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Quei nomi che ritornano nell’inchiesta Angeli e demoni

Siamo contrari alla caccia alle streghe, ma è un fatto che alcuni personaggi tornino anche in altre tragiche vicende su presunti casi di abusi

Cari amici di Tempi, voi che idea avete dei fatti di Bibbiano? Ricordo la vostra inchiesta sui presunti diavoli pedofili della Bassa Modenese, ma ho notato che su questa nuova inchiesta non avete scritto nulla. Perché?
Adele Frossini

Cara Adele, non siamo reticenti, ma semplicemente – come sempre – garantisti. Al momento, quel che conosciamo è la posizione della procura e, quindi, siamo molto cauti nell’esprimere giudizi di condanna preventiva. Ovviamente leggiamo i giornali e abbiamo notato che, rispetto ai titoli dei primi giorni, alcuni dettagli della vicenda sono stati ridimensionati. Nostro criterio generale resta poi sempre quello di evitare la furia ideologica, nell’uno e nell’altro senso, e, come si dice con frase logora, di “fare di ogni erba un fascio”. Dato l’argomento (l’affido di bambini, gli abusi) occorre essere molto cauti.

Detto questo, stanno emergendo alcuni elementi inquietanti su cui possiamo esprimerci con maggior chiarezza, dato che non riguardano la vicenda in corso, ma storie passate. Quando ci occupammo dei “diavoli della Bassa Modenese” – ad alcune famiglie furono sottratti i figli con accuse diffamanti poi rivelatesi false – ci capitò di puntare il dito contro pm e assistenti sociali che, secondo la nostra ricostruzione, inducevano nei minori ricordi non veritieri sulle azioni dei loro genitori. A quale associazione facevano riferimento questi assistenti sociali? All’associazione Cismai. Nell’inchiesta “Veleno”, condotta dal giornalista Paolo Trincia (che ha portato, grazie alla sua grande eco, a riaprire il caso) qual è il nome dell’associazione che torna in continuazione? Cismai.

Quando ci occupammo del caso della Bassa Modenese, qual era il nome dello psicoterapeuta che, qua e là, spuntava come riferimento per i metodi psicologici adottati verso i minori? Quello di Claudio Foti, direttore del centro Hansel e Gretel di Moncalieri. Lo stesso accade nell’inchiesta di Trincia. Ieri sul Foglio, il direttore Claudio Cerasa (che anni fa scrisse un bel libro sulla caccia alle streghe di Rignano Flaminio), rispondendo a un lettore ha scritto:

Nel momento in cui si era qui a leggere dell’indagine su Reggio mi chiedevo dove avevo già sentito alcuni dei nomi protagonisti di questa inchiesta. La risposta è in due parole: Rignano Flaminio. Era il 2007 e in quell’inchiesta, che questo giornale ha raccontato a lungo, il dottor Marco Mansi, pm di Tivoli, a quale perito affidò le indagini? A Claudio Foti, affiliato al Cismai. E a chi vennero affidate alcune perizie fatte al Bambin Gesù di Roma sui bambini di Rignano? A un professore affiliato al Cismai. E a chi vennero affidate alcune perizie fatte ancora ai bambini di Rignano? Ancora al Cismai.

Tre indizi fanno una prova? No. E prima di dire che vi sia qualcosa di penalmente rilevante occorre aspettare il processo. Ma, cara Adele, resta il fatto che, come già segnalammo anni fa, i metodi usati da Foti e Cismai, anche se non avessero risvolti penali, hanno già oggi causato danni enormi e sofferenze. Cicatrici non ancora rimarginate, ferite nella carne viva, come è il caso della nostra amica Lorena Morselli Covezzi. Noi, questo, lo scriviamo dal 1999. Il buon don Ettore Rovatti, parroco di Finale Emilia deceduto nel 2015, diceva che nel caso della Bassa Modenese pm e assistenti sociali si muovevano secondo una «morale nordcoreana», secondo cui il figlio è dello Stato e non dei genitori.

Sono storie delicate e occorrerà specificare bene “chi” ha fatto “cosa” per evitare di andare a colpire persone innocenti e – speriamo che la cosa non tracimi – di mettere in croce tutte le “case famiglia” e anche quell’assistenza sociale che, invece, opera per il bene dei piccoli.

Di certo, e questa è l’ultima osservazione che facciamo, al di là del suo rilievo penale, ci chiediamo come sia stato possibile che in Emilia dei bambini fossero affidati a mamme lesbiche, come raccontato ieri dalla Verità, in base a motivazioni ideologiche e non d’assistenza. A due donne unite civilmente è stata affidata una bambina e ora è stata tolta loro perché accusate di maltrattamenti. Bambina che poterono curare grazie ai buoni uffici di Federica Anghinolfi, dirigente del servizio di assistenza sociale dell’Unione Comuni Val d’Enza e nota attivista del mondo lgbt.

Fonte: Emanuele BOFFI | Tempi.it

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