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Alessandro D’AVENIA – 28. Sopra-vivenza

Lo chiamano «blackout» : una corda al collo da stringere fino a sfiorare il soffocamento, per ottenere lo sballo provocato dall’ossigeno che torna di colpo al cervello. Un ragazzo di quattordici anni è morto così. Un altro è invece volato dal tetto di un centro commerciale, in cerca del selfie perfetto. Lui di anni ne aveva quindici. Sono alcuni dei recenti fatti di cronaca relativi a ragazzi che, per sentirsi vivi, vanno a caccia di emozioni esplosive, dinamiti di adrenalina scaturite dalla sollecitazione dell’istinto di sopravvivenza. Perché cercano la vita sfiorando la morte? Non conoscono un modo di sentirsi vivi a contatto con la vita? All’adrenalinica e incerta sopravvivenza si può sostituire la «sopra-vivenza» , cioè una vita che possiede ricchezza di senso e stabilità? Per rispondere è necessario rivalutare una parola mal-ridotta: «passione» . Mal-ridotta perché la «passione» , ridotta a «sensazione» o «emozione», viene disattivata fino alla paralisi, come aveva già intuito Nietzsche più di un secolo fa: «Tutti vogliono le stesse cose. Una vogliuzza per il giorno e una per la notte: » Noi abbiamo inventato la felicità« – dicono e strizzano l’occhio. Ho conosciuto persone che hanno perduto la loro speranza più elevata. E da allora calunniano tutte le speranze elevate. Vivono sfrontatamente di brevi piaceri e non riescono più a porsi neanche mete effimere. Hanno spezzato le ali al loro spirito, che ora striscia per terra» .

Il termine passione ha due facce: indica sia il trasporto verso qualcosa o qualcuno sia la capacità di « patire» per quel qualcosa o qualcuno. Chi ha passione per l’insegnamento, ad esempio, accetta volentieri la fatica dello studio. La passione, diversamente dalla mera emozione, abbraccia e porta con sé tutto il « peso» di ciò che ama, anzi è proprio quel peso a dare la misura dell’amore. Oggi per esempio dilaga l’indignazione, emozione reattiva, che si manifesta in rabbiosi fuochi di paglia, accesi per lo più dal neo-tribalismo della rete. L’indignazione è diventata ormai la prassi per esprimere un’opinione: l’aggressione procura una soddisfazione immediata, evitando al contempo la fatica dell’elaborazione di un pensiero e di soluzioni. L’indignazione in realtà è l’antitesi della « passione» politica, che di fronte a un problema non si limita alla rabbia effimera e solitaria, ma trasforma il disappunto in azioni pensate e comuni. La passione, invece, implica un movimento di uscita ed esplorazione, non cerca la soddisfazione immediata, ma apre il futuro, grazie all’impegno nel presente. La sensazione sollecita le terminazioni nervose ed è del singolo, la passione coinvolge contemporaneamente sentimenti, intelligenza e volontà, e gli altri. La passione agisce anche quando le emozioni sembrano discordi, perché è governata da quello che amo chiamare il principio di ispirazione e non da quello di piacere. Una madre si alza di notte ad accudire il suo bambino non perché ne ha piacere, ma perché lo ama. Io scrivo tutti i giorni, non solo quando mi sento ispirato a farlo. Una persona appassionata è determinata, ispirata, attiva, concentrata, la persona emotiva è invece instabile, incerta, reattiva, rumorosa. La prima vive le cose, la seconda le subisce. Baudelaire diceva che l’ispirazione è sorella del lavoro quotidiano, io aggiungo che sono figli della passione.

Oggi il consumismo moltiplica la disponibilità di sensazioni (« sensazionale!» si urla), rendendoci passivi di fronte alle cose importanti, sostituite da altre confezionate come urgenti. Lo aveva dimostrato il famoso esperimento sulle dipendenze di Olds e Milner negli anni ‘50: i due neurologi impiantarono nel cervello di alcuni topi degli elettrodi attivabili con una leva presente nella gabbia. La stimolazione elettrica mirata alla sede nervosa del piacere portava i ratti ad azionare la leva 7.000 volte all’ora, fino a ignorare l’essenziale: mangiare, bere, accoppiarsi. Gli scienziati dovettero liberare i topi per salvarli. La dipendenza dall’oggetto del piacere porta a identificarsi con esso fino alla morte, non c’è spazio per l’esplorazione. La passione invece aumenta proprio perché c’è uno spazio vuoto da riempire creativamente: il desiderio cresce proprio in questo spazio. La soddisfazione continua delle sensazioni, il comandamento consumistico, è la tomba delle passioni. È una minaccia, in particolare per i ragazzi, che da un lato « soddisfiamo» in tutto e poi « obblighiamo» a praticare uno sport, suonare uno strumento, leggere un libro, nella speranza che nasca la passione. L’educazione alle passioni è conseguenza dell’educazione al senso della vita: per cosa vale la pena impegnarsi, che cosa ispira la tua vita? Solo un’educazione che prevede la « mancanza» innesca la passione creativa, e non a caso i verbi creare e crescere hanno la stessa radice: porre il nuovo nel mondo rinnova noi stessi.

Iper-soddisfatti, i ragazzi preferiscono « cacciare» sensazioni che « coltivare» passioni, e la metafora botanica segnala il fatto che la passione richiede tempo per approfondire le sue radici e trasformare la linfa della vita in frutti. Le sensazioni esplosive sono reazioni di sopravvivenza: sorpresa, paura, ebbrezza obbligano il corpo alla reazione immediata, convogliando rapidamente il sangue nelle zone atte alla fuga, all’attacco, all’abbandono di sé… La passione invece dà senso di efficacia e controllo, il sangue irrora il cervello, il petto e le membra. La passione garantisce scoperta perché, quando il desiderio aumenta, la realtà può rispondere conformemente: la necessità fa virtù, la fame aguzza l’ingegno, dice la saggezza popolare. La sensazione è di superficie, la passione attiva strati del sé più profondi o ancora addormentati. Quando coltiviamo una passione sperimentiamo un certo risveglio della vita, perché stiamo attingendo linfa dalle « profondità» , dove si trova il segreto per vincere la noia della ripetizione dei gesti quotidiani. I gesti che sgorgano dalla passione non sono più una ripetizione, ma una « ripresa» . Lo sa chi suona uno strumento con passione: ogni esecuzione è nuova. Lo sa chi ama qualcuno: ogni carezza è nuova. Lo sa chi ama insegnare: ogni lezione è nuova. L’appassionato ogni volta ri-sceglie ciò che fa e ri-prende da dove si è interrotto per andare oltre. La passione per l’Odissea, ad esempio, mi porta a scoprire e goderne di più a ogni lettura. Se i ragazzi non trovano adulti che, nella ripetizione del quotidiano, sono appassionati, si convincono che diventare adulti è perdere la passione di vivere: meglio allora andare a caccia di rapide sensazioni che coltivare passioni impegnative. L’uomo « energetico» deve collezionare momenti di adrenalina ma, non potendo farlo all’infinito, precipita nella tristezza: la profondità insoddisfatta fa sentire più acutamente il vuoto e l’ansia di liberarsene. L’uomo «appassionato» ha invece una profondità vitale stabile perché le sue azioni creano un pozzo da cui può attingere sempre. L’«energetico» vive tutto per contagio e non sviluppa una personalità, è un arlecchino di emozioni sconnesse. L’«appassionato» si apre a un pezzo di mondo e ne porta volentieri il peso, sa incanalare i suoi sentimenti verso una faticosa ma entusiasmante creatività. La passione non è un passa-tempo, ma ciò che libera dal passare del tempo: sopra-vivenza.

Ma come fare a trasmettere passioni felici? La leva è la meraviglia, sentimento capace di ammorbidire la vita indurita dall’automatismo della routine. Non si può far « appassionare» a ciò di cui non si è « appassionati»: se un docente non è meravigliato da ciò che spiega, non accenderà nessuno. Oggi la sfida è difficile perché la sensibilità è satura di immagini artificiali ed effetti speciali, che offrono emozioni senza pari. Ecco il letto da rifare: liberare i ragazzi dalla gabbia dove si trova la leva della soddisfazione immediata per la riscoperta della positività della « mancanza» . Non darei a mio figlio un cellulare prima di avergli permesso di scoprire una passione da coltivare perché sperimenti il gusto di esplorare il mondo e farsene carico. Una delle passioni che mio padre mi ha trasmesso, ero alle elementari, è il bricolage: costruivamo e riparavamo insieme. Era faticoso, ma così ho scoperto la gioia di inventare cose utili per gli altri e riparare quelle belle ma rovinate. Ora provo a farlo con le parole, nelle lezioni e nei libri, ma tutto è iniziato con il cacciavite di papà. La passione per la lettura è cominciata, negli stessi anni, con le collezioni di Topolino, Asterix, Cocco Bill, Alan Ford… che affollavano le mensole dei miei fratelli. Quando i genitori mi chiedono come far appassionare i figli alla lettura, rispondo: quanti libri avete sul comodino, sulle mensole, in bagno? La passione per narrare è nata dalle storie che, da piccolo, ascoltavo dalle nonne: storie di guerra e avventura. Quante ne avete raccontate ai vostri figli prima che scoprissero un tablet? In “Il cervello anarchico” Enzo Soresi dimostra, da scienziato, l’importanza delle carezze per lo sviluppo del sistema immunitario: i bambini non accarezzati sono più esposti a patologie. Se vale per le carezze, figuriamoci per le passioni. Tutto dipende da quelle che altri «appassionati» ci hanno trasmesso da bambini, quando, non l’obbligo, ma la meraviglia era la risposta creativa alla «mancanza» : dare al mondo ciò che gli mancava. È allora che abbiamo imparato a esplorarlo, curarlo e portarne il peso. Le passioni dei ragazzi sono a misura delle nostre.

 

Fonte: Alessandro D’Avenia | Corriere.it

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