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Il bene contagioso. Chi rappresenta questa bell’Italia?

Il bene fatto bene è contagioso. Scava in profondità, anche se non fa notizia. Come la goccia che colpisce la pietra e la rimodella, in modo lentissimo ma inesorabile. È come se la storia dell’uomo dipendesse, oltre che dalle grandi rivoluzioni, dalle impercettibili azioni quotidiane di un’umanità nascosta, che si adopera per il prossimo. Senza clamore, ma con continuità. Ne abbiamo avuto testimonianza proprio in queste ore, a margine di due vicende passate un po’ sotto traccia. Storie nascoste, eppure fondamentali.

Ieri mattina, all’alba, 113 persone sono sbarcate, mischiate a turisti e viaggiatori, all’aeroporto di Fiumicino: si trattava di eritrei, sud sudanesi, somali, in arrivo da teatri di guerra, fame e distruzione. Grazie ai corridoi umanitari promossi dalla Chiesa italiana in accordo col nostro Governo, hanno intravisto un mondo nuovo, dopo anni di attese, violenze e torture. Si dirà: sono una goccia in un oceano di disperazione, sono un granello di sabbia dentro un meccanismo che macina a ritmo continuo illusioni, violenza e schiavitù. È vero, ma è proprio questo quel che serve.

Non altro. Serve la testimonianza diretta di uomini e donne che si fanno carico delle domande e delle attese di popoli e profughi dimenticati. Lo fanno seguendoli passo dopo passo, spesso per lunghi anni, perché ogni attimo nel cammino di chi domanda protezione internazionale merita attenzione, impegno, cura, assistenza legale. È un modo di farsi prossimo, quello che lega realtà come Sant’Egidio, Caritas e Migrantes, lontano dai riflettori, che prova a incarnare, in mezzo a difficoltà, fatiche ed errori, lo stile evangelico. Senza impossessarsene o brandirlo come fosse una clava.

Nelle stesse ore in cui i migranti provenienti dall’Etiopia sbarcavano a Roma, centinaia di volontari milanesi sfidavano le temperature sotto zero di questi giorni per dare conforto e aiuto a chi vive senza un tetto, dentro la grande metropoli. Li abbiamo chiamati «angeli del freddo» e anche in questo caso la formula non vuole indugiare in buonismi o in facile retorica. Perché sono “angeli” in senso stretto, visto che custodiscono i segreti di una popolazione invisibile: sanno chi e come andare a trovare negli angoli bui delle strade e dei sottopassi, hanno archivi pieni di dati sulle presenze di clochard e senza fissa dimora in ogni quartiere, sono attrezzati per le emergenze e hanno ovviamente un filo diretto con i servizi sociali del Comune. Sono volontari “professionisti”: tra loro ci sono medici, avvocati, giovani infermiere che dedicano tempo oltre il lavoro per i dimenticati delle città. Anche per chi come Max, 47 anni, non ce l’ha fatta.

I fatti di Roma e di Milano ci dicono che per fare straordinariamente bene il bene ordinario, quello di tutti i giorni, non occorre travestirsi da salvatori della patria o utilizzare bacchette magiche: bisogna semplicemente tornare alle origini. Persone che si chinano su altre persone, senza giudizi e pregiudizi: vi ricorda qualcosa questa immagine? Quanto sono lontani da questi esempi le storie, che ci sono e documentiamo allo stesso modo, del malaffare e di chi fa profitti e business sui temi dell’accoglienza, della solidarietà e dell’inclusione, quanto male procura chi “usa” il bene per impadronirsi di spazi, ricchezze e sogni altrui… Eppure è necessario fare sentire e fare vedere ancora una volta queste scene di umanità semplice. Tanto più in tempi in cui echeggiano troppe parole di odio e di rancore.

È il bene di un’Italia che non si serve della cronaca per catturare consensi e cerca e traccia un’altra strada, senza clamori, rispettando umanità e leggi, praticando la giustizia, stando senza esitazione e calcoli accanto ai poveri e ai senza voce. È troppo sperare in politici capaci di rappresentare con disinteresse e vera partecipazione questa bell’Italia? Se politici così ci sono – e ci sono ancora – si facciano riconoscere, per ciò che fanno e non solo per ciò che dicono.

Fonte: Diego Motta | Avvenire.it

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