli all’utilizzo di risorse che rendendone il costo proibitivo, in termini macroeconomici implicano problemi di stagflazione severa (inflazione e depressione in maniera congiunta); un punto di partenza (questo però già inizia a essere un giudizio di valore dello scrivente) è che la discussione sui cambiamenti climatici si concentra sugli effetti e non sulle cause; in sostanza i sostenitori duri del cambiamento climatico affermano che ci sono una tale e tanta varietà di fenomeni climatici aberrati che già da sola questa constatazione chiude la discussione a ogni idea strutturalmente opposta. Chi scrive invece crede che la questione sia molto più complessa, sottile e sfumata, in quanto, seppur non negando evidenze tangibili, come ad esempio le bolle di calore su California, Australia, Polo Artico oramai da anni presenti nei fatti quotidiani, questi eventi non sono cause ma risultati, e quindi la prima operazione divulgativa da sottolineare in modo più robusto è la ricerca delle cause.

Orbene, a livello scientifico conclamato si sa oramai che il 95% del clima e delle variazioni ambientali del pianeta dipende dall’attività solare, mentre per il residuo 5%, circa il 4% va ascritto a fenomeni del pianeta in se stesso (deriva dei continenti, vulcani, terremoti, interazioni tra troposfera e stratosfera, ecc.) e il residuo 1% circa all’attività antropica, vegetale e animale. Di fatto, da un’iniziale convinzione dell’uomo come modificatore del clima si è passati all’idea odierna degli ambientalisti dell’influenza che l’attività antropica ha sulla velocità di variazione dei fenomeni climatici, e quindi in via diretta nessun influsso sui valori assoluti, ma indirettamente si potrebbe disquisire che modificate velocità di variazioni di eventi vadano a impattare prima o poi anche sui valori assoluti.

L’esempio è il seguente. Immaginiamo un arco immenso di pietra (come quelli ad esempio delle città etrusche di Perugia e Volterra): se a questo arco togliamo la sola pietra di volta che in termini di superficie è pari forse nemmeno all’1% di tutta la struttura, l’arco cede; così è quindi per il Polo Nord, sebbene sia una piccola area in confronto al pianeta terra, la sua funzione di ipotetica chiave di volta della regolazione climatica della Terra, porta al fatto che un’alterazione delle sue funzioni cambi in maniera apocalittica il clima a tutte le latitudini.

Giova però ribadirlo ancora: tutte queste sono ipotesi scientifiche (e in alcuni casi solo euristiche) che si cercano di convalidare non con la costruzione di modelli dei fattori causativi (cosa al momento impossibile e sconosciuta), ma con la riprova di effetti meteorologici avversi del tutto aberrati: un procedimento induttivo. Ma al di la di questa discussione di per sé sterminata, ciò che agli effetti pratici si impone è che la paura di distruggere e modificare ambienti e climi impone lo stop all’utilizzo di risorse della litosfera, soprattutto idrocarburi data la loro emissione di gas serra; in sequenza, per com’è organizzata la nostra società produttiva e dei consumi, significa che il prezzo dei beni vada alle stelle oppure che i beni prodotti fino a un certo momento scompaiano; il tutto dipende se viene innalzato con tassazione il costo di una risorsa per far diventare sempre più cari i beni prodotti e quindi disincentivarli oppure vietare proprio l’utilizzo di una risorsa e quindi decretare la scomparsa di un certo bene (ipotesi di depressione più che di deflazione).

L’argomento è enorme, fatto di innumerevoli diramazioni di analisi che non è possibile affrontare, tranne un’ultima dandone solo un accenno per la sua nobiltà e la sua esizialità: l’acqua potabile.

Un’immagine potente: a fronte di centinaia di milioni di persone che attualmente soffrono la sete vera, cioè 1-1,5 litri d’acqua al giorno (in media!), ci sono nell’occidente utilizzatori di acqua potabile che nei casi di lusso estremo giungono a 100.000 litri al giorno per persona: acqua di fatto buttata nel nulla, di fatto con un afflato religioso donata al diavolo.

In sostanza, più che di cambiamento climatico, a parere dello scrivente, si dovrebbe parlare della moltitudine di inquinamenti ambientali (abbiamo del tutto ignorato ad esempio gli effetti catastrofici del cemento armato, che agli ambientalisti più ideologizzati e ignoranti fanno confondere cause ed effetti). E in conclusione, il legame tra inflazione e le opposte forze dello sviluppo e della libertà (tecnologhi, ecc.) da una parte, e del vincolo e della giustizia dall’altra (ambientalisti), è un ordito troppo vasto e indeterminato per comprenderlo in maniera che dia soddisfazione piena; lo si può soltanto vagheggiare a pennellate confuse. Almeno per chi scrive.

Fonte: Giovanni Ricci | IlSussidiario.net

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