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Le prime vittime della “storia” sono i docenti

Il dibattito sulla storia è aperto. Mi riferisco sia all’annuncio del ministro Fioramonti di voler rendere più “accattivante” lo studio della storia, sia alle prime risposte/proposte per dare una prospettiva di valore e significato all’insegnamento nelle scuole.

In realtà la questione è quanto mai complessa, proprio come la disciplina stessa. Gli aspetti da affrontare sono almeno quattro:

1. Come va intesa oggi la disciplina “storia”.

2. Come viene insegnata e i punti deboli.

3. Come viene periodizzata nei cicli scolastici.

4. Come attualizzarla e renderla didatticamente interessante.

L’unico contributo possibile è pertanto quello di avanzare degli spunti per il dibattito, cercando soprattutto di fare un minimo di chiarezza rispetto agli aspetti elencati.

La storia come disciplina

A partire dagli ultimi decenni del Novecento, la concezione della storia oggi sembra essersi liberata sia dallo storicismo idealistico di Croce, sia dal materialismo storico di Marx, sia da interpretazioni funzionali a visioni ideologiche di parte.

Il rinnovamento è partito in Francia dall’École des Annales, fondata da Marc Bloch, e diretta in seguito da Fernand Braudel, docente al Collège de France, morto nel 1985, i cui Scritti sulla storia hanno lasciato il segno e aperto nuove prospettive anche in Italia.

Grazie allo storico francese, è definitivamente superata la cosiddetta histoire événementielle, mentre si studia la storia nella sua complessità, durata, strutture, sotto molteplici aspetti, a “n dimensioni”, anche con l’aiuto dei risultati delle varie scienze umane, dalla geografia all’economia, alla sociologia, all’antropologia, alla demografia.

Questo a livello universitario. E poiché i programmi scolastici sono scritti da docenti universitari, troviamo questa impostazione chiaramente espressa nelle recenti Indicazioni nazionali per i licei e nelle Linee guida per i tecnici e professionali relative alla riforma del 2010, dove leggiamo che “L’approccio alla Storia non può che essere globale, ossia imperniato sull’intreccio fra le variabili ambientali, demografiche, tecnologiche, scientifiche, economiche, sociali, politiche, culturali”.

Quindi sulla concezione della storia come disciplina mi pare che ci sia un’ampia convergenza. Il discorso si fa invece ben più articolato riguardo alle finalità didattiche e ancora più sulle metodologie.

I punti deboli dell’insegnamento nelle scuole

L’obiettivo è di rendere la storia qualcosa d’interessante e formativo per gli studenti. Rispetto allo scopo, il principale punto debole riguarda la formazione dei docenti. La storia, infatti, è abbinata nella secondaria di secondo grado alla classe di concorso “Filosofia e storia”, oppure contenuta nelle “Discipline letterarie”, o in “Italiano, storia, geografia” per la secondaria di primo grado. In parole povere basta aver sostenuto qualche esame di storia per insegnarla, con poche o nulle nozioni di storiografia, di metodologia e di ricerca storica. È chiaro che il docente, avendo a disposizione testi scolastici che contengono di tutto e di più (fino a 700 pagine per volume!), fatica a trasmettere agli studenti un senso unitario capace di lasciare il segno. Alla fine quello che conta di più sarà la cronologia, gli avvenimenti e, se va bene, qualche approfondimento.

Il secondo punto debole riguarda l’attuale periodizzazione. Nella scuola primaria, dopo una fase propedeutica, si comincia in classe terza con la lontanissima e lunghissima preistoria. Solo in quarta e quinta si procede con le antiche civiltà, il mondo greco e romano. Forse, si potrebbe cominciare con la preistoria fin dal primo anno e arrivare a un primo approccio alla contemporaneità nel quinto anno. Nei tre anni di secondaria di primo grado si va dal medioevo al periodo più recente dopo la seconda guerra mondiale. Nei cinque anni di scuola superiore si ricomincia con le antiche civiltà, Grecia, Roma, Medioevo, Europa moderna, le rivoluzioni, il Risorgimento, le trasformazioni di fine Ottocento, per arrivare all’ultimo anno con un programma smisurato che comprende l’età giolittiana, due guerre mondiali, tre regimi totalitari, per arrivare fino alla storia più recente. Il tutto in due ore settimanali, che spesso saltano perché occupate da altre svariate attività, e comprensive di educazione civica. Come tradurre questa immensità e profondità in un’offerta didattica essenziale, organica, significativa, interessante?

Le finalità dell’insegnamento

Solo definendo chiare e specifiche finalità si può proporre alla generazione dei millennials una disciplina dall’alto valore formativo quale la storia. Le finalità coincidono, in parte, con quelle dell’educazione civica, cioè acquisire la consapevolezza di un comune sistema di valori, ispirato alla Costituzione, capace di orientare i comportamenti personali e sociali. Tuttavia, l’insegnamento della storia ha e dovrebbe conservare le sue specificità, che non si limitano a quest’obiettivo.

A mio avviso, le Indicazioni nazionali per i licei e le Linee guida per gli istituti tecnici e professionali del 2010 erano state pensate bene, ma sono rimaste poco conosciute e poco seguite. Sono un documento d’indirizzo che lascia spazio all’autonomia scolastica, e offrono spunti sui quali in questi anni valeva la pena di lavorare di più, magari sotto la spinta di opportune iniziative di formazione da parte del ministero.

Per i licei, l’insegnamento della storia ha l’obiettivo di saper comprendere e interpretare il fenomeno storico nella sua complessità e nella dimensione temporale e geografica, di saper valutare le diverse fonti e usare il lessico appropriato. E, soprattutto, di saper “comprendere le radici del presente”.

Per i tecnici e professionali, le Linee guida prospettavano l’opportunità di sviluppare e approfondire il “rapporto fra le discipline delle Aree di indirizzo e la Storia” per consentire allo studente di “collocare le scoperte scientifiche e le innovazioni tecnologiche in una dimensione etica e storico-culturale”, mettendo in relazione l’aspetto umanistico, scientifico, tecnologico, globale e locale. Non mi risulta che sia stato fatto qualcosa di significativo in questa direzione. È chiaro tuttavia che le scuole non possono essere lasciate sole in questa ricerca metodologica.

La didattica: come interessare (e formare) gli studenti

È questo il punto maggiormente dolente. A guardare le antologie di strafalcioni sentiti all’esame di Stato, a qualsiasi insegnante di storia viene da chiedersi “chi me lo fa fare?”. Oggi i giovani vivono e si informano attraverso i social, dove circola di tutto, e sono sempre meno in grado di distinguere fatti da opinioni, di verificare l’attendibilità di quello che leggono, di fare valutazioni critiche. Eppure dai giovani arriva una domanda di senso e di valore. “A cosa serve la Storia?”, spesso ci chiedono.

Cosa e come rispondere? Come presentare l’offerta didattica? Non basta suscitare la loro curiosità ed essere avvincenti (e già chi ci riesce è considerato un bravo insegnante). Bisogna suscitare un interesse che sia formativo per la personalità degli alunni (chi ci riesce è il vero insegnante).

Questo è il focus del problema. Risposte “tascabili” non ce ne sono. Non a caso il ministro Fioramonti è andato a chiedere un parere allo storico Alessandro Barbero, che a scuola tutti conoscono per aver utilizzato qualche suo documentario di Rai Storia. Il professore, dopo aver osservato che la storia è accattivante di per sé, perché fatta non solo da grandi e da eroi, ma da tutti gli uomini, evidenzia il problema fondamentale, cioè “l’immensità del programma” per cui ritiene necessario “individuare una serie di nuclei tematici fondamentali, che sono quelli che un essere umano deve conoscere per stare al mondo”. Sarebbe un buon punto di partenza.

Fonte: Anna Maria Bellesia | IlSussidiario.net

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