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Vaccini creati utilizzando cellule fetali? Ecco perché la Chiesa ne ammette l’uso

Un lettore chiede informazioni sui vaccini anticovid che utilizzano cellule provenienti da feti abortiti, che alcuni movimenti cattolici condannano. Padre Maurio Faggioni, docente di teologia morale, spiega perché invece la Congregazione per la dottrina della fede ne ha dichiarato la liceità morale.

Perché alcuni movimenti cattolici e autorità ecclesiastiche condannano i vaccini anticovid che utilizzano cellule provenienti da feti abortiti, anche se la Congregazione per la dottrina della fede ne ha dichiarato la liceità morale?
Fabiano D’Arrigo

Risponde padre Maurizio Faggioni, docente di Teologia morale

La vaccinazione avviene immettendo nell’organismo umano gli agenti patogeni uccisi o attenuati o parti di essi o sostanze da essi prodotte. Nella produzione tradizionale di un vaccino abbiamo bisogno di avere grandi quantità del batterio o del virus interessati e, nel caso particolare dei virus, per moltiplicarli occorrono cellule viventi. Per esempio, i vaccini antiinfluenzali vengono preparati classicamente su uova embrionate di pollo. Alcuni virus di malattie infettive gravide di pesanti conseguenze, come la rosolia, il morbillo, l’epatite A, l’herpes zoster vengono fatti moltiplicare in terreni di cellule umane e, nella pratica dei laboratori, si usano linee cellulari di origine fetale provenienti da aborti procurati avvenuti nella seconda metà del secolo scorso. Queste cellule non sono – sia chiaro – le cellule di quei feti uccisi, ma sono linee cellulari che derivano da quelle per successive divisioni. Il rapporto con l’aborto procurato è motivo di turbamento che, ovviamente, non ci sarebbe se quelle linee cellulari provenissero da aborti spontanei.
Nel caso del Covid-19 sono giunti nell’uso clinico o stanno giungendo in dirittura d’arrivo vaccini di nuova concezione che non chiedono passaggi su terreni cellulari di origine fetale, come quello della Pfizer. Si tratta di un tipo di vaccino che introduce nell’organismo, attraverso nanoparticelle lipidiche, l’RNA messaggero che serve per produrre non tutto il coronavirus, ma soltanto le sue caratteristiche punte (spikes). Altri vaccini già in uso o in avanzata fase di sperimentazione usano invece, come vettore del materiale genetico del coronavirus, un adenovirus reso innocuo e prodotto in grandi quantità in linee cellulari fetali: Astrazeneca, per esempio, usa le cellule HEK-293, provenienti dal rene di un feto abortito nel 1973, mentre la Janssen usa le cellule PER.C6 provenienti dalla retina di un feto abortito del 1985.
Le prime voci allarmate su questi tipi di vaccino si sono avute nella primavera del 2020 e sono venute crescendo. La questione, però, non è nuova, ma fu sottoposta già nel 2003 alla Congregazione della dottrina della fede a proposito del vaccino per la rosolia. Il cardinal Ratzinger, incaricò mons. Sgreccia dell’Accademia per la vita di elaborare una dichiarazione ufficiale che fu pubblicata nel 2005 e i cui punti essenziali furono ripresi nel 2008 da Dignitas Personae n 35. Una Nota del 2017 della stessa Accademia per la vita giungeva ad analoghe conclusioni. Le argomentazioni del 2005 sono state confermate, in riferimento ai vaccini anticovid-19, da una Nota della Congregazione della dottrina della fede pubblicata il 21 dicembre 2020.
In sostanza questi testi magisteriali sottolineano quello che è a tutti evidente e che, cioè, usando quelle linee cellulari di derivazione fetale non si può parlare propriamente di cooperazione a un atto abortivo che è stato procurato tanto tempo fa. Si configura un rapporto solo indiretto, detto nel linguaggio tecnico dei moralisti «cooperazione indiretta» la quale, essendo molto lontana dall’atto abortivo e del tutto ininfluente su di esso, è accettabile per motivi proporzionati, quale può essere il rischio di contrarre una malattia infettiva grave. Se non ci sono alternative valide per tutelare la salute nostra e degli altri, l’uso di quei vaccini è, dunque, consentito e – in certe situazioni – può diventare moralmente obbligatorio, fermo restando il diritto e anche il dovere di manifestare pubblicamente le proprie difficoltà e di chiedere che i sistemi sanitari promuovano e mettano a disposizione dei cittadini altri tipi di vaccino senza nessuna connessione, neppure indiretta, con gli aborti procurati. La motivazione di queste ultime indicazioni non è contraddittoria con l’asserita liceità del ricorso a quei vaccini, perché si vuole evitare di dare l’impressione di accettare l’aborto come un fatto normale e addirittura di correre il rischio di inserire l’aborto procurato, come una tappa necessaria, in una catena di ricerca e di produzione di farmaci o di altri presidi biomedici. Questo si verifica già per alcuni tipi di cellule e tessuti di origine fetale destinati alla produzione di staminali o al trapianto.
Le indicazioni del Magistero sono equilibrate e sagge e, soprattutto, sono attente a giustificare l’uso di certi vaccini senza attenuare in alcun modo l’opposizione decisa dei cristiani all’aborto procurato. Perché, allora, alcuni gruppi e persino alcuni vescovi si esprimono in modo più o meno difforme dal Magistero? Dovrebbero dirlo loro. A volte sono quelli che giudicano tutto il magistero di papa Francesco una pericolosa innovazione e una deviazione rispetto alla sana dottrina: senza entrare nelle altre questioni, nel caso dei vaccini, questo giudizio non risponde a verità, trattandosi di posizioni espresse e ribadite già in passato. A volte sono voci profetiche che vogliono tenere alta la tensione morale della Chiesa e questo è un bene, ma bisogna stare attenti a non creare inutili inquietudini o scrupoli di coscienza nei fedeli in materia così delicata, come la doverosa tutela della salute propria e altrui.

Fonte: Maurizio FAGGIONI | ToscanaOggi.it

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