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UN APPELLO (ai laici) PER L’HUMANAE VITAE

Mi è venuta un’idea, e per realizzarla ho bisogno del vostro aiuto. Dopo che ho scritto della conferenza alla Gregoriana su Humanae Vitae in cui don Chiodi ha parlato di dovere di contraccezione, ho ricevuto diversi messaggi, email e telefonate di amici, amiche soprattutto, addolorati, preoccupati, qualcuno a dire il vero anche leggermente adombrato (la parola esatta una signora non la può dire). Sono persone che sulla enciclica di Paolo VI sulla sessualità e la custodia della vita hanno scommesso qualcosa di serio per la loro esistenza, e sentire un sacerdote chiamato alla Gregoriana – non a un corso parrocchiale – dire una cosa simile, ha scatenato reazioni dolorose. E praticamente, fotocopia l’una dell’altra nella sostanza. È stata questa coincidenza che mi ha fatto venire l’idea.

Si sa che c’è una commissione di studio su Humanae Vitae, e si sa anche che sono tante anche nella Chiesa (fuori non si pongono proprio il problema) le voci che dicono che è necessario cambiare lo sguardo sulla sessualità umana. La Gregoriana in occasione del cinquantenario – era il cruciale ’68 quando Paolo VI scrisse la sua enciclica profetica – propone un ciclo di otto incontri con sedici relatori, uno dei quali è stato il don Chiodi che ha parlato come si è detto di obbligo di contraccezione. A intervenire sul tema sono quasi sempre persone consacrate. Noi però siamo laici, sposati. Forse andrebbe sentita anche la nostra voce. Anzi, direi che siamo noi gli specialisti perché ci siamo misurati in concreto. Sbagliando, magari, capendo progressivamente, forse. Ma forse anche la nostra esperienza ha qualcosa da dire.

Il mio sogno, insomma, sarebbe che tanti di noi scrivessero lettere – inviandole alla Pontificia Accademia per la Vita, e anche alla Gregoriana tanto per cominciare – in cui spiegassimo che non abbiamo paura della contraccezione, perché non è certo quello che infiamma i nostri cuori, ma che al contrario Humanae Vitae ci ha salvato la vita, o almeno l’ha resa più bella, e diversa, molto diversa da come avrebbe potuto essere, anche quando abbiamo obbedito parzialmente, zoppicando, cadendo, con dubbi e incertezze. Abbiamo però avuto sempre chiara la misura alta della vita che ci veniva proposta, anche quando non riuscivamo ad agguantarla. Potremmo prima di tutto chiarire che il no alla contraccezione non è un idolo per noi, perché il punto centrale della questione è: metto o no Dio al centro della mia affettività? Lascio che sia lui a plasmare il mio cuore? La mia relazione con lo sposo, la sposa, mi serve a incontrare di più il Signore? Sono disposto a rischiare qualcosa di mio per fare la sua volontà, anche quando non mi sembra la scelta migliore (sennò che obbedienza è), o la più conveniente? Ci credo davvero o no, che la felicità vera e piena sta nel fare la sua volontà, e ci sono dei punti cruciali in cui ci si gioca veramente, concretamente l’obbedienza a Dio?

Dovremmo scrivere, noi veri esperti di HV – esperti in senso etimologico, nel senso che l’abbiamo sperimentata – che ci dispiace che la proposta della Chiesa abbassi l’asticella della bellezza possibile. Non perché siamo “arcigni difensori della morale” – come ci descrive Avvenire – ma al contrario proprio perché siamo peccatori, mendicanti, perché sappiamo che il nostro cuore è un abisso inconoscibile, è un mistero ferito dal peccato originale. Per questo crediamo che la legge, che Gesù non è venuto a cambiare neppure di uno iota, è proprio il segno più grande della misericordia di Dio, cioè ciò che ci custodisce dal male, che è prima di tutto dentro di noi. La legge è una possibilità di felicità, Dio è un pozzo di piacere, infinitamente più grande del piacere che andiamo elemosinando seguendo il nostro cuore. Noi siamo mendicanti di Spirito Santo, ed è per questo che lo supplichiamo di venire nella nostra coppia, così ferita e zoppicante e imperfetta. Noi sappiamo che lasciargli la possibilità di agire nella nostra intimità è la scelta più lungimirante che possiamo fare. Credo che ognuno di noi abbia ben presenti intorno a sé storie di vite sfasciate, che avrebbero potuto essere felici. Persone che son passate da una storia all’altra “andando dove li portava il cuore”, sprecandosi, o decidendosi troppo tardi. Vogliamo poi parlare del calo del desiderio che affligge l’Occidente? Perché quando la roba che prima era difficile da conquistare te la vedi sbattere in faccia con il minimo investimento, forse dopo un po’ ti va a noia…

La proposta della Chiesa non esclude prudenza e responsabilità, certo: nessuno dice che sia necessario fare figli a ripetizione. Ma se uno si ferma a fare calcoli umani, anche un figlio è troppo: sono pochi quelli che possono garantire il futuro alla generazione successiva, per non parlare dei pericoli e delle malattie. Solo sapendo che un figlio lo manda Dio si può osare tanto. Un credente sa che sarà Dio a farsene carico, e Dio è davvero un gran Signore, non lesinerà certo il suo aiuto. Senza contare che ci sono una serie di strumenti affidabilissimi per i metodi naturali, tanto che ormai hanno l’accuratezza di altri metodi contraccettivi (e ci sarebbe da aprire una parentesi sul fatto che anche i metodi si possono usare con una mentalità di chiusura alla vita…), senza il rischio che un concepimento avvenga comunque.

Non siamo neanche, non necessariamente, sostenitori di famiglie enormi: il punto non è neppure nel numero dei figli. Ci sono persone a cui i figli non arrivano, altre che ne ricevono in dono uno solo (ma come dico sempre a una mia amica, anche la Madonna ne aveva uno!). Non va avallata quella sorta di vanità prolife che fa contare il numero dei figli, quasi ad esibirli come certificato del proprio essere “bravi cattolici”. Ogni coppia, ogni famiglia, ha la sua storia, e solo Dio conosce davvero i cuori. Si può essere ottimi genitori di figli unici, e pessimi di famiglie extra large. Quello che davvero conta è tenere il nostro cuore aperto a lui, alla sua iniziativa nella nostra vita. Ma non si può dire di essere aperti all’iniziativa di Dio se non lo si fa entrare nelle scelte cruciali: i soldi e l’affettività.

Mi piacerebbe che testimoniassimo ai nostri pastori – basta anche una mail di poche parole – la bellezza di Humanae Vitae, per dire loro che non è affatto “ormai solo un simbolo”, come si è detto in Gregoriana, né tanto meno una regola che opprime ma una possibilità di bellezza più grande, perché il matrimonio si può vivere in tanti modi. Non basta non commettere adulterio, magari resistendo per convenienza, necessità, comodità, abitudine. Il cuore di tutto, la bellezza che Humanae Vitae propone, è rendere l’amore tra gli sposi un cammino di beatitudine, cioè di felicità. Se vissuto come via verso Dio, il matrimonio cristiano è qualcosa che somiglia al matrimonio tout court solo nella forma: se si riesce a vivere il sacramento secondo la grazia, si può cercare di amare il marito, la moglie, come Cristo la ama. È possibile, mano a mano: mentre i due sposi diminuiscono, l’amore di Dio aumenta sempre più lo spazio di azione fra di loro. Un amore che spesso gli sposi non arrivano a capire, anche perché non viene loro annunciato, neppure dalla Chiesa, che forse deve ancora capire il potenziale da bomba atomica che è nel sacramento del matrimonio. Una bomba che brucia e cauterizza tutte le ferite della coppia, i tradimenti persino, gli errori. “Tu puoi sbagliare (marito, moglie), ma Dio no” – diceva don Giussani. Dal momento che lui si mette in mezzo ai due, non c’è un matrimonio sbagliato. Ci può essere un matrimonio ferito, ma Dio salva e guarisce. Mettersi in cammino secondo Humanae Vitae significa cercare di accedere a questo amore, cioè permettere a Dio di agire da Signore nella vita della coppia, consegnarsi, non obbedire ai propri ragionamenti e progetti, ma ascoltare un’altra voce.

Io più che mettermi a fare cavilli sulla contraccezione, che non ha affatto bisogno di essere incoraggiata (i cosiddetti cattolici, quelli che vanno a messa la domenica, ne fanno ampiamente uso senza soffrire la contraddizione, senza contare le circa 600 mila pillole del giorno dopo vendute solo in Italia nell’ultimo anno, con un boom tra le adolescenti, 30% in più in un anno, anche grazie al governo che ha tolto l’obbligo di ricetta), più che mettermi a dire che in fondo ci sono dei casi in cui si può, più che arrivare come al solito con qualche decennio di ritardo sul mondo, vorrei che la Chiesa cominciasse ad annunciare una bellezza più alta, e che i pastori non avessero paura di essere impopolari. Che ricominciassero a parlare chiaro ai corsi prematrimoniali, parlando di croce e bellezza, e di che cosa è davvero fatto il sacramento del matrimonio, dove una potenza di amore che brucia può rendere vero il nostro amore piccolo e ingannevole.

L’idea che mi è venuta, insomma, è per evitare che parta la solita contrapposizione cretina tra chi chiede di oltrepassare le regole in nome del discernimento, e i cattoliconi tradizionalisti e rigidi che saltano su come ossessi alla prima avvisaglia di cambiamento. Mi piacerebbe che scrivessimo che HV aiuta a vivere l’unione dei coniugi, e non la procreazione, come primo fine del matrimonio, che è il cammino verso Dio. Noi siamo certi che in unam carnem sia un moto a luogo, sia il viaggio di una vita. Un viaggio che non esclude cadute, pause, difficoltà, dubbi. Non abbiamo un’idea stucchevole della famigliola perfetta, sappiamo forse più di certi pastori “di che lacrime grondi e di che sangue”, sappiamo che siamo chiamati ad amare non col modello “commedia romantica” ma col modello di Cristo crocifisso. Ma a dire tutto questo bastano anche otto parole: qualcosa come “l’Humanae Vitae mi ha salvato la vita”.

Possiamo scrivere alla Pontificia Accademia per la Vita, pav@pav.va, magari anche al professore che organizza il corso alla Gregoriana, Humberto Miguel Yanez (unigre.it) e infine al relatore cui abbiamo fatto riferimento chiodimaurizio@gmail.com Chi vuole, può mandare la sua mail anche al blog (sposatiesiisottomessa@gmail.com), specificando se gradirebbe vederla pubblicata o no: magari potremmo mettere a disposizione di tutti qualche frammento di bellezza….

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