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Fuori dal gioco si sta meglio

Il meccanismo di scommesse e lotterie è come per le droghe: le vincite stimolano il centro cerebrale del piacere, che produce dopamina. Per uscirne servono cure adeguate e supporto psicologico

Giocare fa parte della nostra natura, ma può farci male, e tanto. Giochiamo fin da piccoli, per simulare la realtà e affrontare l’imprevisto. Continuiamo da grandi, per soddisfare un desiderio di volontà di potenza (sconfiggere l’avversario e dominare il mondo, con nel Risiko, o conquistarlo, come a Monopoli), ma senza gli inconvenienti e i rischi del mondo reale.

Ma quando alla sfida si legano il denaro e la casualità, allora si tratta di gioco d’azzardo, con conseguenze anche funeste. Accade quando la brama della vincita diventa incontrollabile e non ci si può più fermare. Ma che cosa fa davvero male? «Al giocatore compulsivo accade qualcosa che tocca l’organismo e la psiche molto in profondità e in modo irreparabile», spiega il dottor Vincenzo Marino, direttore del dipartimento Dipendenze dell’Azienda sanitaria locale di Varese, psichiatra e psicoterapeuta, docente di Sociologia della devianza presso l’Università degli studi dell’Insubria. «Non si tratta solo di procurarsi un “male” sociale, come rovinare rapporti interpersonali e relazioni familiari, o un male economico, svuotando il portafogli e intaccando i risparmi di una vita.

Il gioco d’azzardo compulsivo, più di qualunque altra droga, modifica biologicamente il sistema nervoso; nell’ippocampo del giocatore patologico determinate informazioni (gioco, vinco, sto bene; perdo, gioco ancora fino a quando non vinco di nuovo eccetera) restano scritte per sempre.

Come le droghe, le vincite stimolano il centro cerebrale del piacere a produrre dopamina, generatrice di benessere e gratificazione. Ciò stimola il desiderio di giocare e di vincere. È una malattia del profondo, una patologia cronica da cui non si guarisce mai completamente. Le cure possono tenerla a bada, renderla asintomatica. Ma basterà che lo stimolo si ripresenti (è sufficiente vedere una slot machine o una pubblicità) per ricadere nel gioco».

Cerchiamo di comprendere il perché di una piaga sociale che oggi colpisce quasi un milione di persone, costringendole a terapie lunghe e costose. «Ciò che ci attrae nel gioco è la possibilità di sconfiggere il caso e cercare una rassicurazione contro il caos», spiega Marino. «Azzardare e osare sono istinti naturali nell’uomo e sono alla base delle grandi imprese umane. Ma un rischio “non calcolato”, fuori controllo, può portare alla rovina».

Entro certi limiti tentare la sorte è un’esperienza diffusa: in Italia ha giocato almeno una volta in un anno il 54 per cento delle persone. «La situazione precipita quando l’individuo non riesce più a fermarsi e ad astenersi dal gioco, nonostante i problemi evidenti che questo determina alla sua vita e a quella dei suoi familiari: quattrini che se ne vanno in un attimo, debiti che si accumulano, ricorso agli strozzini; e poi problemi sul lavoro, nel rapporto con i figli, stati di ansia e disturbi dell’umore, fino a episodi di violenza». Oggi sono in questa condizione tra le 800 e le 900 mila persone, il 2,2 per cento della popolazione. E il 3,2 per cento dei giocatori patologici ha tra i 15 e i 19 anni».

Ciò che “fa male”, dunque, è l’impulso interiore inarrestabile che porta a continuare a giocare all’infinito, senza potersi fermare. «Chi gioca in modo compulsivo», continua l’esperto Marino, «pensa di avere il controllo dei propri comportamenti, mentre siamo in presenza di una malattia della volontà. Per guarire occorrono interventi specifici, farmaci per le patologie correlate (come l’ansia), terapie di gruppo e motivazionali, perché da soli non si esce dal tunnel».

Ma chi gioca d’azzardo e perché? «Il motore fondamentale del gioco d’azzardo è il desiderio di tentare la fortuna, di diventare ricco e potente senza fatica. Si cerca di comprarsi un sogno. Più vinco, più sono rinforzato nel mio desiderio, continuo cioè a giocare per ripetere all’infinito il piacere della vittoria. A fare più male, determinando dipendenza, sono i giochi che danno una vincita immediata: le slot machine piuttosto che la schedina del Totocalcio. Più gioco, però, più posso perdere: e allora mi arrabbio con la sfortuna e continuo a rincorrere le perdite; fino alla disperazione, che mi porta a mettere in atto anche comportamenti criminosi, come i furti, intesi come “prestiti” che rifonderò al momento della vincita, che prima o poi (pensa il giocatore incallito) arriverà»!

Nell’intensità del gioco entrano in campo diversi fattori legati a condizionamenti ambientali, condizioni di vita, status sociale. «Ci sono differenze nel nostro Paese tra Nord e Sud: la Lombardia è in testa nelle classifiche quanto a soldi giocati; mentre la Campania è al primo posto per numero di giocatori».

«È come “una tassa sulla povertà”», dice ancora il docente dell’Insubria: «I soldi investiti nel gioco d’azzardo aumentano nei periodi di crisi; giocano di più i “disgraziati”, quelli che hanno perso il lavoro, i disoccupati, gli uomini poco scolarizzati, con basso reddito».

Ma come evitare di precipitare nel tunnel del gioco compulsivo? Bastano alcune semplici regole, secondo il dottor Marino: giocare saltuariamente, giocare piccole cifre, darsi un limite, smettere quando non si rispettano questi limiti.

Fonte: FamigliaCristina.it

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