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Dopo la morte di Noa. Marco che si è salvato: «Ho incontrato chi ha saputo aiutarmi»

Il disagio psichico giovanile e il boom di suicidi. Il racconto di un ragazzo che ha trovato sul suo cammino la persona giusta nel momento giusto. “Dateci gratificazione, è quella che ci può salvare”

L’inchiesta di Avvenire sulle tante Noa italiane che non ricevono cure e vanno incontro alla disperazione, come la giovanissima olandese che si è lasciata morire. Parla un suo coetaneo, Marco Viadana, 16 anni: la madre paralizzata, il padre morto in circostanze tragiche, la sofferenza e la solitudine. «Mi facevo del male, volevo solo morire». Poi la svolta.

Este ( Padova) «Avevo 6 anni e mia mamma mi guardava senza riconoscermi, non sapeva chi fossi». Era iniziata tutta in salita la vita di Marco Viadana, oggi studente di 16 anni: ne aveva 4 quando la madre subiva un’operazione sfociata in uno stato vegetativo, da cui si sarebbe svegliata due anni dopo priva di memoria e semiparalizzata. Ne aveva 10 quando a morire in tragiche circostanze fu il padre. «Per forza di cose sono stato un bambino che cercava giocattoli e beni materiali perché dentro sentiva sempre il vuoto – racconta –. In più ero oggetto di bullismo, per i compagni ero ‘il figlio della disabile’, e questo mi rendeva sempre più chiuso e permaloso. Ma non ero un tipo violento, al contrario, piangevo. Siccome poi ero il più alto, e all’epoca pure grasso, era divertente far piangere il più grande, li rendeva ‘potenti’. E io, per paura della mia forza, non reagivo». Quanto dolore può contenere un ragazzino? Fino a che punto può immagazzinarlo nella sua giovane anima? Quale medicina lo può curare?

«Arrivata a zero l’autostima, sono incappato in momenti di autolesionismo », proprio come Noa. C’era un solo modo per non sentire il dolore dell’anima ed era quello di infliggersi il dolore fisico, «mi tagliavo le braccia, mi piaceva vedere quelle cicatrici, erano i miei stemmi. Ho anche desiderato morire». A salvarlo – dice Marco – sono stati prima gli amori, «mi ero innamorato di una ragazza… io sono sempre stato innamorato », ma anche questo in lui assume una tinta intensa perché nulla in Marco è banale: «Mi innamoravo per distrarmi dal dolore. Non parlo di infatuazioni, dico proprio amore, è diverso, l’amore ti fa amare anche i difetti, l’infatuazione no. A 16 anni aver amato quattro volte è tanto… e quattro volte sono stato respinto», ride. Ma soprattutto lo ha salvato un incontro, quello con Gianpietro Ghidini, il papà di Emanuele, scomparso nell’inverno del 2013 a 16 anni gettandosi nei gorghi di un fiume dopo aver assunto una pasticca di Lsd. ‘Gettando via te hai salvato me e salverai tanti giovani, te lo assicuro’, scrisse quel padre al figlio morto e fondò l’associazione Pesciolino Rosso, oltre 1.000 incontri nelle scuole di tutta Italia.

«Venne anche da noi quando ero in terza media e per me è stata la rinascita, oggi altrimenti non sarei qui», continua Marco. Un dolore può salvarne un altro e la catena può non finire mai, perché solo chi ha provato a soffrire sa davvero ascoltare gli altri. «È diventato mio padre. Lui aveva perso in modo drammatico un figlio, io mio papà. Mia mamma all’inizio era prudente, poi lo ha conosciuto bene e ora ne è felice». Una madre che ancora combatte con la vita, la memoria non le ha più restituito gli anni immediatamente successivi al risveglio, quando Marco le cresceva accanto come uno sconosciuto e frequentava le medie «senza nessuna voglia di studiare», ma oggi a 54 anni «è dolce e aperta, per me è madre e padre insieme, siamo una bella squadra». Non ha mai pensato molto a studiare, ammette Marco, e si capisce, gli è sempre interessato di più «pensare a chi sono io, chi sono gli altri. L’anno scorso sono stato bocciato, ma oggi, ultimo giorno di scuola, so che sarò promosso». Ma la sua vera vita sono le poesie che scrive, aforismi che posta su Instagram e che vorrebbe diventassero il suo futuro: «Voglio scrivere i miei pensieri e avere successo – spiega –, non per lucro ma per continuare ad aiutare gli altri. Voglio crearmi un’immagine che vale, come ha fatto Gianpietro, e attraverso il dolore sorreggere chi soffre».

Marco durante un incontro pubblico nelle scuole

Marco durante un incontro pubblico nelle scuole

Lo fa già, quando Gianpietro lo porta con sé a testimoniare, «allora cerco sempre di esserci per tutti. Ogni volta ascolto, do la mia parte, e poi mi sento tanto tanto bene… Ciò che oggi manca a noi giovani è l’empatia, chi soffre viene giudicato anziché aiutato, c’è troppa superficialità ». Lui sa cos’è mancato a Noa, una ragazza come lui, stessa età ma un altro destino: «Se fosse riuscita a trovare un minimo di gratificazione nella sua storia, bisognava puntare su questo e ampliarla. Non so nulla di lei, so solo che non ha incontrato la persona che sapesse aiutarla».

Fonte: Lucia BELLASPIGA | Avvenire.it

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