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5 bugie che le donne (anche cattoliche) amano raccontarsi

“Oh povera me! Non ho abbastanza tempo per fare tutto!”

Nancy ci va giù abbastanza decisa, su questo punto – anche perché, dall’alto dei suoi sessant’anni, può anche permettersi la retorica stile “ai miei tempi…”. E infatti lo dice proprio. Ragazze: noi donne del duemila abbiamo robot da cucina che cucinano al posto nostro, aspirapolveri che puliscono casa mentre noi stiamo sul divano, lavasciuga programmabili che fanno e asciugano il bucato mentre noi siamo a chilometri di distanza. Abbiamo gadget così tecnologicamente avanzati che una massaia anni ’50 non avrebbe neanche potuto immaginare nei suoi sogni arditi: e allora, perché le nostre vite sono più affannate che mai? I “perché” sono numerosi e molto diversi tra di loro, ma, secondo Nancy, uno dei grandi problemi sta proprio nel fatto che noi stesse ci siamo bevute la storiella che non abbiamo abbastanza tempo per fare tutto. Il problema non è che non abbiamo abbastanza tempo. Il problema sta nella seconda parte della frase: e cioè, nel fatto che vogliamo fare tutto. E, peggio ancora, vogliamo fare tutto quello che la società ci ha convinte che dovremmo fare. Nancy, qui, fa una considerazione buffamente provocatoria: Gesù ce l’ha avuto, abbastanza tempo per fare tutto? ‘sto povero Cristo doveva salvare il mondo e ha avuto a disposizione solamente trentatré anni, la maggior parte dei quali sono trascorsi non si sa bene a far cosa. Se avesse dovuto guardare alla sua vita con lo stesso atteggiamento delle donnine stressate anni 2000, Gesù avrebbe dovuto essere costantemente sull’orlo di una crisi di nervi.
Quanti malati avrebbe ancora potuto sanare! E quanti pochi, invece, ha guarito! Quante volte ha deluso le aspettative dei suoi amici! Alla fin fine, forse, quella roba di far crollare l’Impero la si poteva anche fare: sai, ci tenevano tanto… E invece, no. Non solo i Vangeli non ci dipingono Gesù nell’atto di consultare compulsivamente Google Calendar, ma addirittura ci raccontano come, a un passo dalla morte, abbia avuto la lucidità di dire al Padre: “ho compiuto l’opera che tu mi hai dato da fare”. Ma badate bene, dice Nancy: Gesù, a differenza nostra, considerava prioritaria una cosa sola – compiere l’opera che il Padre gli aveva dato da fare. Non l’opera che sarebbe piaciuta a San Pietro. Non il miracolo che avrebbe fatto gioire le moltitudini. No: Gesù, che a differenza nostra non è scemo, aveva come unica preoccupazione quella di portare a termine il compito che Dio gli aveva dato. L’autrice lo dice molto chiaramente: ventiquattr’ore al giorno sono troppo poche perché io possa riuscire a fare tutte le cose che sono appuntate nella mia to-do-list. Se in ventiquattr’ore cerco anche di ottemperare alle to-do-list degli altri, andiamo peggio del peggio. Non ho materialmente il tempo e la forza fisica per ascoltare tutte le telefonate-fiume delle mie amiche in crisi, e contemporaneamente incontrare tutti quelli che mi han detto “vediamoci per un caffè”, e contemporaneamente cucinare una cena per dieci ospiti partendo dalle materie prime, e contemporaneamente rimanere in regolare contatto con tutti gli amici lontani. E sai qual è il bello, dice Nancy? Il bello è che, in effetti, non c’è scritto da nessuna parte che io debba fare tutta ‘sta roba. Gli unici compiti che siamo realmente tenute a portare a termine sono quelli che Dio ci mette davanti, sempre diversi a seconda delle varie fasi della nostra vita. “La frustrazione”, scrive Nancy, “nasce quando io mi auto-assumo delle responsabilità che esulano dal progetto che Dio ha per me. Nasce quando noi stesse pretendiamo di scrivere la nostra to-do-list, o permettiamo agli altri di stabilire quali dovrebbero essere le priorità nella nostra vita”. Hai appena partorito due gemelli, e il fratellino più grande non va ancora all’asilo? Se ti lasci convincere che devi assolutamente farcela ad avere la stessa casa super-ordinata di quando eri una novella sposa, non sei wonder-woman: sei ‘na povera pazza. (Senza offesa). Le circostanze della vita ti costringono a fare la pendolare per un lavoro fisicamente sfiancante, che ti fa tornare a casa esausta, alle sette e mezza di sera? Se ti fissi che devi a tutti i costi cucire a mano i costumi di Carnevale solo perché la tua amica casalinga sta preparando alla sua bimba un abito da principessa, non sei wonder-woman. Sei sempre ‘na povera pazza. Impara a dire di no senza sentirti in colpa, impara a distinguere ciò che conta davvero da tutto ciò che sarebbe bello poter fare in un mondo ideale. E vedrai – assicura Nancy – che le tue giornate cominceranno improvvisamente a bastare.

“Mio Dio! Quella povera sorella in Cristo sta sbagliando tutto! Ghe pensi mi: adesso sì che la nutrirò con le mie parole di vita eterna!”

Presente, la proverbiale suocera che pretende di insegnarti a lavare i pavimenti perché “ma sei scema a usare il mocio, lo sanno tutti che lo straccio è meglio”?
Oppure, peggio ancora: presente, la perfetta sconosciuta che ti ferma per strada, lancia un’occhiata pietosa al tuo bambino, e poi comincia a pontificare che lo stai tenendo male, l’hai vestito troppo o troppo poco, quella merendina non gli fa bene, cosa ti è venuto in mente di comprargli quel giocattolo?

Ecco. Se concordiamo tutte quante (come credo) sul fatto che certi comportamenti invasivi e non richiesti dovrebbero essere sanzionati con un viaggio di sola andata verso quel paese, dovremmo francamente stare molto attente a non assumere anche noi lo stesso atteggiamento, quando si tratta di “consigliare” la strada “giusta” a una nostra sorella in Cristo che “vediamo” in “difficoltà” (?).
“La Chiesa”, scrive Nancy, “non è stata pensata per essere un amoroso convivio di famigliole alla mano che sono identiche in ogni singolo aspetto della loro vita”. Siamo persone con problemi, talenti, esperienze di vita e possibilità drasticamente diverse gli uni dagli altri. Quello che fa funzionare il mio matrimonio, non necessariamente potrebbe salvare il matrimonio di Giovanna. Le scelte educative fatte da Giulia, non necessariamente possono funzionare altrettanto bene sui figli di Chiara.

Nancy mi ha fatto molto ridere citando, a questo punto, alcuni stralci di una lettera che un esasperato San Paolo ha indirizzato a una comunità romana evidentemente piena di “so-tutto-io”.
Non mettetevi a discutere sulle opinioni. Uno di voi crede di poter mangiare di tutto, lʼaltro invece, che è debole, mangia solo verdure. Quello che mangia di tutto con convinzione non deve permettersi di disprezzare quelli che la pensano diversamente. E lo stesso vale per questi ultimi: non devono giudicare quelli che mangiano di tutto, perché Dio stesso li ha accettati come suoi figli. Chi siete voi per giudicare i servi di Dio? Essi sono responsabili davanti a Dio, non davanti a voi. […] Per questioni del genere, ognuno approfondisca le sue convinzioni personali. […]
Smettiamola quindi di criticarci a vicenda. Cerchiamo, invece, di vivere in modo da non essere d’ostacolo alla crescita spirituale del nostro fratello.
Intendiamoci: se ci troviamo di fronte a una amica che pone in essere dei comportamenti oggettivamente sbagliati, è senz’altro bene correggerla con buon garbo, nei tempi e nei modi che parranno più opportuni.
Ma per tutto ciò che non è una diretta infrazione del catechismo (per tutto ciò che, insomma, è una tua particolare interpretazione, una tua specifica devozione, una tua intima convinzione: ma nulla di più), sarebbe bene stare molto molto attente, prima di dispensare a destra e a manca parole di vita eterna.

Anche perché, toccando corde delicatissime come quelle della fede e delle questioni di coscienza, è drammaticamente facile dare il consiglio sbagliato, mandare in crisi mistica chi lo riceve (perché “oddio, ma allora sto sbagliando tutto”), convincerlo a fare come dici tu (perché “vedrai, funziona!”) e poi mandare tutto involontariamente a catafascio (perché, no, guarda un po’: ciò che funzionava per te, per lei non funziona affatto).

“I miei figli devono assolutamente essere la mia priorità numero uno!”

Nancy introduce l’argomento facendo un parallelismo con le cosiddette “mamme elicottero”, quelle madri eccessivamente apprensive e protettive che pattugliano costantemente i loro figli dall’alto (come un elicottero) pianificando, controllando e regolando ogni singolo aspetto della vita del bebè (pure quando il bebè ha già patente e diritto di voto). La cosa allarmante è che – dice Nancy – “negli ultimi anni ho notato l’ascesa (scusate il gioco di parole) di una variante religiosa della mamma-elicottero: si tratta di madri piene di buone intenzioni che fanno sì che la loro intera vita ruoti attorno a quella del figlio, invece di proporre a se stesse e ai loro figli uno stile di vita che ruoti attorno al Vangelo. E c’è una sottile ma importante differenza, tra le due cose”. È un inganno in cui cadono moltissime donne dabbene, un inganno che Nancy ritiene ordito niente meno che da Satana: “se non riesce a farti credere alla bugia per cui i tuoi desideri personali sono più importanti dei bisogni dei tuoi figli, ecco allora che cercherà di colpirti con la menzogna opposta: e cioè che i tuoi figli sono la tua unica ragion d’essere. Se non è riuscito a persuaderti a fare un idolo della tua carriera, allora cercherà di indurti a idolatrare i tuoi bambini”. È indubbiamente vero che viviamo in una società in cui i bambini sono spesso considerati uno scomodo extra, di cui farsi carico il più tardi possibile. Eppure, è altrettanto vero che i (pochi) bambini (rimasti) sono trattati alla stregua di capricciose semi-divinità. E quindi, anche noi brave donne cristiane (noi, felici poche, che sappiamo davvero quanto vale una nuova vita!) di fronte a un bambino ci sentiamo spesso in dovere di soddisfare (anzi prevenire) qualsiasi sua richiesta, di riempire ogni sua giornata con attività ludiche e gioiose, di allontanare da lui qualsiasi sentimento negativo. E magari imponiamo pure al resto del mondo le urla di un bimbo capriccioso e in lacrime, dando per scontato che qualsiasi adulto dovesse mostrare fastidio non sia altro che un perfido emulo di Erode. È naturale e santo (ovviamente) amare i propri figli, dare la propria vita per loro, e volere per loro tutto il meglio. E non è certo prerogativa delle sole mamme cristiane mettere loro figlio su un piedistallo: anzi. Eppure, una mamma cristiana dovrebbe stare molto attenta su questo punto, anche perché – sottolinea Nancy – Gesù è stato molto esplicito nel dire “chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me”. Credo anch’io che ogni tanto potrebbe essere salutare fare un accurato esame di coscienza su questo tema. Cos’è che ci dà sicurezza, felicità e appagamento: primariamente la nostra famiglia, o primariamente Dio? Su chi è che facciamo affidamento innanzi tutto: su nostro marito, o sulla Divina Provvidenza? Cos’è che desideriamo di più, nel profondo: essere considerata dal mondo una brava mamma, o essere considerata da Dio una brava cristiana? Tante cose possono diventare degli idoli, nella vita: la forma fisica, la ricchezza, il sesso, la carriera. Ebbene: quasi nessuno osa dirlo ad alta voce, ma anche il sogno della Perfetta Famiglia Cristiana Da Mulino Bianco, talvolta, a suo modo, può diventare un idolo. In un certo senso, anche nei confronti dei propri figli si può provare un amore smodato e non casto. E, dunque, a suo modo, peccaminoso.

“Sono una donna, sono emotiva: non posso farci niente, sono fatta così. Sai, gli ormoni”

Per una mia personale inclinazione caratteriale, sono probabilmente la donna meno emotiva di questo mondo. Al tempo stesso, non ho mai sofferto (e prego di non soffrire mai, ché la cosa mi destabilizzerebbe mica poco) dei famosi sbalzi di umore che molte donne accusano in quei periodi del mese. Però, regà, io conosco alcune amiche che affrontano la sindrome premestruale con la stessa rassegnazione all’ineluttabilità dei fatti con cui una gatta affronta l’entrata in calore. Le fluttuazioni ormonali sono un dato di fatto, ma non è che adesso questo debba autorizzarci a trasformarci una volta al mese in una Erinne vendicativa che deve far scontare al povero coniuge tutte le sue colpe passate, presenti e future. Siamo donne: abbiamo la tendenza ad essere emotive e a dare un grande peso ai nostri sentimenti. Ma non è che adesso dobbiamo sentirci autorizzate ad assecondare ogni singolo sentimento, emozione o stato d’animo che ci si piazza nella capoccia. Per citare Nancy: “Può anche darsi che tu davvero ti senta nervosa ed irritabile in certi giorni del mese, e che tu non possa fare niente per evitarlo. Ma questo non vuol dire che tu non possa fare niente per evitare di trattare a pesci in faccia gli innocenti che hanno a che fare con te in una giornata no. Può darsi che tu davvero non possa fare niente per evitare di sentirti vulnerabile e lusingata dalle attenzioni di quell’uomo sposato che ha posato gli occhi su di te. Ma questo non vuol dire che tu non possa fare niente per fermare il corso delle cose”. Grazie a Dio siamo esseri umani, e non bestie allo stato brado. Ergo, non è vero che siamo incapaci di controllare le nostre emozioni; né possiamo ragionevolmente credere che basti uno sbalzo ormonale per farci uscire completamente di cervella. Se stiamo cercando una scusa per comportarci male, dice Nancy, riusciremo sempre a trovarne una: ma guai, se cominciamo a giustificare i nostri peccati e le nostre asperità caratteriali con una scrollata di spalle e con un “eh ma sai, l’emotività. Gli ormoni”. Personalmente, rimango sempre un po’ interdetta quando sento donne scherzare dicendo “eh beh ma sono una donna, è ovvio che io sia vanitosa / pettegola / spendacciona”. Generalmente è detto in tono scherzoso e non sono così scema da non cogliere l’ironia, ma… ehm: non sono mica cose di cui vantarsi. Un uomo che ritenesse normale abbandonarsi a scatti d’ira immotivati al momento dell’andropausa, o dicesse seraficamente “sai, sono un maschio, è nella mia natura essere aggressivo e ruffiano sul lavoro” non lo guarderemmo con la stessa indulgenza sorridente con cui amiamo guardare noi stesse mentre ci crogioliamo nel peccato.

“Devo imparare ad amarmi di più”

Che sulla carta, è pure ‘na bella cosa, no? Perché mai dovrebbe essere sbagliato, per una donna cristiana, imparare ad amarsi ogni giorno un po’ di più? Mica c’è scritto da nessuna parte che dobbiamo vivere nel costante disprezzo di noi e del mondo. No, per carità, ci mancherebbe altro. Ma – fatto salvo il caso di alcune donne che davvero faticano ad accettare se stesse, spesso a causa di trascorsi complicati o di un disagio interiore di fondo – “mi permetto rispettosamente di suggerire”, dice Nancy, “che non abbiamo affatto bisogno di imparare ad amarci di più. Semmai, abbiamo bisogno di imparare a riconoscere l’incredibile amore che Dio prova verso di noi e l’enorme valore che la nostra vita ha ai suoi occhi”. Perché, nella maggior parte dei casi, davvero basterebbe questa consapevolezza a farci svoltare la giornata. Se davvero riuscissimo a sentire lo straordinario, infinito, misericordioso e giusto amore che Dio prova per ognuna di noi, allora sì che svanirebbero i nostri sensi di inadeguatezza, la nostra autocommiserazione, il continuo confronto con quello che hanno, o fanno, le altre.
Detto brutalmente, nel 90% dei casi, il problema non è che ci amiamo troppo poco: il problema è che ci amiamo troppo. Abbiamo un disperato bisogno di sentirci accolte, apprezzate, felici, realizzate professionalmente, sicure delle nostre scelte – e quando abbiamo l’impressione che queste circostanze non si realizzino, ecco allora che ci immalinconiamo e ci buttiamo giù. Ma allora, sotto sotto, il problema non è che ci amiamo troppo poco: il problema è che ci amiamo così tanto che ci rimaniamo male quando il nostro prossimo (o il nostro cervello) non mostra verso di noi l’alta considerazione che riteniamo che ci spetti. Tendiamo a mettere noi stesse al centro di un piccolo universo di cui siamo noi il primo motore immobile: “in che modo questa scelta cambierà la mia vita? Questo fatto mi renderà felice? Perché tutto questo succede proprio a me? Cosa pensa davvero quella donna di me? Non è giusto, toccava a me stavolta. A nessuno importa delle mie idee. Mio marito ha ferito i miei sentimenti. Ho bisogno di un po’ di spazio per me. Nessuno pensa ai mieibisogni”. E, per carità, magari è tutto vero, e realmente stai ricevendo un trattamento ingiusto. Però, invece di considerarci sempre e comunque il centro del nostro piccolo universo personale, dovremmo ogni tanto provare a porre al centro Colui che lo è davvero. Nancy suggerisce che, per sentirci più realizzate, dovremmo esercitarci a porci Coram Deo, pensare cioè di essere costantemente alla santa presenza del Signore. Se Dio è qui, con me, proprio in questo momento, a carezzarmi con il suo sguardo di infinito amore, che me ne importa di quel chilo di troppo, del capufficio che mi sottostima e della signora che ho visto l’altroieri a Messa con la Vuitton nuova fiammante che io posso solo permettermi di sognare?
Prendere consapevolezza di qual è davvero il nostro posto nel mondo e agli occhi di Dio, davvero aiuta a capire qual è il posto nel mondo di tutte le nostre piccole paturnie quotidiane.
Fonte: Aleteia.org

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