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La copertina de L’Espresso: un insulto alle donne e alla maternità

Una “donna” trans con barba e peluria virile, che ha subito mastectomia conservando però l’utero per poter partorire, sul cui pancione c’è scritto: “la diversità è ricchezza”. Eppure con questa copertina è proprio la diversità femminile ad essere calpestata e annullata! Come a dire: chiunque può essere madre, basta un utero. Così “le mamme non servono più” (Eugenia Roccella).

Perché in occasione della giornata internazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia il settimanale l’Espresso, per veicolare la propria posizione a favore del ddl Zan, ha scelto una copertina che ritrae un “mammo” in avanzato stato di gravidanza sulla cui pancia troneggia la scritta “la diversità è ricchezza?” Cosa c’entra?

L’Espresso mostra il vero obiettivo del ddl Zan

Apparentemente nulla, visto che il ddl Zan si dovrebbe occupare, come recita il titolo della proposta di legge, di: “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”.

Siamo quindi di fronte ad un cattivo giornalismo, nel senso del becero tentativo di “fare cassa” scandalizzando? Assolutamente no, anzi come qualcuno ha già ironicamente affermato la cover dell’Espresso è l’esempio di un “buon” giornalismo, perché chiarisce in modo assolutamente comprensibile a tutti che il vero obiettivo del provvedimento è l’identità di genere nel senso della libera autocertificazione o self id.

La cover de L’Espresso: un androgino senza gli occhi

Proviamo a leggere cosa ci racconta quest’immagine. Una donna che si è fatta mastectomizzare (si vedono chiaramente le due cicatrici sul petto) e ha preso massicce dosi di testosterone per assumere i caratteri sessuali secondari maschili (barba e peluria virile), ma ha conservato l’utero tanto da portare avanti una gravidanza e proporsi come un uomo in procinto di partorire. 

Ci saremmo aspettati una copertina con due ragazzi che si tengono per mano, o due donne mentre si baciano, ed invece no: abbiamo un androgino, un uomo trans o come si dice oggi FtM (da femmina a maschio) che non avrà la possibilità di allattare ma è in grado di mettere al mondo una vita.

Un “uomo incinto”

Un essere ambiguo ritratto senza gli occhi, che sono il fondamento e il simbolo per eccellenza della relazionalità, dell’espressione del sentimento fra gli umani, autarchico e solo, apparentemente onnipotente: può essere tutto e il contrario di tutto.

Questo ci viene proposto come arricchimento: un “uomo incinto” che dovrebbe rappresentare il segno della evoluzione della civiltà, di quel progresso che tutti dovremmo incoraggiare e difendere, pena l’essere additati di sessismo, fascismo, omofobia, transfobia, razzismo e chissà quali altri orribili crimini.

L’accusa di transfobia

Ad esempio chi, come in questo caso, una volta fu donna pretenderà di essere definito uomo partoriente, e accuserà di misgendering (“Il misgendering si verifica quando, intenzionalmente o meno, ci si riferisce a una persona transgender usando termini che si riferiscono al sesso biologico, e non all’identità di genere in cui questa persona si riconosce” robadadonne.it) e transfobia chiunque avrà l’ardire di affermare che solo le donne partoriscono o hanno la vagina, qualora decidesse di conservare anche quella.

“L’identità percepita”

La cover dell’Espresso chiarisce quindi definitivamente che l’architrave sottesa alla legge è l’identità di genere intesa nel senso di autocertificazione di genere. Come afferma lo psicanalista Claudio Risé:

(…) la battaglia per la punizione delle “parole e gesti d’odio verso i gay” (peraltro già oggi perseguibili) è la copertura di un’operazione diversa e molto più complessa: la sostituzione del riconoscimento dell’identità sessuale con “l’identità percepita”: il gender (…) È la ribellione più profonda possibile verso la natura, oggi formalmente omaggiata da partiti ecologisti e anche dai vertici delle multinazionali che spingono (giustamente) la transizione a un’economia ecologicamente sostenibile. Poi però molti di loro, come la Open Society di George Soros, tra i maggiori finanziatori delle organizzazioni Lgbt, appoggia la demolizione delle identità naturali: maschio femmina, madre-padre. Agli Lgbt, oggi il gruppo di pressione più potente del mondo,  si accodano volentieri partiti sfiatati, ormai privi di identità, programmi e militanti. Queste nuove identità “autopercepite” non corrispondono più ai corpi in cui si è nati, ma a “ciò che ci si sente”. E che poi può variare nel corso della vita, come effettivamente accade. Siamo dunque ad un livello molto diverso della difesa delle minoranze, non più oppresse da tempo. Qui si vuole invece rovesciare l’ordine simbolico fondato sui due sessi, maschile e  femminile – sul quale si è finora sviluppata l’umanità e la personalità di tutti, donne e uomini di ogni sesso e orientamento in tutto il mondo. Ma il risultato sarebbe il caos”.

Fonte: Silvia LUCCHETTI | Aleteia.org

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