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Padre nostro che vai in Tv: parte il programma di don Pozza

Nove puntate di interviste e storie dedicate alla preghiera più popolare di tutti i tempi. Con un gran finale: papa Francesco.

«Io sono un prete di galera, un prete che passa la sua vita in carcere, tra i carcerati», si presenta don Marco Pozza, giovane cappellano del carcere di Padova. L’idea è stata prendere questo “prete da galera” e fargli condurre una trasmissione sulla preghiera più popolare di tutti i tempi, il Padre Nostro, la preghiera che Cristo ci ha insegnato, affidandone i suoi otto passaggi a personaggi laici del mondo della cultura e dello spettacolo. Così è nato Padre Nostro, il programma di nove puntate in onda a partire dal 25 ottobre su Tv2000 in prima serata. Le puntate sono nove perché l’ultima è una conversazione con papa Francesco ed è come se le prime otto interviste, legate ad altre otto storie di uomini che ne esplicitano il senso, facessero da preludio al gran finale: una conversazione con il Pontefice, culmine di questo viaggio tra cielo e terra.

«È una cosa partita un po’ per gioco», rievoca don Marco, «quasi una scommessa. Con il direttore Paolo Ruffini volevamo provare qualcosa per la prima serata di Tv2000. Paolo dice: proviamo a fare un lavoro sul Padre Nostro. Appena ho sentito questo tema ho avvertito un senso di noia. Il Padre Nostro lo apprendiamo a memoria fin da bambini, si rischia di recitarlo sempre in automatico. Così l’abbiamo trasformata in sfida. Io lavoro quasi sempre per negazione, come dico spesso, e allora ho proposto: proviamo a coinvolgere chi non crede per cercare di entusiasmare credenti e non credenti con questa preghiera, che è il sale della Chiesa».

Ed ecco che parte la caccia a otto personaggi (che poi sono nove perché una puntata è dedicata a una coppia) che raccontano la loro vita, le loro scelte e il loro mestiere commentando un versetto della preghiera: Umberto Galimberti, Erri De Luca, Carlo Petrini, Pif, Maria Grazia Cucinotta, Flavio Insinna, Silvia Avallone, gli scalatori Simone Moro e Tamara Lunger. «Silvia Avallone», racconta don Marco, «dopo Dacia Maraini è la scrittrice più brava d’Italia, riesce a raccontare le periferie in maniera incredibile. I suoi romanzi per me sono dei compagni inseparabili, forse perché io vivo praticamente in carcere. È la mia parrocchia. La Tv la faccio nei ritagli di tempo».

Parallelamente, ogni puntata racconta storie di gente semplice che attualizzano quel versetto. Don Pozza viaggerà come su un ippogrifo da Reggio Calabria a Milano, da Napoli a Bologna, passerà per la laguna di Orbetello, punterà su Fabriano e Castelluccio di Norcia. Camminerà sotto le volte affrescate di Palazzo delle Aquile a Palermo, sorvolerà in elicottero le Alpi Orobie per raccontare quelle storie raccolte intorno al versetto di una preghiera: quella della figlia di un ergastolano, di un ingegnere aerospaziale, di una monaca di clausura e di una ballerina di burlesque, degli ex alunni di don Lorenzo Milani e di un fotografo di Frontex, l’Agenzia europea delle frontiere, del padre di una vittima della camorra e di un calzolaio-scultore. «La varietà della carne che spiega lo Spirito».

Ed ecco che nella puntata finale entra in scena papa Francesco. «Questo naturalmente ha fatto la differenza. Sono un grande sognatore, ma nella vita mi capitano delle cose inimmaginabili, come questa. L’intervista al Pontefice da una parte ha un grande valore per i contenuti del colloquio, ma è anche un’occasione di grazia irripetibile a livello umano. Il progetto ha poi trovato sviluppo in un libro edito dalla Rizzoli-Lev dove l’intervista è trascritta interamente. La seconda parte del libro l’abbiamo fatta in carcere: qui abbiamo commentato l’intervista al Papa anche attraverso la storia di due detenuti».

Don Marco è molto legato a una foto dell’Osservatore Romano presa alla fine della conversazione con Francesco. Sembra quasi che voglia dargli un buffetto sulla nuca, un gesto irriverente. «In realtà», spiega don Marco, «lo stavo abbracciando. È il modo che io ho per abbracciare i carcerati, mettendogli la mano dietro la testa per tirarlo verso di me. Mi piace quel gesto, perché è un modo intensamente umano per accostare le persone». Un’intervista approfondita e a tratti toccante. «Se uno mi chiedesse la sensazione che ho avuto stando a contatto con Francesco, risponderei che è la sensazione di avere a che fare con un uomo che ha incontrato personalmente Cristo e quindi la prima cosa che mi viene più spontanea è fare in modo che questo profumo di Cristo mi si attacchi addosso». Una sensazione, un profumo che naturalmente tocca tutti, non solo don Marco, «a meno che», conclude il sacerdote-conduttore, «uno non soffra di fortissime allergie».

Fonte:Francesco Anfossi –  Famiglia Cristiana

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