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Paola Turani, dopo anni di infertilità è arrivato il “miracolo” della vita

Tutto era pronto per la fecondazione assistita, in frigo c’erano già le punture per la cura ormonale. Ma inaspettatamente il concepimento è arrivato naturalmente, “il nostro piccolo grande miracolo” dice la modella Paola Turani.

Giovane, bellissima, famosa e innamoratissima del marito. Paola Turani, modella e influencer di origini bergamesche, è un volto amatissimo. E che volto. Tra le celebrities che spopolano sui social il suo profilo spicca per garbo e naturalezza, anche eleganza. Lavora da quando aveva 16 anni nel mondo della moda, ma egli ultimi anni la sua carriera è decollata in modo strepitoso. Le grandi firme se la contendono, l’abbiamo vista sfilare sui red carpet più glamour, ma nei suoi canali social si mostra sempre con una spontaneità gentile.

Dietro questa facciata meravigliosa, covava un segreto di dolore. Per 8 anni ha desiderato diventare madre, ma non è accaduto. E poi, dopo una diagnosi di infertilità e la preparazione per il percorso della fecondazione assistita, ecco arrivare una sopresa che scardina tutto. E’ rimasta incinta naturalmente e oggi è al quarto mese di gravidanza.

Eravamo pronti, ma …

Struccata e in lacrime, Paola Turani si è mostrata ai suoi quasi 2 milioni di followers su Instagram per raccontare la storia dolorosa del suo desiderio a lungo frustrato di diventare mamma. Legata da tanti anni all’imprenditore Riccardo Serpellini, che ha sposato nel 2019 con rito civile, ha condiviso con lui la sofferenza di non riuscire a concepire naturalmente un figlio per tanti anni.

Nel 2013 i due decidono che “sono pronti” per fare un figlio. Sì, lo sappiamo, uno dei verbi preferiti dell’ homo contemporaneus è pianificare. Essere pronti, che abbaglio. Lo si può essere di fronte alla venuta di un figlio? Mai. E la cronaca di questa storia è proprio tutta nello scarto che c’è tra il volere un figlio e il riconoscere una sorpresa.

 

L’infertilità non è colpa di uno dei due

Nel 2013 io e Ricky ci siamo sentiti pronti a provare ad avere un figlio, senza fretta, ci siamo detti “Vediamo cosa succederà!”. Per molto tempo l’abbiamo vissuta con serenità, fortunatamente siamo sempre stati impegnati con il lavoro ed ero talmente concentrata che non ho mai pensato seriamente al tempo che passava. Poi però i mesi che trascorrevano sono diventati anni. “Arriverà.. magari non è il momento giusto.. riproveremo” pensavamo. Ma questo momento non arrivava mai. Ci sono stati mesi in cui mi sentivo più suscettibile e soffrivo; mesi, invece, in cui non ci pensavo.

Sì, ha ragione. L’infertilità è un argomento tabù, anche se molto diffuso (e in crescita). Fa bene Paola Turani a parlarne senza girarci attorno: ci si sente impotenti, ci si vergogna di fronte a chi ingenuamente chiede “E voi? Quand’è che fate un figlio?”.

Apparentemente è così facile, ci si ama e si genera. La ferita dell’infertilità forse oggi ci mostra più di ogni altro ragionamento che concepire non è fare . Il verbo fare mette al centro le nostre capacità, la nostra volontà e tutta quella caterva di azioni da padroni della realtà su cui fondiamo il nostro valore. Ospitare è il verbo del concepimento, e ammette anche un’assenza. La porta di casa resta aperta ma l’ospite non arriva, ma la casa non diventa un posto inutile. C’è uno spazio che resta in sospeso.

Ridurre l’infertilità a un difetto che rende la persona incapace di procerare è l’anticamera per distruggere anche la vita di coppia. Tutto potrebbe ridursi ad addossare la colpa al marito o alla moglie.

Ho capito che quando si parla di infertilità si parla di infertilità di coppia e quindi si parla al plurale.

Paola Turani – Instagram

Al di là delle diagnosi specifiche che possono riguardare anche solo uno dei due coniugi, il passo comprensibilmente faticoso ma necessario è che sia custodito come un dolore plurale, in cui abbracciarsi e vincendo la tentazione di addossare la responsbilità a sé o all’altro. Ha ragione su questo la Turani.

 

Non basta una risposta tecnica al “problema”

Causa – effetto. Problema – soluzione. Buona parte dell’umanità è vittima del miraggio tecnologico. Il progresso sarebbe quella benedetta macchina che più avanza più risolve problemi. Un gran bell’alleato, no?

Può andare bene per un rubinetto che esistano attrezzi sempre più sosfisticati per ripararlo. Ma per quel che riguarda l’uomo è un’altra faccenda: la stretta logica di problema-soluzione non risponde adeguatamente ai suoi bisogni. Mi sono immedesimata molto nel pianto di Paola Turani, quando confida l’impotenza di un’attesa frustrata di mese in mese.

Ed è evidente che dietro quelle lacrime ci sia qualcosa di più “grosso” del poter tenere in braccio un bambino. Il concepimento, il desiderio di genitorialità tocca la corda profonda del senso ultimo del nostro esserci. Siamo fecondi?Siamo parte di quel grande progetto che è scritto nella vita?

Rispetto a questo orizzonte, il numero di followers e contratti è ininfluente (risibile, anzi). Rispetto a queste urgenze, che lacerano ma spalancano davvero l’essere umano, c’è una premura consolidata a spegnere in fretta l’incendio che brucia.

La risposta tecnica al dramma dell’infertilità spesso e volentieri si riduce alla PMA, procreazione medicalmente assistita. E’ un percorso davvero tosto per chi lo intraprende, fisicamente ed emotivamente. Ed è frutto dell’uomo che presume di rispondere con una capacità tecnica a un bisogno radicato nell’anima, a tutti i costi. Embrioni congelati, punture ormonali, una tabella complessa di procedure da rispettare.

Stenta ancora ad essere ospitata nella comunicazione mainstream la voce di un’alternativa più compiutamente umana della mera riduzione del tutto a una fabbricazione di figli. Perché è – apparentemente – facile il sentiero di chi riduce tutto al “manca un figlio-ti metto in braccio un figlio”.

Ma non c’è da stracciarsi le vesti nel constatare che a Paola Turani e suo marito sia stata offerta come unica alternativa possibile quella della PMA e che loro erano pronti ad affrontare un percorso che sapevano non facile.

“La vita ci ha sorpreso in un momento inaspettato”. Cos’è un miracolo?

Con i VIP il rischio del moralismo è sempre dietro l’angolo. Li passiamo allo scanner del nostro metal detector interiore in attesa che suoni l’allarme, spesso molti allarmi. Paola Turani chi? Quella che va al Gay Pride? Quella che non si è sposata in chiesa? Eccetera eccetera.

Quanto vorremmo che certi discorsi sulla vita venissero solo dai pulpiti sotto cui siamo sempre pronti a inginocchiarci. Ma anziché replicare a certe obiezioni, viene solo da dire che ascoltare è sempre un gran bel verbo. A volte dà il privilegio di scuoterci dal torpore. Perché dopo anni e anni di ritornelli sulla dignità della vita fin dal suo naturale concepimento, fa bene a tutti rinfrescarsi le idee sul fatto che non è solo un discorso.

I fatti che si sono messi in fila nella storia di Paola Turani l’hanno portata a riconoscere l’evidenza di un “piccolo miracolo”. Miracolo è una parola che può benissimo essere usata senza nessuna accezione religiosa e resta eclatante, purché sia piantata nella realtà. Di solito la si pronuncia per dire l’inatteso, una corrispondenza imprevista e non pianificata.

Ed è l’irruenza di questo scarto rispetto alla progettualità che lascia sulla soglia della meraviglia.

Avevamo preparato tutto. In frigorifero tenevamo le punture per la mia cura ormonale da effettuare durante il percorso. … è successo qualcosa che ha dell’incredibile. Proprio nel mese in cui dovevamo iniziare la procreazione medico assistita io sono rimasta incinta, naturalmente. Questa notizia ha spiazzato tutti, medici compresi, eravamo increduli ma di una felicità che è impossibile spiegare a parole! È successo così, dopo 8 anni. Mi piace chiamarlo: il nostro piccolo grande miracolo. Dopo tanta sofferenza è arrivata la nostra gioia».

Paola Turani – Instagram

 

Ecco la definizione esatta di incidente, qualcosa di non previsto che incide. Un segmento non allineato e secante, che scrive un’altra storia dentro quello che era stato sigillato in un progetto prestabilito. Vanno a quel paese le tabelle e i medici sono spiazzati. Gli ormoni in frigo restaranno lì a raffredarsi. Quello che non era affatto probabile, accade. Miracolo sì, è vero. Ma attenta, cara Paola, a definirlo nostro.

Miracolo è proprio tutto ciò che nostro non è. “Nostro” è saper identificare gli orari migliori per pubblicare una foto su Instagram, pianificazioni basate su mere statistiche. Ma quando una presenza nuova è uno schiaffo ai nostri schemi, allora “nostro” non basta più. L’orizzonte si dilata in un campo da gioco più vasto, assai poco ego-centrato. Ed è proprio quello il miracolo, riconoscere il cambio di corsia … il tornante pericoloso … il dosso imprevisto sul rettilineo.

E il bello del miracolo è il suo darsi senza limiti, oltre la corrispondenza personale. E’ fantastico quando un imprevisto si manifesta come un’attesa che si compie nel modo sperato. Ma il miracolo è anche di più. Nell’applaudire il lieto evento che riguarda la Turani e suo marito, abbracciamo chi – là fuori – forse accoglierà il mistero di un miracolo ancora più ardito: non provare la gioia di tenere in braccio | un bambino, ma soprendersi fecondi grazie a occasioni imprevedibili e altrettanto piene di un bene gratuito.

Fonte: Annalisa TEGGI  | Aleteia.org

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