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Marocco. «Il coraggio dell’incontro tra il Papa e il mio re»

Luna El Maataoui, italo-marocchina e musulmana, protagonista della mostra sulle “Nuove generazioni”, commenta la visita di Francesco a Rabat. Nel Pontefice vede «la smisurata fiducia nella cultura dell’incontro», della quale, anche lei, si sente un frutto.

«Un viaggio tanto breve quanto straordinario. L’ho seguito a distanza dall’Italia, ma mi sono sentita chiamata in causa personalmente. Come italo-marocchina, come musulmana, come giovane. È stata una piccola grande lezione di convivenza». Luna El Maataoui studia Scienze giuridiche all’Università di Milano Bicocca, vive in Italia da quando aveva poche settimane, si sente erede di due culture, è una delle protagoniste della mostra sulle “Nuove generazioni” che migliaia di persone hanno conosciuto in tutta Italia dopo la presentazione al Meeting di Rimini 2017. Ha letto tutti i discorsi pronunciati da Papa Francesco in Marocco, ha ascoltato le parole del “suo” re, Mohammed VI, si è commossa vedendoli fianco a fianco e leggendo che 130mila persone – in gran parte musulmane, i cristiani in Marocco sono 25mila – hanno seguito sui maxischermi allestiti nelle strade di Rabat l’incontro tra i due. Ed è orgogliosa di un Paese dove le minoranze religiose possono vivere dignitosamente.

«Il re ha sottolineato che l’estremismo religioso si fonda sull’ignoranza dell’altro, sulla non conoscenza. Lui è discendente del profeta Mohammed e viene considerato il “comandante dei credenti”, perciò le sue parole pesano. Avere invitato il capo dei cattolici è una scelta che certamente gli costa l’ostilità di chi coltiva una visione chiusa e autoreferenziale dell’islam. Insomma, ci ha messo la faccia. E credo che anche Papa Francesco stia facendo i conti con varie ostilità all’interno della Chiesa. Non solo per la questione dei migranti, ma per questa sua smisurata fiducia nei frutti che porta la cultura dell’incontro. Non è una strada facile, ci vuole coraggio: lui ha detto che “il coraggio dell’incontro e della mano tesa sono una via di pace e di armonia per l’umanità, là dove l’estremismo e l’odio sono fattori di divisione e distruzione”. Personalmente mi reputo un frutto di questa cultura: nella mia giovane vita ho incontrato tanti cristiani con cui ho condiviso la passione per l’umano e da loro ho imparato quanto è bello conoscere “l’altro”, stare con lui senza avere la pretesa di “conquistarlo”, di renderlo come te. Così si diventa testimoni reciprocamente di ciò che si ha di più caro. E io – anche se a qualcuno può sembrare paradossale – dopo avere conosciuto giovani che vanno a messa ogni giorno e vivono il cristianesimo come qualcosa che rende migliore la vita, ho riscoperto il valore della preghiera e una fede islamica che rischiava di restare paralizzata dentro uno schema, di venire ridotta a una serie di regole a cui sottostare».

Dal cambiamento del cuore può nascere un cambiamento della società. Dopo la firma ad Abu Dhabi del Documento sulla fratellanza umana, a Rabat il re Mohammed VI e il Papa hanno lanciato un appello per preservare Gerusalemme come luogo e patrimonio comune dell’umanità, tesoro condiviso delle tre religioni monoteiste e non terreno di contesa. Per Luna «è una conferma che una autentica esperienza religiosa produce frutti di bene, che considerarsi figli di Dio e fratelli è il vero antidoto al virus della violenza e all’uso strumentale della religione. Non basta la tolleranza, ci vuole un interesse reale per l’altro, vedere in lui qualcosa che può mettermi in discussione, far nascere domande nuove su di me. Così possiamo diventare costruttori di una nuova identità, di una identità arricchita. È quello che, nel mio piccolo, sta capitando a me».

Fonte: Giorgio Paolucci | Clonline.org

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