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Dipendenza da videogiochi? È una malattia. Ora lo dice anche l’Oms

Il “gaming disorder” è una malattia che può causare gravi problemi. E il neuropsichiatra Benzoni spiega ai genitori come devono attrezzarsi
Foto di Paulina Pratko da Pixabay

«Compromissione del controllo sul proprio tempo di gioco; priorità data al gioco rispetto agli altri interessi di vita e alle altre attività quotidiane; continuazione o escalation nell’utilizzo dei videogiochi nonostante il verificarsi di conseguenze negative». Il modello di comportamento individuato dalle tre caratteristiche in questione è abbastanza grave «da causare una compromissione significativa in aree di funzionamento personali, familiari, sociali, educative, professionali o di altro tipo». E per questo, per la prima volta, l’Organizzazione mondiale della sanità ha inserito la dipendenza da videogiochi (online e offline) nell’elenco delle malattie riconosciute. Non un “vizio” dunque, o una cattiva abitudine, ma una vera e propria patologia che richiede una diagnosi e una cura. La presa di coscienza dell’Oms sulla questione dei videogiochi arriva dopo una serie di allarmi degli esperti, e dopo la creazione in tutto il mondo di vere e proprie cliniche per la disintossicazione, ora presenti anche in Italia. I numeri dei videogiocatori? Nel nostro Paese sono impressionanti: secondo una ricerca Aesvi-Gfk sono 29,3 milioni. E a rischio per “gaming disorder” (ovvero per la malattia da videogiochi) ci sarebbero circa 270mila ragazzi, per la quasi totalità maschi, in una fascia d’età tra i 12 ed i 16 anni.

Adolescenti “supereroi fragili”. Tanto fragili da ricorrere sempre più spesso alle cure della neuropsichiatria infantile. Più 21% in quattro anni nella sola Milano. Quasi raddoppiati (da 65mila a 114mila) in otto anni in Lombardia. Avevano destato preoccupazioni le cifre comunicate qualche giorno fa da Stefano Benzoni, neuropsichiatra del Policlinico di Milano. Anche perché, tra le cause di questo malessere, lo specialista aveva indicato la fatica dei ragazzi di fronte all’accelerazione delle trasformazioni tecnologiche. Che fare allora, visto che gli under 18 – ma non solo loro – vivono in connessione permanente con il digitale?

Benzoni ha accettato di tornare sul tema per indagare meglio un versante che non può non preoccupare i genitori. Le sue conclusioni? Sbagliato vivere in un stato di emergenza continua. Sbagliato pensare che questa «nuova normalità» di cui sappiamo poco sia sempre e comunque foriera di disturbi patologici. Eppure non si può abbassare la guardia. E, quando si scorgono segnali preoccupanti, giusto chiedere aiuto.

A quale età si manifesta più frequentemente una sofferenza psichiatrica causata da Internet e dintorni?
Non vi è dubbio che la saturazione tecnologica della vita di tutti giorni stia cambiando molte cose nel modo in cui i figli organizzano il tempo e il ritmo di vita, le esperienze, la gestione delle relazioni ma ciò non è di per sé “patogeno”. Non causa automaticamente disagio e ancor meno malattie psichiatriche, che sono il nome che diamo a quelle forme di “disagio” e sofferenza, quando diventano molto rilevanti.

Quindi è scorretto collegare direttamente Internet ai disturbi psichiatrici degli adolescenti?
Molto scorretto. Anche nel caso estremo, di un adolescente che non esca di casa tutto il giorno, perché impegnato in partite interminabili alla consolle con compagni di gioco immaginari, non vi è dubbio che la vera “causa” del suo problema, o quantomeno una sua solida spiegazione, sarebbe da ricercarsi in uno stallo del processo di crescita anche connesso alla crisi delle relazioni familiari e del legame con il padre e la madre.

E i mutamenti tecnologici allora cosa c’entrano con le sofferenze degli adolescenti?
È vero che la tecnologia (e l’accelerazione tecnologica) è diventata parte di un insieme di mutamenti sociali molto radicali e totalizzanti che impongono diversi tipi di “tensioni” e distorsioni ad alcuni aspetti fondamentali del nostro stare al mondo, e stanno dunque modificando l’idea stessa di ciò che chiamiamo una vita buona.

Quindi che rapporto c’è da nuove tecnologie e disagi degli adolescenti?
Il malessere di bambini e adolescenti assume forme espressive intimamente connesse ai mutamenti sociali e tecnologici “attuali” e dunque non può che essere fortemente “attratto” dall’invasione dei device e del modo in cui possono condizionare le nostre azioni nel mondo. Su questo fronte l’area dei disturbi del sonno dei preadolescenti e degli adolescenti è forse una delle dimensioni cliniche più sottovalutate e rilevanti.

Quali sono i segnali d’allarme che dovrebbero far capire ai genitori che è ora di intervenire?
Non ci sono segnali “specifici” o sempre uguali. In generale dovrebbe destare preoccupazione ogni comportamento che sia poco flessibile e quasi “obbligato”, occupi molta parte della giornata, tolga spazio risorse ed energie ad altre attività fondamentali (incontrarsi con gli amici, fare sport, riposare, alimentarsi, andare a scuola eccetera).

Sono cambiamenti bruschi?
No, spesso questo tipo di cambiamenti si instaurano progressivamente e i ragazzini faticano a coglierne l’impatto disfunzionale sulla loro vita, anche quando è evidente a un occhio esterno. In questi casi è sempre utile cercare un consulto psicologico o psichiatrico per comprendere meglio i contorni del problema e intervenire, se necessario.

Si può stabilire una classifica di pericolosità dei vari device? Peggio cioè i videogiochi, oppure attività ossessiva di chat o che altro ancora?
Anche in questo caso è indispensabile non generalizzare. I device non sono di per sé negativi o positivi, oppure più o meno rischiosi. Piuttosto è il tipo di approccio e il rapporto che si crea tra i bisogni evolutivi di un bambino o un adolescente e “quell’oggetto” a definirne eventualmente il grado di pericolosità. Su questo punto vi sono naturalmente tipi diversi di rischi: una certa pratica può essere pericolosa perché ossessiva e ripetitiva, oppure per i suoi contenuti (violenti, impropri ecc.), o ancora perché espone il figlio a possibili contatti con reti di utenti poco sicure o selezionate, o per varie combinazioni di questi tre fattori.

Perché voi esperti ritenete che il mondo digitale possa arrivare a modificare i circuiti cerebrali degli adolescenti? Quali pericoli e quali antidoti?
Non vi sono antidoti o vie di uscita. La saturazione tecnologica della nostra vita ha preso una piega forse irreversibile, o comunque destinata a durare a lungo. E certamente i circuiti cerebrali di un neonato che sin dai primi gesti si abitui a interagire con schermi piatti e, tra non molto, immagini virtuali 3D si adatteranno ai nuovi stimoli, perché il cervello serve proprio a permetterci di funzionare al meglio nell’ambiente in cui viviamo. È probabilmente un errore immaginarsi che ciò costituisca di per sé un pericolo ma certo i cambiamenti in corso sembrano radicali e le prospettive sono poco chiare. Abbastanza per causare parecchi problemi psichici.

Vietare? Accompagnare?
Le trasformazioni cui assistiamo non sono solo un cambiamento tecnico (cioè legato all’invenzione di dispostivi specifici) e nemmeno dipendono semplicemente da fattori culturali. La loro capacità di incidere sui corpi e sulle menti delle persone risiede nel fatto che si impongono a noi come un sistema ideologico che, in quanto tale, risulta “trasparente allo sguardo”. Per questo ogni idea di censura o divieto risulta anacronistica. Tuttavia restare consapevoli delle distorsioni imposte da questo sistema è già un una buon inizio per contrastarne gli effetti negativi. Vi sono molti modi diversi in cui si può divenire “genitori più consapevoli” e forse questo è preferibile a tentare di rincorrere i figli sul loro stesso terreno.

IL DECALOGO PER I GENITORI

1) Sbagliato collegare direttamente tecnologie e disturbi mentali
2) L’accelerazione tecnologica può innescare però diversi tipi di distorsione nei processi di crescita
3) I disturbi del sonno sono il primo campanello d’allarme
4) Vigilare se l’uso di smartphone e videogiochi diventa “obbligatorio” o poco flessibile
5) Le tecnologie non devono occupare troppe ore al giorno
6) Dev’essere sempre lasciato lo spazio adeguato per amici, sport, compiti, alimentazione
7) Controllare anche la “qualità” dei contenuti, escludendo temi violenti o inadeguati in rapporto all’età dei ragazzi
8) Censurare o vietare non serve. Obbligatorio però informarsi e accompagnare i figli
9) Non possiamo fermare lo sviluppo delle tecnologie. Essere consapevoli dei rischi è già un buon inizio per contrastarne gli effetti negativi.
10) Evitare di rincorrere i figli sul proprio terreno. Stare con loro davanti a un video non vuol dire smettere il nostro ruolo di genitori

Fonte: Luciano MOIA |  Avvenire.it

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