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Bruce Springsteen – Diretto come un pugno

Registrato in una manciata di giorni con i compagni di strada di sempre, i musicisti dell’inossidabile (e ormai imbiancata) E Street Band, Letter To You — insieme lettera, consegna, dichiarazione di irriducibile amore per la musica — è un album che sorprende. Bruce Springsteen sembra quasi essersi divertito nel rimescolare le carte: nei solchi dell’album, trovano ospitalità brani che risalgono agli albori della carriera del rocker americano — che il Boss (ri)canta splendidamente, confondendo la sua voce con quella di Bob Dylan — sapientemente incastonati nel ricamo delle nuove canzoni. Ma soprattutto, dopo l’allestimento scarnificato di Broadway e le atmosfere rarefatte e démodé di Western Stars, Springsteen tira fuori dal cilindro un suono netto, grintoso, pulito, (finalmente) libero da orpelli e sovra incisioni. Diretto come un pugno. Letter To You è un disco cantato magnificamente: con la voce di Springsteen, a dispetto dei suoi 71 anni, che tocca vette mai così “ardite ”.

I testi del nuovo lavoro sono un intreccio di rimandi. Springsteen pesca a piene mani dal suo canzoniere. C’è l’onnipresente “treno” che brucia, lo stesso treno gospel sul quale il rocker ha incessantemente fatto salire i suoi personaggi e il cui fischio riecheggia senza sosta nell’intero corpus della canzone Usa. Ci sono le chiese e le galere come in Jungleland , appare un cacciatore e l’ossessione del tempo (accadeva già in Hunter Of Invisible Game ), l’uomo di One Minute You’re Here  indugia sul confine della città, lo stesso che inghiottiva gli uomini e donne nel lavoro più livido e perentorio di Springsteen, Darkness On The Edge Of Town . E ancora: in Letter To You  fanno la loro apparizione un «letto di spine» e un «trono», quest’ultimo presenza quasi ossessiva nella produzione recente del cantante americano.

C’è il desiderio di aggrapparsi a qualcosa in cui credere, quella reason to believe  che finisce per fare la fortuna del mago di turno (ma un illusionista malevolo era anche il protagonista di Magic). C’è la speranza nella resurrezione che urlava già in The Rising  e, ancora, la preghiera: una preghiera incarnata, sussurrata assieme alla donna amata, una preghiera che cuce assieme gli orli del sacro e del profano, come accade da sempre nella migliore produzione del Boss. Infine, c’è la nostalgia e il rimpianto: I’ll See In My Dreams  è un ricordo commosso dell’amico perduto («Ci incontreremo, vivremo e rideremo di nuovo / Ti rivedrò nei miei sogni, sì, al di là del fiume»), come accadeva già in Terry’s Song , The Last Carnival , The Wall .

Letter to you  si apre e chiude nel segno della morte. La mortalità (e la possibilità di trascenderla) lo attraversa tutto, come un movimento tellurico. One Minute  You’re Here  è una amara riflessione sulla vulnerabilità dell’esistenza. Nella canzone che dà nome all’album, il protagonista è immerso nel tempo dei bilanci, quando raccoglie «tutto il sole e la pioggia / tutta la mia felicità e il mio dolore / le stelle della sera scura e il cielo azzurro del mattino» per trattenere tra le dita la vita che scivola via. L’uomo di Burnin’ Train  invoca un treno che lo strappi dalla mortal cage , dalla «trappola mortale». E ancora Last Man Standing  è il canto di uomo consapevole di essere l’ultimo sopravvissuto di una band di amici, gli stessi che cercavano la magia «da qualche parte nel cuore della folla», nel rito della musica. E alla fine della corsa, arriva la già citata I’ll See In My Dreams , una delicata elegia dedicata all’amicizia, con Springsteen che sosta, ancora una volta, sul labile, sfumato, incerto confine tra la vita e la morte. Ma «la morte non è l’ultima parola», la morte non chiude la partita, non esaurisce la corsa, non ferma la musica. Accanto alla morte c’è il desiderio di trascenderla.

Un’ulteriorità che ora balugina nell’amore (I’m reaching for Heaven, we’ll make it there ), ora esplode nella musica, «nella casa delle mille chitarre / dove la musica non finisce mai». Mai come oggi Springsteen omaggia il potere della musica. In Ghosts , musica e comunità si confondono. Nel suono delle voci che si mischiano, nei corpi che si toccano, nell’urlo della folla, nei brividi che corrono lungo la schiena, vive la comunità: una comunità senza esclusioni, senza fratture, senza resti nella quale danzano gli spiriti e trova cittadinanza la misteriosa, fragile regione del sogno (e della morte). Incontriamoci, canta Springsteen, «fratelli e sorelle/ dall’altra parte».

Fonte: Luca Miele | OsservatoreRomano.it

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