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L’allarme Migrantes. In un anno 128mila italiani emigrati all’estero: 24mila minorenni

Un italiano su cinque tra quelli che si sono trasferiti all’estero nell’ultimo anno aveva meno di 18 anni Di Tora (Migrantes): non è un fenomeno transitorio

La pubblicazione del Rapporto junior da parte della Fondazione Migrantes punta a spiegare a migliaia di alunni delle scuole cosa significa lasciare il proprio Paese in cerca di una vita migliore

La pubblicazione del Rapporto junior da parte della Fondazione Migrantes punta a spiegare a migliaia di alunni delle scuole cosa significa lasciare il proprio Paese in cerca di una vita migliore

Non è solo per una questione educativa, o culturale, che ai ragazzi si deve parlare di migrazioni. Se è vero – ed è drammaticamente vero – che l’anno scorso degli oltre 128mila connazionali che hanno lasciato l’Italia, oltre 24mila erano minori (il 19,7% del totale, di cui il 16,6% con meno di 14 anni e ben l’11,5% con meno di 10), significa che la mobilità è entrata in maniera dirompente nell’esperienza di vita delle nuove generazioni. E che l’Italia, oltre che cervelli (altri 48mila, tra i 18 e i 34 anni, nel 2018) sta cominciando a perdere futuro. È solo un lato della medaglia: dall’altro c’è l’ormai assodata realtà dell’immigrazione, che alla scuola italiana offre oltre 850mila minori provenienti da 160 Paesi del mondo diversi. Una fonte di ricchezza inesauribile, e spesso ancora inesplorata.

I migranti di domani
Come raccontare il mondo ai piccoli, costruendo in loro la consapevolezza delle proprie radici, è la sfida che a partire dal 2017 ha deciso di raccogliere la Fondazione Migrantes. Con la pubblicazione, accanto al tradizionale Rapporto che ogni anno racconta le migrazioni italiane nel mondo, di un Rapporto junior. Il primo, nel 2017, fu presentato in una scuola di periferia di Roma, alla Magliana, coi ragazzi che non la smettevano di fare domande e i ricercatori che raccoglievano proposte e idee dei più piccoli. Il secondo, appena pubblicato, raccoglie quelle suggestioni e si prepara ad entrare in migliaia di altre scuole italiane (dentro e fuori i confini nazionali) con l’ambizione di raccontare e far capire cosa ha significato, e cosa significa, lasciare il proprio Paese in cerca di una vita migliore. Solo un male, o un danno? Forse, se si guarda al lungo elenco di motivazioni all’origine della scelta: dall’Italia – lo andiamo ripetendo da anni, a suon di rapporti e statistiche – si è obbligati a partire perché non si trova lavoro (o perché lo si trova ma non all’altezza delle proprie aspettative), perché non si riesce ad acquistare una casa, a costruire una famiglia. Eppure la libertà di circolazione è anche la grande conquista nata in seno all’Europa unita, e a un mondo sempre più globalizzato. Dove la mobilità, all’insegna del sogno di una vita migliore, dovrebbe assomigliare più un diritto che a un torto.


128.193
Gli italiani che sono andati all’estero nell’ultimo anno

11,5%
La quota di minori con meno di 10 anni emigrata nell’ultimo anno dall’Italia
+64,7%
L’aumento dei cittadini italiani residenti all’estero, tra il 2006 e il 2018
578mila
Gli italiani presenti in Germania, il Paese che ha la più grande comunità di nostri connazionali in Europa
1,6
I milioni di nostri concittadini che hanno scelto di vivere in un altro Paese dell’Ue: dal 2016 al 2018,

Al centro le persone
Gli italiani, nella storia, hanno inseguito quel sogno con coraggio e tenacia straordinari. Ma molti, di questi italiani, sono sconosciuti. Non solo ai ragazzi. Così, sulle tracce di una mappa che si snoda tra le principali mete dell’esodo di connazionali – da Londra a Berlino, da Amsterdam a Parigi, da New York a Sydney fino a Wellington e Shanghai – ecco messe nere su bianco le piccole epopee sconosciute dell’italianità, scritte nella carne di chi le ha vissute: la storia di Cristina da Pizzano, la scrittrice caparbia che nel 1300 rivoluzionò la letteratura francese, quella di Michele Tofani, con la sua scommessa vinta sui gelati in Olanda, le invenzioni passate alla storia dell’ingegnere alla corte di Prussia Filippo di Chiese, l’’avventura straordinaria della prima scuola interreligiosa fondata a Tangeri da Elisa Chimenti e del medico ebreo in fuga dell’Italia fascista, Lucia Servadio Bedarida, che sempre in Marocco apriva la porta della sua clinica, anche ai tedeschi (e pensare che proprio dal Marocco che ci ospitava oggi proviene una delle comunità di migranti più radicate nel nostro Paese). Ritratti a cui si affiancano quelli corali delle balie friulane ad Alessandria d’Egitto, degli spazzacamini della Valvigezzo ad Amsterdam, dei banchieri lombardi e dei postini a Cracovia, delle prime case famiglia (i ‘bordi’) a New York. Piccoli o grandi pezzi di storia, il cui baricentro (la Chiesa ne fa un motto decisivo in questo tempo) è sempre e comunque la persona, raccontati con un linguaggio semplice, una grafica intuitiva. E con collegamenti ipertestuali pensati appositamente – senza paura – per la lettura con lo smartphone. D’altronde ci si deve giocare il tutto per tutto, «le migrazioni non sono un fenomeno transitorio. Chi le studia ci dice che dureranno almeno 25-30 anni e che cambieranno la geopolitica mondiale, come è avvenuto in passato. C’è quindi la necessità di preparare questa realtà del futuro. E il mondo giovanile è fondamentale, perché sarà il mondo del domani» spiega il presidente della commissione Cei per le migrazioni e della Fondazione Migrantes, monsignor Guerino Di Tora.

La sfida educativa
Tornare ai piccoli, dunque, cioè a chi potrebbe partire o potrebbe accogliere domani, nell’ottica di un racconto che attiva percorsi didattici e personali innovativi, «con l’obiettivo di vivere l’avventura sempre sorprendente che è la scuola da un lato e l’incontro con il diverso dall’altro» aggiunge il coordinatore dell’Osservatorio nazionale intercultura del ministero dell’Istruzione, Vinicio Ongini. Da anni anima, a sua volta, di progetti innovativi nella scuola come quello presentato appena un mese fa dei libri tradotti dall’italiano all’arabo. Perché la lingua è il primo patrimonio che la mobilità mette a disposizione dei Paesi che incontra «e non a caso nelle prove Invalsi dell’anno scorso proprio i ragazzi nati fuori dall’Italia hanno dimostrato più competenze in inglese, esattamente come i nostri le dimostrano all’estero» spiega ancora Ongini. Il progetto di Migrantes e della Cei mira a questo, nella concretezza della vita a scuola: creare domande, sollecitare percorsi e confronti, non lasciare nulla di scontato sul fronte della richiesta di futuro dei ragazzi.

Fonte: Viviana DALOISO | Avvenire.it

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