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Il solo sguardo dal quale dobbiamo dipendere

Non posso smettere di preoccuparmi per le ragazzine della ginnastica che hanno denunciato abusi e pressioni psicologiche fortissime, perché fossero magre in modo innaturale, avessero orrore di un corpo normale; prese in giro, insultate, esposte al ludibrio delle altre se avevano mezzo chilo sopra le ossa; definite maialina, ippopotamo perché osavano mangiare una pennetta in più dopo otto ore di allenamento (i miei figli scuoiano il cinghiale dopo otto ore seduti). Tesorine, vorrei abbracciarle strette!

Penso a loro che hanno denunciato e se ne sono andate, e a quelle che sono rimaste. Ovviamente non sarà per tutte così, ci sono sicuramente anche tanti allenatori e allenatrici bravi, che sanno guardare a ogni atleta prima di tutto come una persona. Mi dispiace anche per la pesante ombra che questa storia getta su chi non c’entra niente, e lavora da una vita seriamente, con lo stile giusto. Però non posso smettere di pensarci. Ho visto anche il video di un padre/allenatore di tennis che prende a calci e schiaffoni la figlia, e lei non osa ribellarsi. Non osa perché un padre e insieme un allenatore sono una figura troppo forte per una ragazzina. C’è un bisogno viscerale di “piacere”, nel senso di accontentare, di essere all’altezza, di essere brave. C’è in ogni ragazzina (molto più che nei maschi, dove a contare di più è la competizione) e in ogni ambito, ma con l’allenatore (a maggior ragione se genitore) si instaura una sudditanza psicologica fortissima, non ci si riesce a ribellare: l’adulto deve essere molto attento e leale, e non sfruttare la sudditanza per il suo desiderio di affermazione e di potere.

Sono stata anche io una ragazzina che faceva agonismo (atletica leggera, mezzofondo), e ho avuto anche io un allenatore che mai al mondo avrei voluto deludere. Mi sarei fatta staccare una gamba per obbedire alle sue indicazioni. Ma lui non ne ha mai approfittato: era (anzi, è, allena ancora e non credo proprio abbia cambiato stile) esigente ma sempre rispettoso delle caratteristiche e dei limiti di ognuno. A volte lo avrei ammazzato, mi veniva a suonare la domenica mattina con meno due gradi per “andare a fare una corsetta”, dovevo abbandonare il piumone e vestirmi in tre minuti andando incontro alla sorte ignota, che magari erano ventidue km nella campagna umbra, col ghiaccio che scricchiolava sotto i piedi e le mani viola di freddo. Quando non c’erano cellulari e partivamo verso l’ignoto, un gruppetto di quattro o cinque ragazzi, sperando di avere capito bene la strada. Era duro, ma mai offensivo, ci voleva bene come un padre, e infatti io per anni mi sono sbagliata e quando ero sovrappensiero ho chiamato “Moreno” tutti i capi che ho avuto. Era un capo vero, uno che ti spingeva a dare ma ti rispettava sempre. Gli devo un sacco di cose, soprattutto la certezza che la fatica si affronta sempre, a testa bassa, senza lamentarsi (non era mica mio marito, con lui sì che posso lamentarmi). La fatica poi a un certo punto finisce, e poi paga, paga sempre.

Un allenatore ha un potere enorme su una ragazzina, e bisogna stare molto attenti, custodire con cura la fiducia ricevuta. Bisogna aiutare con delicatezza chi è stato abusato anche solo psicologicamente. Una delle ragazze ha raccontato di essere stata a un passo dall’uccidersi, due volte, e non stento a crederlo.

Auguro a queste ragazze e alle tantissime che vivono drammi simili (quanti abusi negli spogliatoi, anche sessuali!) di avere la forza di chiedere aiuto, e di trovare qualcuno capace di darne. Ma soprattutto auguro a loro e a tutti noi di capire che c’è un solo sguardo dal quale dobbiamo dipendere. Lo sguardo del Padre innamorato di noi. Di essere capaci di dire a Dio “Io sono tu che mi fai” e di guarire da quello sguardo amante, quello che non solo conosce tutti i limiti, ma ce li ha regalati per la nostra salvezza.

Fonte: CostanzaMirianoBlog.it

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