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DÍAZ, L’ultima voce delle «matite spezzate»

C’è una linea di continuità universale, indistruttibile, che unisce e valorizza la memoria dei desaparecidos argentini, anche a quarant’anni di distanza da quella immane tragedia. È l’amore. «Con la mia testimonianza di sopravvissuto ho voluto “liberare” i miei compagni dal campo di concentramento perché per me rappresentano, sia a livello individuale che collettivo, una storia d’amore. E oggi vivono attraverso i tanti giovani che scoprono la loro storia, cercando di essere liberi, formando la propria identità, amando e riflettendo sulla necessità di cambiare un presente che soffoca il loro sogno di una società giusta, senza sofferenze».

A parlare è Pablo Díaz, l’unico sopravvissuto ancora in vita della “Notte delle matite spezzate”, uno degli episodi più terribili avvenuti negli anni della dittatura militare argentina. Nel 1976 faceva parte del movimento degli studenti di La Plata, giovanissimi militanti decisi a rivendicare il “ boleto estudiantil”, una tessera-sconto sui libri di testo e sul prezzo del biglietto dell’autobus. Già pedinati e schedati per le loro marce di protesta per il diritto allo studio, furono rapiti uno a uno dagli squadroni della morte del regime golpista, che li considerava pericolosi sovversivi da annientare. I ragazzini e le ragazzine di La Plata vennero condotti nel centro di detenzione clandestina di Arana, torturati a colpi di unghie strappate e scosse elettriche, lasciati morire di fame e di freddo, e poi fatti sparire.

Pablo Díaz si è salvato per caso. Venne liberato e “istituzionalizzato”, cioè messo in un carcere alla luce del sole, perché secondo la logica deviata dei militari golpisti un testimone di quelle atrocità sarebbe servito a terrorizzare ancora di più la comunità. «Quando lasciai i miei compagni nel campo clandestino denominato Pozzo di Banfield me ne andai sentendo le loro urla, che non dimenticherò mai. Giurai a me stesso che sarebbero usciti anche loro – racconta oggi a margine della rassegna cinematografica “Al cuore dei conflitti”, che lo vedrà ospite fino a giovedì –. Tornato in libertà, fui ossessionato da quel giuramento.

Detti la mia testimonianza per quanto mi fu possibile, riversando quell’orrore sulla società. La storia collettiva e pubblica si è tramutata a poco a poco in vergogna e dolore silenzioso. Però mancava ancora qualcosa. Quella “notte” era anche fatta di storie individuali di giovanissimi. Io conoscevo i loro nomi, le loro voci, e dovevo trovare una via d’uscita da quell’orrore. Quella possibilità mi è stata offerta da un film e da un libro, che mi hanno dato modo di raccontare tutto. Quando le sale si sono riempite di giovani che piangevano e si abbracciavano, ho capito che quelli che erano rimasti nell’oscurità erano tornati finalmente alla luce. Erano usciti dal Pozzo per non tornarci mai più».

A far conoscere al mondo la tragica vicenda della Notte delle matite spezzate fu il bel film omonimo di Héctor Olivera, uscito nel 1986 proprio grazie alla coraggiosa testimonianza di Pablo Díaz. La proiezione del film e il lancio della riedizione del libro da cui è tratto ( La notte dei lapis di María Seoane e Héctor Ruiz Núñez, edito da Portatori d’acqua e presentato oggi a Roma, alle 16.30 alla Casa delle letterature, da Goffredo Fofi, Alessandro Riccio, Enrico Calamai, Maria Ida Gaeta e lo stesso Díaz) saranno gli eventi speciali della rassegna “Al cuore dei conflitti” che si tiene tra Bergamo, Roma e Brescia, in occasione dei quarant’anni dall’inizio della dittatura. Da allora, il percorso compiuto dall’Argentina verso la verità e la giustizia è stato complesso e sofferto, ma ha ottenuto grandi risultati. Il dittatore Videla è morto in carcere e i processi sono riusciti in molti casi a fare giustizia, condannando molti dei responsabili.

«Per me la giustizia coincide con la verità per i familiari che continuano a sopportare la mancanza dei loro cari– spiega Díaz –. Non penso necessariamente alla morte come alternativa a una condanna mancata, mi aspetto però che le società giuste sappiano riparare a tanto dolore e a tanta vergogna». Purtroppo ancora oggi, in contesti e Paesi differenti, si verificano fatti tragicamente simili a quanto accadeva tutti i giorni nell’Argentina degli anni ’70, come la vicenda di Giulio Regeni in Egitto. «Quando le storie di ingiustizia si ripetono nella loro selvaggia crudeltà – commenta Díaz – l’umanità perde un pezzo della sua ragione. Per anni ho conservato un profondo risentimento nei confronti degli esseri umani. Dopo essere stato rapito e torturato, mi sono sentito lacerato. Ma poi ho ricominciato a credere nelle persone, e credo che le storie di ingiustizia servano a rinforzare l’uomo buono».

Tra i giovanissimi desaparecidos della Notte delle matite spezzate c’era anche la sua fidanzata, Claudia Falcone, di appena sedici anni. «I miei compagni scomparsi in realtà non sono mai scomparsi davvero – conclude –. Lo so che sembra un controsenso, però è l’assoluta verità. Ce lo dimostra l’amore per il compagno che è al nostro fianco, la continuità etica dell’impegno sociale e l’esito della lotta per i diritti collettivi per far si che tutti abbiano uguale diritto all’istruzione. I miei compagni che non ci sono più vivono ancora negli studenti di oggi».

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