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La «gigante» e la bambina nell’ombelico del mondo

La “gigantessa” e la bambina. La veterana e la debuttante. La donna mascherata e la ragazzina con le cicatrici… Fermiamoci qui con gli epiteti per presentare le due donne, alle antipodi anche fisicamente, ma che rappresentano un po’ tutto il movimento rosa della spedizione italiana. La gigantessa, quasi un metro e novanta, è Assunta Legnante, 38enne di Frattamaggiore (Napoli), campionessa paralimpica di getto del peso.
La bambina è Bebe Vio, 19 anni di Venezia che a Rio 2016 c’è arrivata da campionessa del mondo di scherma e tornerà a casa con l’oro paralimpico. La Legnante prima di approdare nell’universo dell’altro sport, oltre la cortina dei normodotati, aveva vinto un argento ai Campionati europei di atletica leggera indoor 2002 e il titolo continentale indoor di Birmingham 2007. Successi conquistati nonostante un glaucoma che fin dalla nascita gli ha fortemente limitato il campo visivo. Un handicap che non gli ha mai precluso l’ingresso alle finali delle maggiori competizioni internazionali e che gli avrebbero garantito anche l’accesso alle Olimpiadi. Un sogno che il Coni gli negò alla vigilia dei Giochi di Atene 2004. «La Legnante non ha l’idoneità fisica», le dissero allora con il biglietto per la Grecia praticamente in tasca. Un brutto colpo, ma mai più forte dell’aggravamento della vista che nel 2009 la stava portando alla drastica decisione di dire «stop».
Assunta alias “Cannoncino” meditava il ritiro proprio nel periodo in cui Bebe Vio stava per cominciare il suo «secondo tempo. Il primo – dice – è stato quando sono venuta al mondo, il 4 marzo 1997. Il secondo è cominciato il 20 novembre 2008 il giorno che mi sono ammalata di meningite». Oltre cento giorni di ospedale per frenare quella patologia «fulminante» che gli aveva infettato gran parte del corpo con la conseguente necrosi degli ad avambracci e delle gambe che resero necessaria l’amputazione: sotto il gomito e sotto il ginocchio. Un colpo letale per un adolescente qualsiasi, ma non per Bebe e la sua famiglia. Mamma e papà si mettono subito all’opera per garantire un futuro “normale” alla loro figlia undicenne. E l’unico modo che conoscono è quella di integrarla e farla sentire ancora attiva mediante lo sport.
«È così che è nata “art4sport” l’associazione che ha consentito a me e a tanti altri ragazzi di non restare chiusi in casa ma di entrare in una palestra e ricominciare… ». Da art4sport sono nati altri campioni come lo schermidore Emanuele Lambertini e la canoista Veronica Plebani. Tutti giovani sportivi che al di là dei risultati ottenuti hanno in comune una determinazione che li ha portati nel tempo a cancellare dal proprio vocabolario il verbo «arrendersi ». Non molla un attimo e un solo centimetro in pedana la grintosa Bebe che a Rio ha urlato con tutto il fiato che aveva in gol alla stoccata decisiva nella finale vinta contro la cinese Jingjing Zhou. Non si è fermata neppure dopo una «fiorettata in zucca», perchè la ragazzina di Venezia è allenata a sopportare il dolore. Bebe non si ferma dinanzi a niente e non rinnega mai le cicatrici che porta scolpite sulla pelle, «fanno parte di me», dice ricordando Anna Magnani che non malediceva mai le rughe del tempo, «fjo mio c’ho messo una vita a farmele».
La forza di queste donne, la gigantessa e la bambina risiede soprattutto nella loro ironia, nella capacità di sdrammatizzare sempre e comunque. Quella capacità di non prendersi mai sul serio che possiede Assunta Legnante che tolta la maschera festeggia la sua seconda medaglia d’oro, dopo quella di Londra 2012 omaggiando, la sua avversaria, l’uzbeka Safiya Burkhanova che gli ha reso la vita difficile. «È stata la gara più dura degli ultimi anni. Dopo che la Burkhanova aveva gettato il peso a 14.87, mi sono detta: “Assunta qui ce vuole che te devi impegnà”…». Parla nello slang frattese il Cannoncino azzurro, mentre Bebe ripassa le canzoni di Jovanotti. È arrivata in pedana dopo una serata magica trascorsa al Villaggio olimpico con la compagna di stanza Andrea Mogos: «Abbiamo mangiato pop-corn, brindato a coca-cola e cantato a squarciagola “Questo è l’ombelico del mondo”…».
Bebe con quel ritornello in testa è arrivata rilassata all’appuntamento più importante della sua carriera, la prima finale paralimpica. Emozioni forti che la Legnante conosce bene, «anche se sono sempre diverse e più grandi, ogni volta», e può permettersi di affrontarle con quella maschera da Diabolik, anzi da Eva Kant della spedizione azzurra che rende onore alla gigantessa buona.
Lo scricciolo Bebe gli passa accanto in questo ombelico del mondo dove nello stesso giorno, il fatidico 14 settembre della gloria azzurra (8 podi e cinque ori, il suo è il settimo), la gigantessa e la bambina, hanno scritto una pagina importante e indelebile nella storia dello sport italiano, tutto. Ora Rio aspetta Bebe alla seconda prova (la competizione a squadre con Loredana Trigilia e Andrea Mogos) per sentirla ancora urlare di gioia e poi cantare sotto il cielo carioca: «Questo è l’ombelico del mondo… dove convergono le esperienze e si trasformano in espressione ».
© RIPRODUZIONE RISERVATA GETTO DEL PESO. Assunta Legnante SCHERMA. Bebe VioFonte: Avvenire.it

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