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Lettera sulla scuola di un educatore che dovrebbe fare il ministro: don Villa

Bisogna ricominciare daccapo la partita della libertà di educazione perché siamo fermi al Dopoguerra, quando il partito dei cattolici riuscì nell’impresa di scrivere la Costituzione e dominare per decenni la vita politica italiana senza cambiare il comma dell’articolo 33 che da ottant’anni la sinistra impugna a difesa del monopolio di Stato dell’istruzione.

La parità e autonomia scolastica della legge Berlinguer? La burla del secondo millennio. Insomma, mi ha scritto il nostro grande amico don Antonio Villa. Mi ha scritto un educatore in cui l’età (va per gli 89) non ha scalfito la freschezza giovanile, l’ironia, la passione del vivere.

Pensa te, mi ha scritto uno che non ha smesso di pensare, nei giorni in cui decine di parlamentari di governo (Cinquestelle e Pd) invece di preoccuparsi ad esempio del caos che domina sulle prospettive di ripresa dell’anno scolastico, protestano perché non c’è ancora un decreto che legalizza le droghe. E proprio loro che sono al governo – dunque inviperiti contro se stessi medesimi – si autodenunciano per coltivazione e consumo di cannabis. Assicurando così, tra l’altro, un ottimo esempio alle nuove generazioni (l’argomento principe è che la legalizzazione porta bei soldi nelle casse dello Stato, e fa niente se le ricerche documentano che la cannabis è all’origine di tutti i percorsi di tossicodipendenza giovanile).

Adesso lascio la parola al Don e mi riservo una postilla finale.

Carissimo Luigi,

sono tormentato da due riflessioni. Primo, da quasi ottant’anni i cattolici difensori della libertà in campo scolastico, spendono energie senza risultato. Secondo, i magnifici interventi del Magistero che li hanno sostenuti, fino al recente decennio dedicato all’Emergenza Educativa, hanno avuto l’esito della pioggia nel deserto.

Mi domando: che succede?. Ha forse perso vigore la PAROLA DEL SIGNORE, quella stessa che ha suscitato i giganti inventori di scuole gratuite e università?

Siccome rifiuto di pensarlo devo cercare altre ipotesi. Provo a dirle.

I primi si intestardiscono contro il “senza oneri” dimenticando di averlo sottoscritto e non riescono a riconoscere agli avversari la lealtà di un atteggiamento dal momento che questi ultimi non hanno mai nascosto il proposito di arrivare ad un monopolio sulla scuola. La loro mentalità ha dato scacco. Bisogna rifare la partita. Fuori di metafora, bisogna ricostruire una mentalità perché la precedente ha provocato il macello.

La seconda, la Mater et Magistra, forse non si è interrogata sufficientemente sulla sterilità del proprio insegnamento. Si è giustamente compiaciuta di aver interpretato correttamente il pensiero di Cristo ma forse ha mancato un po’ nell’essere Mater. Forse avrebbe dovuto spingersi fino ad aiutare i parroci in un esame di coscienza togliendo loro l’alibi di sentirsi a posto a proposito di compito educativo, dal momento che fanno catechismo e gestiscono la scuola materna. Perché non tentano una scuola elementare, perché non offrire un doposcuola, perché non sostenere, almeno logisticamente, le scuole parentali e, magari, una piccola scuola media?

Siccome mi accorgo che sto scivolando nei suggerimenti sul da fare, mi fermo un attimo a ricordare che per un cristiano l’operosità è sostenuta da un ideale ma non mira alla sua realizzazione. Tradotto, vuol dire che non bisogna partire mirando alla vittoria, ma partire dal desiderio che strategia e metodo siano perfettamente sintonizzati con la “logica” del Vangelo.

L’obiettivo infatti deve diventare la ricostruzione della mentalità cristiana.

Oltre l’intervento dello Spirito Santo, ci vuole… una vita!

Si può cominciare col ricupero del consenso popolare sul fatto che l’annuncio trionfale del 2000, salutato come l’alba del giorno radioso del riconoscimento della “parità”, avviando nella scuola l’era della “autonomia” si è rivelata una burla colossale: lo Stato che ha dovuto candidamente ammettere di non avere “una propria metodologia educativa” (D.M. 24 aprile 1963) è lo stesso che adesso (10 marzo 2000 n. 62) obbliga la scuola non statale ad appiattirsi sulla sua pretesa monopolistica (vuoi fare una scuola? Chiedi il permesso, te la paghi e la fai come dico io!).

Si possono invitare i giovani ricercatori delle scienze giuridiche a ingrandire con tesi di laurea le contraddizioni che si nascondono in diversi commi degli articoli 3, 33, 34 della Costituzione (faccio un solo esempio: articolo 33 comma 1: «L’Arte e la Scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento»; da dove salta fuori allora la normativa sulla “incompatibilità” per la quale gli insegnanti, invece di essere riconosciuti “liberi professionisti”, sono considerati come semplici impiegati statali? Anche se è vero che a tantissimi di loro… va bene così!).

Qualcuno mi chiede dove porterebbe una “campagna” di questa natura se non a sterili dibattiti televisivi. In me sicuramente ha già portato alla certezza di una equivalenza di importanza tra il compito di un parlamentare, di un medico, di un insegnante. Tu mandi in parlamento chi vuoi tu, scegli il medico che vuoi tu… come mai non puoi scegliere il professore che vuoi tu? Colui che paga il tuo parlamentare, il tuo medico, perché parlamentare e medico, come mai non potrebbe pagare l’insegnante di tuo figlio? Mi ha portato anche ad un’altra brutta certezza: ha fondamento questa tremenda domanda: “Lo Stato, questo mio Stato, ama davvero la mia piccola scuoletta come dice di amare la sua?”.

Diciamo la verità: don Villa dovrebbe fare il ministro dell’Istruzione e un padre dell’Italia democratica, membro dell’Assemblea costituente, presidente della Repubblica, il laico, liberale, Luigi Einaudi, grande avversario della scuola monopolio di Stato, si farebbe in quattro per manifestare la sua approvazione dall’aldilà.

Come mai posso scegliermi il rappresentante politico, il medico e, aggiungiamo noi, l’operatore telefonico, e non posso scegliermi l’insegnante? Lo sappiamo bene perché. Un patto mortifero non scritto che sopravvive solo in Italia (almeno in Europa): lo Stato garantisce un posto sicuro a carrettate di insegnanti considerati impiegati (possono non lavorare, sclerare, prendere cattedra e mettersi in malattia, tornare al paesiello, far lievitare la spesa pubblica in modo insensato, e fare qualunque altra cosa possiate immaginare). Stop. Questo è il pensiero sulla scuola. Il resto sono chiacchiere, distintivi e, forse, un po’ di beneficenza alle suore.

Non se ne uscirà finché non crollerà tutto. Allora succederà l’Olanda. Dove le scuole statali praticamente non esistono più. Per adesso siamo qui a goderci questa feroce ingiustizia (mica per noi che Giussani ha graziato tirando su i don Villa, i don Pontiggia ma anche i laici che hanno fatto scuole come la Don Gnocchi di Carate Brianza o la Guastalla di Monza, dove i nostri figli sono cresciuti anticonformisti e liberi, imparando e giudicando, poi per carità, migliori di nessuno e claudicanti come ciascuno).

Per adesso siamo qui ad augurarvi che venga giù tutto. Così che nel “si salvi chi può”, nel deserto, la gente si attacchi disperatamente alla vita. Cioè a chi dimostra nel deserto di non appartenere al deserto. Ovvero di avere qualcosa non di fumato nella testa.

Fonte: | Tempi.i t

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