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La scuola gli sequestra il cellulare. Un diciottenne si rivolge all’avvocato

Ci sono delle regole da rispettare in ogni scuola. Chiamare in causa un legale per difendere un presunto diritto leso del ragazzo, significa stare dalla sua parte “contro l’istituzione”. La famiglia, autorizza così uno studente, spiega lo psicoterapeuta Alberto Pellai, a credere che in quanto maggiorenne, la sua scuola è un luogo in cui le regole le decidi lui.

Un 18 enne di una scuola superiore di Treviso ha denunciato la scuola, colpevole di avergli sequestrato il cellulare da lui utilizzato durante le ore di lezione. L’uso a scuola del cellulare è – come è giusto che sia – sottoposto a limiti e regole ben precise in quasi tutti gli istituti di istruzione primaria e secondaria. Anzi potremmo dire che oggi la scuola rappresenta l’unico luogo in cui esistono ancora adulti capaci di mettere limiti e confini all’uso delle tecnologie da parte dei ragazzi. Fuori da scuola, sembra il far west. I ragazzi hanno sempre in mano il loro smartphone, quasi fosse diventato una protesi incorporata nel loro corpo fisico e inscindibile da esso.

E’ sempre più frequente incontrare genitori che si dichiarano impotenti di fronte all’invadenza e allo strapotere con cui le tecnologie tengono in scacco la vita dei loro figli. Vorrebbero mettere limiti e confini, ma non ne sono capaci. «Lo usa sempre. Se lo porta anche a letto. Io glielo dico di tenerlo spento, almeno quando studia, ma non c’è verso di fargliela capire. Anche se parlo, è una battaglia persa in partenza». Questo è il genere di frasi che mi sento riferire sempre più spesso da mamme e papà, in occasione delle numerose conferenze su questo tema che tengo nelle scuole dello stivale. Verrebbe da dire: per fortuna che almeno la scuola ha un sistema di regole capaci di dare un limite alla percepita onnipotenza di uno studente adolescente, quando vorrebbe decidere tutto in autonomia rispetto all’uso del proprio smartphone. In questa prospettiva, sembrerebbe esemplare il comportamento della scuola trevigiana. Invece, ecco che compare sulla scena un copione inaspettato, raccontatoci oggi dai media nazionali: il 18enne in questione, convinto che la sua maggiore età gli permette di mettere in discussione le regole stabilite dalla scuola, si ribella a questo sistema e attraverso il proprio legale fa causa alla scuola stessa che gli ha requisito l’amato smartphone e che, in ottemperanza al proprio codice di norme, lo restituirà soltanto al genitore che andrà a “ritirarlo” per poi riconsegnarlo al figlio trasgressore.

Presumo che, come adulti, tutti noi comprendiamo che, in questo passaggio, la scuola cerca un’alleanza con la famiglia. Chiedere che un genitore “sdogani” il cellulare sequestrato al figlio significa implicitamente dimostrare a quest’ultimo che gli adulti di riferimento per lui hanno le idee chiare su quello che è giusto fare nel territorio della sua educazione.

Chiamare in causa un legale per difendere un presunto diritto leso del ragazzo, nel momento in cui gli è stato requisito il cellulare, significa stare dalla sua parte “contro la scuola”. Significa che una famiglia, con questa mossa, autorizza uno studente (e quindi, per status, un essere in formazione proprio presso la scuola che gli ha chiesto di aderire ad un sistema di regole) a credere che in quanto maggiorenne, la tua scuola non è più un luogo in cui le regole le trovi già date ed eventualmente da negoziare, bensì diventa un luogo in cui le regole le decidi tu, in base ai tuoi “presunti diritti”. Invece, a scuola è bene che ci siano adulti che hanno chiarezza intorno a quali limiti mettere e a come farli rispettare. Questo tutela tutti e insegna ad ogni studente, senza eccezioni, che in alcuni ambiti le regole le trovi già definite perché servono al bene collettivo. E’ così non solo a scuola, ma anche nella società, sulla strada (che cosa succederebbe se uno decidesse di non rispettare più il semaforo rosso?), sul luogo di lavoro.

Le regole intorno all’uso degli smartphones a scuola sono necessarie, perché si sono rivelate oltremodo utili a proteggere molti ragazzi dal rischio di fare stupidaggini con il loro cellulare e di rimanere costantemente distratti e poco concentrati. Non va trascurato il fatto che le regole a scuola sull’uso dello smartphone si sono rivelate più che necessarie dopo aver constatato quanto spesso i ragazzi ne facessero un abuso e un uso lesivo nei confronti di altri compagni e docenti. E’ vero che per prevenire un uso problematico degli smartphone sarebbe meglio educare ad un buon uso, invece che proibirne l’uso di qualsiasi natura. Ma è anche vero che in questo momento l’educazione digitale dei giovanissimi è ancora un’utopia e puntare sulla capacità di autoregolazione degli studenti si è rivelato un fallimento in moltissimi casi.

Perciò, per ora, come genitore e come specialista del settore, concordo sulla necessità e presenza di un processo di “etero-regolazione”, ovvero di regolamentazione “dal di fuori” in cui è la scuola a stabilire le regole e a chiederne il rispetto a tutti i suoi studenti, maggiorenni compresi. La cronaca riporta che il legale del ragazzo ha sporto denuncia perché «il ritiro del telefonino, soprattutto ai maggiorenni, costituisce una forma di sequestro improprio che non può essere esercitato dal docente. Fermo restando la legittimità di un’eventuale sanzione prevista dal regolamento scolastico».

Vorrei dire al legale che probabilmente avrà una lunga coda di clienti, nelle prossime settimane. Di fronte a figli che vanno male a scuola, che sono costantemente distratti e poco concentrati sui propri obiettivi di vita e di studio, che hanno compiuto terribili atti di cyberbullismo o anche meno gravi attività di denigrazione nei confronti di soggetti di pari età o di docenti che magari gli avevano dato un brutto voto in quanto impreparati, ci sono genitori che sono intervenuti requisendo il cellulare del figlio. No, non per sempre, solo per un po’. Magari hanno deciso di fare un contratto con lui, di chiedergli la riparazione dei propri errori per riottenere il diritto all’utilizzo dell’amato smartphone.

Pensavamo tutti che questo modo di agire avesse senso all’interno di una relazione educativa. Fosse fatto “per” il bene di un figlio e non “contro” di lui. Apprendiamo oggi che siamo tutti a rischio di denuncia. Che i nostri figli oggi potrebbero cercare un avvocato pronto a difenderli in una causa legale contro il nostro intervento educativo. Ecco, se questo è lo scenario, auspico che nella formazione di un avvocato qualcuno preveda anche un buon corso di psicologia e pedagogia dell’età evolutiva. A tutela dell’intera società. Obiettivo verso il quale l’azione di ogni avvocato dovrebbe.

Fonte: FamigliaCristiana.it

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