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L’appello della Tamaro per l’emergenza educativa: crescere bambini erba o bambini albero

“Alzare lo sguardo”. Di questo hanno bisogno i ragazzi che scendono in piazza con Greta, o perdono la vita nelle discoteche. È il pressante appello di Susanna Tamaro, scelto come titolo del suo ultimo libro, una lettera scritta ad un’insegnante della scuola contemporanea, su come affrontare l’emergenza educativa.

“Alzare lo sguardo”. Di questo hanno bisogno i ragazzi che scendono in piazza con Greta, o perdono la vita nelle discoteche e il sabato sera sulle nostre strade. È il pressante appello di Susanna Tamaro, scelto come titolo del suo ultimo libro (edito da Solferino) in cui rivendica il diritto di crescere dei nostri giovani, ma afferma con forza anche il dovere di educare degli adulti. Prima che sia troppo tardi.

La Tamaro non è indifferente ai gravi problemi dell’ambiente che tanto appassionano i giovani d’oggi. Anzi, vive in simbiosi con la natura che rispetta e ama; ma condividendo la sofferenza della sindrome di Asperger con la piccola Greta, così ha confessato con coraggiosa semplicità in un articolo recente sul Corriere 7, si assume il compito di aprire gli occhi agli altri perché – come la ragazzina svedese – “vede ciò che gli altri non vedono”. Solo che per la scrittrice triestina il dramma del mondo contemporaneo è ben più complesso e profondo. Per “salvare la Terra” bisogna innanzitutto “salvare i giovani”. La sua diagnosi parte da una lettera appassionata a una professoressa in cui denuncia, in tutto il suo ineluttabile declino, la situazione della scuola italiana di oggi.

Viviamo nel Paese dei balocchi, dove risuona un unico imperativo: “Lascia perdere!” Non creare problemi, questa sembra l’unica preoccupazione della scuola-azienda. “Avremmo dovuto bocciare molti in quella classe, non ammetterli nemmeno alla maturità, ma… siamo un piccolo istituto tecnico di provincia. Ogni allievo è prezioso per non chiudere e, se chiudiamo, perdiamo tutti il posto”: questa l’amara confidenza di un insegnante. Insegnare significa dunque vivere una condizione di impotenza, si è dissolta l’antica alleanza scuola-famiglia, il clima è piuttosto di contrapposizione e aggressività. Perciò quasi nessun docente rischia più una vera azione educativa, si è tutti estremamente cauti, quando non addirittura ignavi, pur di sopravvivere. Meno si creano problemi, più si è apprezzati. La Tamaro riconosce con preoccupazione e con dolore che “la nostra società ricca, aperta e libera, come non mai nella storia umana, ha smesso di educare. Ma un bambino non educato diventa un adulto non educato, ed è difficile immaginare come un adulto non educato posa rivelarsi un elemento attivo e propositivo della società”. Così questi ragazzi, da cui nessuno ha preteso nulla, che non hanno mai avuto ostacoli da superare, sono condannati alla povertà umana, a una totale sfiducia in se stessi. La Tamaro ci mostra il valore irrinunciabile dell’educazione con un’immagine efficacissima.

Per lei ci sono i “bambini-erba” e i “bambini-albero”. I primi crescono comunque, senza cura, ma con uno sviluppo limitato e uniforme. Se invece vogliamo far crescere un “bambino-albero”, con tanto di radici perché tenda verso l’alto, con tutte le attitudini migliori dell’essere umano, occorre la pazienza e la tenacia dell’educazione. Il giudizio della scrittrice sulla nostra scuola “primaria”, dopo la trasformazione delle vecchie “elementari” con tanto di maestra unica, è impietoso: basta confrontare la capacità di scrivere correttamente e fare di conto di un bambino della quinta elementare di oggi rispetto agli anni ‘70: un abisso. E la tecnologia non può risolvere il problema, non basta sicuramente, anzi. Usare la mano per tracciare una crocetta o completare i puntini delle parole mancanti è molto diverso che usarla per scrivere un pensiero uscito dalla propria testa. Così come non è la stessa cosa leggere un’informazione sul tablet e sullo smartphone o sottolinearla su un libro, magari scrivendoci qualche nota accanto. Non è questione di rimpiangere il bel tempo andato, ma di conoscere i più avanzati studi neurologici. Il rapporto occhio-mano-cervello è estremamente complesso”. Naturalmente nella scuola dell’impegno e della fatica auspicata dalla Tamaro anche la pletora di certificazioni per difficoltà di apprendimento vengono messe in discussione, perché “questa supposta diversità si trasforma facilmente in una comoda pantofola” che in realtà costringe gli alunni più deboli a una perenne povertà. E lo dice senza mezzi termini proprio lei, che da piccola ha incontrato enormi difficoltà di crescita e ha dovuto sforzarsi ogni giorno di essere come gli altri. Ma alla fine la sua sofferenza, la sua solitudine, la sua ossessività le hanno permesso di essere conosciuta in tutto il mondo.

Il mondo della scuola è in crisi ed è lo specchio di una crisi antropologica molto più grande, che si manifesta nella mancanza di una visione dell’umano condivisa da famiglie e docenti, in un mutamento radicale dei limiti e degli orizzonti, delle istanze e degli interessi che caratterizzano la società moderna. La nostra non è più una convivenza che ama l’ordine, che apprezzi lo sforzo per migliorare e perfezionarsi. La tempesta libertaria degli scorsi decenni ha lasciato un segno indelebile nella cancellazione di una sana idea di autorità (che non è autoritarismo ma autorevolezza), lasciando spazio alla rincorsa dello svago con alcool e droghe. I ragazzi hanno dentro di sé uno spaventoso vuoto ontologico e affettivo che li spinge adubriacarsi e a drogarsi con una frequenza allarmante. Sono  giovani che nessuno educa più, a cui nessuno ha mai detto dei no. Il bambino-erba cresce senza imposizioni, ma nessuno gli presta veramente attenzione, lo si lascia fare. Il bambino-albero, che il mondo d’oggi sembra aver perduto, dovrebbe invece essere accompagnato con fermezza nel suo sviluppo, perché questa è la vera attenzione di cui tanti genitori e maestri distratti non sono più capaci. “È ormai chiaro che i genitori che continuano, con caparbietà, a credere nel valore e nell’importanza dell’educazione si trovano a vivere nella stessa condizione degli insegnanti che fanno con passione il loro lavoro. Salmoni che nuotano controcorrente”.

E qual è la strada da percorrere allora? Non certo quella così diffusa del buonismo o delle tante lezioni di “legalità” così di moda nelle nostre scuole. La Tamaro ci mostra con tanti esempi che non si tratta di pretendere di avere ogni processo sotto controllo, che non tutto dipende da tecniche di apprendimento più o meno raffinate. C’è una parte insondabile della nostra natura, l’anima, che costituisce il mistero di ogni uomo, che è quello spazio interiore che ci apre verso i cammini dell’imprevisto e della libertà. È l’anima che ogni educatore deve nutrire mantenendo vive quelle domande profonde (chi sono? da dove vengo? dove devo andare?) che permettono a un essere umano di diventare veramente tale. Proprio come ha fatto la professoressa a cui scrive Susanna Tamaro: donando ai suoi allievi Lettere a un giovane poeta di Rilke. Li ha spinti così ad “alzare lo sguardo”. Forse è proprio questo l’antidoto alla barbarie che ci permetterebbe finalmente di vedere l’infinita ricchezza del reale: sollevare lo sguardo da tablet, smartphone e computer. Perché c’è ancora una domanda da porsi inevitabilmente, pena la noia e il vuoto più distruttivi: a chi dovrò rendere conto, un giorno, della mia vita? Per i credenti il giudice sarà il Creatore, ma per tutti  ci sarà comunque il giudizio di chi ha vissuto con noi o verrà dopo di noi. È un richiamo alla vera dimensione del “cuore”, che vuol dire amore per la bellezza, per l’armonia, per la capacità di donare. Sembra di sentire risuonare quel Va dove ti porta il cuore (il suo primo bestseller, che ha venduto milioni di copie in tutto il mondo) con cui la Tamaro ha inaugurato la sua carriera di scrittrice, aprendo l’orizzonte verso le profondità dell’animo umano.

Fonte: Chiara Pejetta | LaNuovaBQ.it

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