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Utero in affitto, ecco quanto costa (sulla pelle delle donne)

Bambini “perduti” in un limbo legale che li rende figli di nessuno e cittadini senza patria. Donne pagate (una miseria) per portare nel proprio grembo uno, due, tre, a volte – senza saperlo – anche cinque embrioni. Sono loro le prime vittime dell’«utero in affitto».

Se ne distinguono due forme: quella “tradizionale”, in cui si usa l’ovulo della surrogata, che è così madre biologica del neonato; e quella gestazionale, in cui la surrogata è solo un “involucro”. In questo caso l’embrione è creato con fecondazione in vitro usando ovulo e seme degli “aspiranti genitori”; ovulo o seme proveniente da una donatrice o un donatore; sia ovulo che seme provenienti da donatori. Negli ultimi anni si pratica in modo quasi esclusivo la surrogazione gestazionale, nel tentativo di eliminare qualcuna delle ingenti complicazioni etiche relative al legame che si instaura tra donna e bambino durante la gravidanza.

La pratica viene distinta anche in “altruistica”, quando la surrogata non è pagata per il suo servizio di utero in affitto (ma le spese mediche sì) e “commerciale”, se nelle spese è inclusa anche la “parcella” della surrogata. Il fenomeno non ha una normativa omogenea. In alcuni Paesi è illegale (Italia, Francia, Germania, Spagna, Portogallo, Cina) e chi è coinvolto è perseguibile penalmente. In altri è legale solo quella “altruistica” (Regno Unito, Irlanda, Danimarca, Belgio), mentre quella commerciale è proibita. In altri ancora non esiste un preciso quadro legislativo (Svezia). Infine ci sono nazioni dove la maternità surrogata commerciale è legale (alcuni Stati Usa, India, Ucraina, Russia, Georgia). Tra questi ultimi, Stati Uniti (in particolare la California, hub nazionale per le gravidanze surrogate), India e Ucraina sono considerati i Paesi fautori del boom dell’industria della surrogazione commerciale. In particolare, New Delhi e Kiev si sono costruite una reputazione presentandosi come mecca del “turismo procreativo”, fornendo assistenza medica di qualità a poco prezzo.

I costi variano da Paese a Paese. Negli Usa una coppia può arrivare a spendere tra i 100mila e i 150mila dollari per avere un figlio con questo sistema, di cui dai 14mila ai 18mila vanno alla surrogata. In India e Ucraina i prezzi scendono: 30mila-40mila dollari (di cui appena 800-2.500 alla surrogata) a New Delhi; 30mila-45mila dollari a Kiev, dove la surrogata riceverà 10mila-15mila dollari.

I dati relativi alle nascite sono difficili da ottenere, poiché molti Paesi non li diffondono. Nel 2010 in California sono nati circa 1.400 bambini, la metà dei quali su richiesta di coppie straniere. In India operano oltre 3mila cliniche, per un business che supera i 400milioni di dollari l’anno e porta a termine almeno 1.500 casi di surrogazioni l’anno, un terzo dei quali per conto di stranieri. In Ucraina nel 2011 sarebbero state portate a termine con successo 120 gravidanze, ma il numero reale potrebbe essere molto più alto. Metà degli accordi coinvolge coppie straniere.

Nonostante le restrizioni (o proibizioni) vigenti in molti Paesi, è un mercato in crescita che, secondo le stime, frutta circa 6 miliardi di dollari l’anno a livello internazionale. Eppure, sono tantissimi gli scandali avvenuti in questi anni che mettono in luce gli aspetti più equivoci dell’utero in affitto, spingendo alcuni Stati a ripensare le proprie leggi. È nota la vicenda di Gammy, nato da surrogata thailandese nel 2014 e abbandonato dai genitori acquirenti australiani perché Down. Dopo il suo caso, il governo di Bangkok ha vietato la surrogazione commerciale agli stranieri.

Altra storia celebre è quella di Baby Manji, nata nel 2008 in India su commissione dei giapponesi Ikufumi e Yuki Yamada. A un mese dal parto la coppia divorzia: il padre vuole tenere la piccola, l’ex moglie no. Né l’ambasciata giapponese né le autorità indiane possono rilasciare alla bimba un passaporto: per legge, il documento può essere emesso solo in base alla nazionalità della madre. Ma nessuna delle tre mamme “potenziali” – la surrogata, l’ex moglie, la donatrice dell’ovulo – intende riconoscere la piccola. Dopo una lunga battaglia legale, l’uomo ottiene un certificato d’identità per tornare in Giappone con la piccola.

Più vicino è il caso dei coniugi Le Roch, francesi. La surrogazione oltralpe è illegale e ai nati da questa pratica non si riconosce la cittadinanza (ma la giurisprudenza recente sta sovvertendo questa regola). Tuttavia nel 2010 volano in Ucraina per affittare una surrogata, che mette al mondo due gemelle. Dietro suggerimento dell’agenzia, la coppia dice all’ambasciata francese a Kiev di aver partorito lì le piccole, per ottenere i passaporti: i funzionari fiutano l’inganno e respingono la richiesta. Anche la legge ucraina è inappellabile, perché considera le piccole come cittadine francesi. Il padre tenta di scappare di nascosto in Ungheria con le gemelle ma, scoperto, viene accusato di traffico umano dall’Ucraina. I coniugi Le Roch sono tuttora a Kiev, con le due bambine, nella speranza di ricevere i passaporti francesi.

Fonte: Avvenire.it

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