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100 ANNI DALL’APPELLO AI LIBERI E FORTI/ Lo schiaffo di Sturzo ai nostri politici

Il 18 gennaio 1919 i cattolici entravano nella vita politica del nuovo Stato, anche grazie alla personalità di Luigi Sturzo. Dal sacerdote siciliano una lezione di metodo.

 

Nelle lezioni tenute alla Sorbona, lo storico Federico Chabod definiva la nascita del Partito Popolare, nel 1919, come “l’avvenimento più notevole della storia italiana del XX secolo”.

Con l’ingresso del Ppi in Parlamento si sanciva, infatti, “il ritorno ufficiale, massiccio – per citare ancora Chabod – dei cattolici nella vita politica italiana”. In realtà con quel nuovo partito non erano solo i cattolici a ritornare protagonisti in politica, ma anche larga parte del mondo contadino e le masse meridionali tenute ai margini del processo unitario.

Ricordare quell’evento, a cento anni di distanza, ci aiuta a illuminare il clima politico che stiamo vivendo, in cui la democrazia organica teorizzata dal fondatore del Ppi Luigi Sturzo è sostituita dalla democrazia diretta propugnata dai partiti nati dal web e il popolarismo promotore delle aggregazioni sociali e difensore dei corpi intermedi sembra aver lasciato il posto al populismo sovranista.

La scomparsa dei partiti tradizionali e la profonda crisi della politica odierna ci spingono più che mai a individuare risposte nuove ai problemi dell’oggi. Risposte che possono trovare proprio nel popolarismo sturziano utilissime indicazioni di metodo.

Proviamo a suggerire cinque punti della lezione sturziana utili per il presente.

1. I tempi lunghi della storia. “La storia – scrive Sturzo – procede attraverso una lenta evoluzione, anche quando i cambiamenti superficiali sono improvvisi e clamorosi”. Non bisogna lasciarsi incantare, dunque, dai falsi profeti. Al tempo di Sturzo il riferimento era diretto a chi pensava di cambiare il mondo attraverso regimi dittatoriali. Oggi la stessa raccomandazione potrebbe essere riservata nei riguardi di chi, mosso da odio o rabbia e usando la logica del web, promette cambiamenti globali e immediati. Sturzo mette in guardia da chi vuole cambiare la faccia della terra nello spazio breve: “Ciò che si credeva morto e passato riapparirà sotto altri aspetti”. Ecco, dunque, la prima indicazione: “la democrazia deve essere quotidianamente guadagnata o creata”.

2. Il segreto dell’agire politico. L’azione sociale e politica duratura non deriva da deduzioni ricavate da astratti progetti politici o dalla rabbia, nasce dalla commozione per una realtà concreta che si finisce per condividere. Sturzo ci insegna che l’impegno politico si genera nell’incontro con un bisogno a cui si vuol dare risposta. Il sacerdote calatino, che aspirava a diventare docente di filosofia nelle università statali, ci racconta di come cambiò idea sul suo futuro dopo che nel 1895 compì una visita in un rione popolare di Roma: rimase talmente turbato dalla povertà che aveva visto da rimanere per giorni senza appetito. E dopo quell’esperienza, mise da parte i libri di filosofia e cominciò a occuparsi di questioni sociali. Ritornato a Caltagirone, condividendo la triste condizione dei contadini sfruttati da gabelloti e latifondisti, fondò le prime cooperative agricole e una cassa rurale.

3. La politica svincolata dai ricatti. Sturzo acquisì presto la consapevolezza che le lotte sociali si arenavano nel momento del voto a causa dei ricatti della politica clientelare. La passione per il bene comune spinse il sacerdote calatino a impegnarsi prima nelle elezioni amministrative (fu pro-sidaco di Caltagirone dal 1905 al 1920) e poi in quelle politiche, coinvolgendo sempre gli elettori sulla base di un programma politico e non in forza di promesse o di favori. Nella sua lunga esperienza, Sturzo ci ha testimoniato ciò che sta ribadendo accoratamente Papa Francesco ai nostri giorni: “la politica è una delle forme più alte della carità”.

4. Uno Stato sussidiario e una democrazia organica. Nella sua attività il fondatore del Ppi venne elaborando una concezione sussidiaria dello Stato, in pieno contrasto col centralismo che si era venuto affermando dall’Unità in poi. Uno Stato veramente popolare e democratico, per Sturzo, deve riconoscere i limiti della propria attività e rispettare i nuclei e gli organismi naturali come la famiglia, le classi, i comuni. Nasce da qui l’idea di una “democrazia organica” che supera la vecchia concezione individualistica che rischia di scadere nel totalitarismo. La democrazia organica riconosce il primato della società civile e garantisce al suo interno il pluralismo. Essa, inoltre, è ben altra cosa rispetto alla democrazia diretta propugnata da alcune forze oggi al governo; una democrazia che cancella o penalizza le libere aggregazioni o tutte le intermediazioni fra il cittadino e lo Stato rendendo l’individuo schiavo del potere, nella parvenza di un illusorio protagonismo.

5. La creatività. Infine, l’originalità di Sturzo si esprime nella grande creatività di pensiero politico che lo porta a delineare un partito aconfessionale. L’aconfessionalità, nel pensiero sturziano, non coincide con una sospensione della fede, né con una rinuncia al vangelo, ma propugna un’uscita dei cattolici dalle sacrestie (oggi potremmo dire una discesa in strada dal balcone in cui tutto si osserva con distacco) per portare un contributo originale nei luoghi della vita comune e fornire risposte sempre più adeguate all’ampiezza dei bisogni sociali.

Per questi motivi ricordare il centenario della nascita del Ppi può diventare un’utile occasione per riscoprire, nelle mutate condizioni dell’Italia di oggi, il coraggio e la creatività che furono dei padri del popolarismo italiano.

Fonte: Giuseppe Di Fazio | IlSussidiario.net

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