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“Abbiamo 10 anni per salvare la Terra” (dicevamo nel 1989)

E ora Greta Thunberg ha detto che fra 11 anni finirà la nostra civiltà. È l’ultimo degli “avvisi catastrofisti”. Qualche dato oltre gli slogan.

Adesso che Greta Thunberg – l’attivista svedese di 16 che «salverà il mondo» – ha fatto il suo debutto nel mondo delle star al premio Goldene Kamera, con Vanessa Redgrave, Conchita Wurst e tanti altri vip, per informarci che «siamo a circa 11 anni di distanza dallo scatenare una reazione irreversibile che porterà probabilmente alla fine della nostra civiltà» , forse è il caso di spendere qualche parola sulle prove scientifiche che “incolpano” gli uomini di causare i cambiamenti climatici.

L’ambientalismo dogmatico

Lo abbiamo già scritto e lo ripetiamo: non abbiamo nulla contro l’impegno di una giovane nel portare avanti la causa in cui crede. Resta il fatto che, oltre a sembrarci balzano “scioperare” da scuola per il clima (casomai serve più studio, non meno), è necessario anche capire di cosa si tratta, di cosa si parla, quali sono i dati di partenza alla base del ragionamento. Da premesse sbagliate discendono conclusioni errate, è inevitabile. È quel che spesso accade nell’ambientalismo dogmatico, ormai una vera e propria “religione globale” coi suoi adepti e corifei, anche inconsapevoli.

«Non sappiamo cosa succederà»

Franco Prodi, fratello di Romano, climatologo di fama internazionale ed ex direttore dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr, ha già spiegato in maniera pacata all’Huffington Post cosa non torni nelle numerose prese di posizione apodittiche degli ultrà ambientalisti: «Attribuire sicuramente il riscaldamento globale alle emissioni della sola Co2 è scientificamente quantomeno avventato».
Prodi, che si autodefinisce «né catastrofista né negazionista», invita alla cautela:

«Andrebbe chiarito nell’ambiente scolastico che le parole ambiente, clima e meteorologia vanno ben individuate nel loro ambito. La mia convinzione è che la conoscenza scientifica del sistema clima è ancora molto incompleta, e non è in condizione di consentirci di fare quelle previsioni che oggi ci vengono proposte come tali ma che in realtà sono solo degli scenari. Quando diciamo che alla fine del secolo la temperatura globale del pianeta a due metri dal suolo sarà aumentata tra 1,5 e 7 o 8 gradi vuol dire che non sappiamo cosa succederà. Ci sono diversi modelli, sempre più affinati ma sempre incompleti, e che ci danno risposte diverse».

La sfida della comprensione

Bisogna tenere conto di diversi fattori, dice il maggior esperto italiano che, en passant, fa anche notare che non bastano i dati forniti dall’Ipcc (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, l’organismo Onu che nel 2007 con Al Gore fu insignito del Nobel per la Pace):

«Serve un invito a capire veramente qual è la natura del problema. E siccome parliamo di studenti, dalla scuola e poi dall’università e dalla ricerca deve iniziare la comprensione della sfida autentica di questo secolo: una conoscenza del clima che ci consenta una previsione e soprattutto una quantificazione dell’effetto antropico, che c’è senz’altro ma deve anche essere inquadrato nell’evoluzione naturale del clima».

Due anni per salvare il mondo

Capire, ecco, questo è il punto. Un articolo che, da questo punto di vista, può essere utile è stato pubblicato oggi sulla Verità, a firma di Umberto Tirelli (“Nel 2007 c’erano solo 2 anni per salvare il mondo”), che esordisce con un dato di fatto: «Dal 1850 ad oggi la temperatura media del nostro pianeta è aumentata di circa 0,8-1° gradi». Il problema è: quale causa ha provocato tale innalzamento? Normale origine naturale o antropica? Gli esperti si dividono, ma, come nota Tirelli, «negli ultimi decenni i mass media si sono molto occupati dei problemi relativi ai cambiamenti climatici dando risalto prevalentemente alle opinioni dei catastrofisti:

«Nel 1989 La Repubblica titolò: “Dieci anni per salvare la Terra”. Nel 2007 sempre La Repubblica: “Ambiente, due anni per salvare il mondo”».

0,0038 per cento

È in base anche a questi allarmi che nel 1997 è stato sottoscritto il protocollo di Kyoto, un documento che impegna i paesi che lo firmano a rispettare delle quote di immissione di Co2 nell’aria in modo da farle calare del 5 per cento rispetto ai livelli del 1990.

Scrive Tirelli:

«In quell’anno (il 1990, ndr) la Co2 presente in atmosfera era di circa 2.900 Gt (miliardi di tonnellate), altrettanti ve ne erano sullo strato superficiale dell’oceano. La Co2 emessa dall’uomo era di 22,3 Gt, quindi l’incidenza delle emissioni antropiche era dello 0,76 per cento. Pertanto la riduzione proposta sulla quantità globale di Co2 (per salvare il mondo) è dello 0,038 per cento».

La non estinzione degli orsi polari

Che la campagna ambientalista si fondi più su reazioni emotive che altro? Più su immagini shock che dati reali? Il dubbio è lecito. Citando un articolo del docente al Mit Richard Lindzen, Tirelli fa notare che

«agli ambientalisti piace toccare corde più sentimentali, mostrando immagini di orsi polari in affanno su ghiacci che, ci viene detto, sono sempre più ridotti. Quello che non ci viene detto è che oggi si stima che vi siano 22.000 orsi bianchi rispetto ai 5.000 del 1940».

 

Fonte: Tempi.it

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