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Il caso Bibbiano. Un padre: «Così ho riabbracciato i miei figli»

La gioia dei bimbi tornati ieri a casa. Il genitore: «Figli tolti senza motivo, falsità dagli operatori. Chi oggi è indagato li aveva dati alla mia ex moglie e alla compagna, falsando le relazioni»

«A portarmeli via erano stati i servizi sociali della Val d’Enza, proprio quelli oggi indagati nell’inchiesta di Reggio Emilia. Ma dopo più di un anno ieri i miei due bambini più piccoli sono tornati a casa, doveva vedere la loro felicità». Ci chiede di scrivere solo le iniziali, C.M., papà dei due bimbi oggi di 6 e 7 anni e di un ragazzino di 16, perché la paura resta, almeno finché sulla vicenda non sarà scritta la parola fine. «Lo sa cosa mi ha salvato, rispetto ad altri genitori? Che io per un anno e mezzo ho registrato tutto, di nascosto tenevo il cellulare in tasca e registravo. Ho consegnato il tutto alla Procura di Reggio Emilia, che anche da queste registrazioni ha aperto l’inchiesta ‘Angeli e Demoni’». Non ci sono accuse di abusi sessuali nella storia di C.M., nessun sospetto di pedofilia, niente arresti, «per fortuna mi sono risparmiato sia questo, sia che i bambini finissero in una comunità di accoglienza o fossero dati a una coppia amica degli assistenti sociali, come risulta che accadesse agli altri», continua. Poi sorride ironico: «Nel mio caso la coppia lesbica cui affidarli era già lì, bella e pronta».

Per capire, occorre fare un passo indietro, quando nel 2016 C.M. dopo 20 anni di serena vita coniugale e la nascita di tre figli scopre che la moglie ha una relazione con un’altra donna. «Può immaginare che colpo è stato per me e per i bambini. Per il bene dei ragazzini ho accettato la separazione consensuale e l’affido condiviso, che funzionava bene, ci dividevamo i figli esattamente al 50%».

Ma il maggiore è quello che soffre di più la separazione dei genitori e la situazione affettiva della madre, è scioccato, va con compagnie sbagliate. E un giorno alza le mani contro il papà che lo ha rimproverato. «Io sono mingherlino, lui è un pezzo di ragazzo – continua il padre –, ho cercato di contenere il suo pugno e lui si è rotto la falange di un dito. Una sciocchezza, ma è stato l’inizio della fine». La ex moglie fa sporgere denuncia, il Tribunale per i Minorenni di Bologna ascolta il ragazzino, che conferma il racconto del padre, e tutto finisce lì, con una stretta di mano del giudice e l’archiviazione.

Se non che intanto a Reggio Emilia nella causa di separazione un magistrato rimanda gli atti al Tribunale dei Minori di Bologna affinché si monitori la situazione familiare. «E cosa succede a Bologna? Che il giudice demanda il monitoraggio ai servizi sociali della Val d’Enza. Da lì l’inferno». È tutto registrato e scritto nero su bianco. La casa è spaziosa, con giardino e piscina? «I servizi sociali nella relazione hanno scritto che era troppobella, troppopulita, troppo ordinata: non poteva rappresentare la realtà». I due bimbi giocavano con le racchette?

«L’operatore scrive che ha temuto per la sua incolumità perché i piccolini volevano aggredirlo ». Iniziano così gli incontri con quel padre (sempre munito di registratore), si comincia da che lavoro fa, l’età, il luogo di nascita… «Quando ho detto che sono di Reggio Calabria, la psicologa mi ha chiesto se fossi colluso con la ’ndrangheta, ‘sa com’è, nascendo in quei posti ci si sporca’, diceva». I bambini intanto erano interrogati da assistenti sociali e psicologi i cui nomi sono iscritti nella lista dei 27 indagati di ‘Angeli e Demoni’.

È la stessa Federica Anghinolfi (la responsabile del servizio sociale dell’Unione della Val d’Enza, oggi tra i principali indagati, lesbica e attivista lgbt) a dirgli che potrà incontrare i figli solo ogni 20 giorni e in una stanza protetta, perché affidati alla madre e alla sua compagna: «Lei è omofobo, mi spiegò, si deve adeguare alle relazioni omosessuali, se ne deve fare una ragione, io quelli come lei li conosco, se vede due donne che si baciano al parco lei sghignazza e si gira… Accuse assurde, cosa c’entrava poi con i miei figli? Spesso la minaccia era che me li avrebbero portati via definitivamente e non li avrei più visti».

Per sfuggire ai servizi della Val d’Enza, C.M. finge di cambiare residenza, così la pratica passa a Parma e la musica cambia: secondo i nuovi giudici le relazioni stilate dagli operatori della Val d’Enza erano ‘gravemente falsate’, «tra l’altro anche il figlio maggiore era minorenne, ma chissà perché per lui ero adatto a fare il padre, solo per i due piccoli mi era stata sospesa la capacità genitoriale». La vicenda non è ancora chiusa: il Tribunale ordinario ha riconosciuto la sua innocenza, ma tocca al Tribunale dei Minori annullare la sospensione della capacità genitoriale, e i tempi sono sfasati.

«Ma sono felice. Ieri abbiamo vissuto la prima giornata insieme, volevo portarli fuori in bici ma mi hanno chiesto di goderci la nostra casa. Sono segnati da ciò che è accaduto, ora bisognerà fare in modo che dimentichino gli interrogatori e gli psicologi. Gli incubi che hanno rischiato di minare la loro infanzia».

Fonte:  Lucia BELLASPIGA | Avvenire.it

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