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Perché le elites odiano la famiglia?

La violenta, irrazionale, unanime levata di scudi contro il World Family Forum è stata davvero inspiegabile. Si può non condividere una manifestazione, ma basta non andarci. È facile. A me non è mai venuto in mente di farmi venire una crisi isterica per i gay pride, e neanche perché la presidente della Camera, un ministro o un senatore donna gli accordassero la loro compiacente benedizione.

L’Unar, organo della presidenza del consiglio dei ministri, finanziava dei circoli dove si facevano festini a base di sesso (che sia omosessuale o etero non cambia la sostanza, in questo caso), e per lungo tempo, fino a che la cosa non è stata tirata fuori dalle Iene, nessuno ha avuto niente da dire, però se il logo della Presidenza del Consiglio compare sulla locandina di Verona apriti cielo. Addirittura un convegno in cui si parla di famiglia, che schifo! Visto che in Italia le culle sono vuote, le scuole chiudono e ci stiamo estinguendo, magari proviamo a sentire che ha da dire il convegno, o ci affidiamo alla ricetta di Emma Bonino? Vogliamo ascoltare il ministro ungherese che ha risollevato la natalità nel suo paese, o per principio è inascoltabile? (Gli ungheresi hanno la lebbra?) Magari la loro ricetta è sbagliata, ma ascoltare potrebbe anche avere un senso, visto che ha funzionato.

E tutto ciò prima ancora che i relatori abbiano potuto dire una sola parola. Questo odio delle elites per la famiglia è davvero inspiegabile e anche poco lungimirante (l’estinzione non è una bella notizia per nessuno). Da tempo, prima dell’inizio del convegno (quasi) tutti i mezzi di comunicazione come un sol uomo hanno cominciato unanimi a gridare allo scandalo, ma senza circostanziare le accuse. Alcune poi erano false, e sono state oggetto di querela da parte degli organizzatori. Altre erano semplicemente balle, come quella Cirinnà che in tv ha detto che sarebbe stato scandaloso che si permettesse di parlare a una come me che ha scritto Sposati e sii sottomessa, senza sapere che io non sono relatrice al Forum, e ovviamente senza minimamente immaginare neppure cosa significhi la parola sottomessa nel linguaggio paolino, che è il modo in cui io l’ho usata (un testo senza contesto è un pretesto, cit.). Ma mi rendo conto che è una pretesa esagerata aspettarsi che uno prima di commentare un libro lo legga addirittura. (Anche Calenda parla di spose sottomesse a Verona, vi prego, non lo deludete, venite tutte col capo chino, al guinzaglio del marito, col grembiule da cucina addosso, un mestolo, le ciabatte). Rimane il fatto che una donna che ha studiato legge, dopo avere esibito il cartello “Dio patria famiglia che vita de m…” (ma non è vilipendio?) si permette di dire che qualcuno, che peraltro non ha offeso nessuno, non può intervenire in qualche contesto pubblico.

Non sto scrivendo solo per me, che infatti non parlerò al convegno, ma per tutti i relatori i quali non hanno commesso reati, che io sappia, e che esprimeranno semplicemente delle opinioni, più o meno condivisibili. Magari cretine, non lo so, non è escluso, ma se togliessimo la parola a tutti i cretini il mondo sarebbe un luogo molto, molto silenzioso. Di solito nel mondo civile si fanno convegni, chi è interessato va, chi non lo è non va. Se uno dice cose intelligenti qualcuno applaude, sennò prende delle critiche. Questo nel mondo normale, dove si può sostenere di tutto, anche che la terra è piatta, mentre nel mondo delle elites se solo si parla di famiglia apriti cielo.

Poiché non si riesce a entrare nel merito – spiegando esattamente perché mai certe opinioni non dovrebbero essere espresse e sarebbero così scandalose – allora si passa al piano B, urlando accuse a caso come “medievali”, che è sempre meglio che “grasse” ma “più che un’offesa è una dichiarazione di analfabetismo”, come ha detto Franco Cardini, aggiungendo fuffa a caso tipo “nel Medioevo si bruciavano le streghe” (casomai nel rinascimento e dopo la riforma protestante – esistono anche crimini non commessi prevalentemente da cattolici, incredibile – , ma non è che stai a guardare quei duecento anni in più o in meno; io comunque i miei amici Jacopo e Filippo a bruciare streghe non ce li vedo tantissimo).

Sono uscite dal cilindro altre fantasmagoriche accuse a caso, tipo che la gente del convegno vuole che le donne siano costrette a stare a casa, quando tutte le statistiche dicono che più le donne sono colte e occupate, più fanno figli, e quasi tutte le donne madri numerose che conosco hanno almeno una laurea, fanno lavori importanti oppure hanno scelto liberamente e orgogliosamente di stare a casa, se se lo sono potute permettere. Niente di più lontano dagli sfigati che dice Di Maio: gli sfigati sono quelli che si sono lasciati confondere dall’illusione della realizzazione personale e hanno rinunciato alla figata più grande di tutte, fare figli, o al massimo si sono accontentati di uno solo (ho in mente una carrellata di donne – perché soprattutto le donne poi ne soffrono, che lo ammettano o meno – davvero fregate dalla balla di un sogno da inseguire, e poi spesso davvero un sogno poverino e da quattro soldi, letteralmente, per ritrovarsi a 40 anni completamente prive delle coordinate della realtà). Non mi riferisco a chi invece i figli non riesce ad averli, perché quello che conta è avere messo la propria vita in gioco, essersi resi disponibili ad accogliere, e non avere immolato tutto a inseguire delle cretinate.

Tra l’altre tutte le mamme numerose e superglamour che mi stanno venendo in mente adesso, non mi paiono esattamente sfigatissime, come di Agnés Marion, antagonista di Macron, mamma di sei, bella e super intelligente. Più che a loro comunque io penso alle “mie” mamme glamour, quelle non famose ma di riferimento per me, ai lavori che fanno (in casa e/o fuori) tenendo in piedi delle vite da capolavoro, perché la maternità è un master, ti insegna a fare le cose meglio e con meno della metà del tempo delle altre: ci sono segreti che chi non è andata in conferenza stampa dopo essersi tirata il latte e aver pulito vomiti fino all’alba, lanciando figli all’asilo e correndo a 4’30” a km sui tacchi per arrivare prima del ministro e finire prima dell’inizio della recita dell’asilo non può neanche immaginare.

Sono stata a lungo indecisa se andare o no a Verona, dove ho preferito non essere fra i relatori proprio perché, pur essendo un evento di respiro mondiale, e non il primo, la presenza di alcuni politici italiani mi sembrava richiedere un endorsement che io non voglio fare: secondo me un giornalista, soprattutto del servizio pubblico, non dovrebbe. Si possono avere opinioni – le mie sulla famiglia, la vita, le unioni civili sono abbastanza chiare, credo – ma sul come poi queste vengano declinate politicamente un giornalista serio deve tenere riservate le proprie idee. Ancora più mi preme il mio ruolo di passare parola sulle verità della Chiesa sull’uomo e sulla donna, e anche se qualche vescovo questo diritto se lo arroga, io penso che chi annuncia la Verità non possa dare indicazioni partitiche – ma solo generali, sui grandi temi di riferimento – per non allontanare chi ha un’altra sensibilità. La Chiesa deve dire ai credenti cosa è la vita, chi è l’uomo, dove puntare il mirino della nostra vita, ma sulle scelte ognuno si misura con il magistero e la propria coscienza.

Per quanto mi riguarda andare alla Marcia di Verona – sì, andrò a marciare ma non sarò fra i relatori – non è un endorsement al governo, ma è esattamente il contrario, cioè dire a chi sarà lì: guardate che per quanto mi riguarda il mio voto lo avrete se, al di là dei proclami, farete qualcosa per la famiglia, ma qualcosa di concreto, come abbassare drasticamente le tasse a chi ha figli fino a portarle a zero a chi ne ha molti. Come ripristinare i fondi per i disabili. Come fare le leggi che diano obbligatoriamente il part time alle donne che lo vogliono. Come combattere l’utero in affitto e impedire che le anagrafi dicano bugie dichiarando padri o madri persone che non lo sono. Andare a marciare significa fare lobbying in modo trasparente e onesto, dire a chi ci governerà – che sia questo governo o il prossimo – che esiste un popolo che chiede cose di buon senso, e che non è rappresentato. Le elites non sanno niente delle esigenze reali, e infatti parlano di donne costrette a stare a casa da fantomatici maschi cattivi, quando le statistiche dicono che sono infinitamente di più le donne che vorrebbero più figli, più tempo per i figli, o almeno per un più ragionevole life work balance, come si dice (che in soldoni è: non rischiare l’embolo ogni volta che c’è una ricerca di gruppo a casa tua e un interminabile appuntamento di lavoro, e poi tra te e il letto una lavatrice e una lavastoviglie e sei ciotole di pop corn lasciate dai giovani ricercatori).

Andare alla marcia dunque non è assolutamente firmare un assegno in bianco né a questo governo né a nessun partito, ma rappresentare la realtà, le famiglie che faticano a tenere insieme i tempi, a far bastare i soldi e che pagano tasse proprio come chi invece i soldi li usa per fare shopping, che non sono aiutate in nessun modo dallo Stato, neppure per pagare l’apparecchio per i denti, il corso di inglese, i musei: questo per me è andare a Verona e partecipare a tutte le occasioni in cui si scende in piazza – marcia per la vita, family day, sentinelle in piedi, e poi anche sit in per Asia Bibi, Charlie, Alfie, chiunque organizzi– secondo il principio per cui chi non è contro di noi è per noi. Che tutti quelli che hanno a cuore la vita e la famiglia, il luogo dove la vita nasce, si uniscano, e chiedano spiegazioni ai preti che dicono che la marcia delle famiglie “è una vergogna”, alla rete antirazzista per l’accoglienza che ha raccomandato agli albergatori di non accogliere i partecipanti, ai docenti universitari che hanno raccolto firme contro delle persone prima ancora che parlassero (come fecero anche alla Sapienza di Roma nel 2008 impedendo a Benedetto XVI di parlare).

Io penso che i cristiani non debbano pretendere di essere egemonici (ormai un pensiero velleitario, surreale, direi) ma che non possano certo neanche smettere di essere lievito, e di far fermentare la pasta: non faremmo il lievito se ci limitassimo a vivere nelle nostre case, nei nostri condomini, senza uscire fuori a testimoniare. Non importa se il clero sarà poco rappresentato, è giusto così, ai preti non è chiesto di marciare, ma a noi laici sì, è chiesto di agire sia con la testimonianza silenziosa che con la presenza incisiva, agendo per la nostra conversione personale e silenziosa del cuore, ma nel frattempo chiedendo misure concrete per l’economia e anche culturali – le leggi fanno mentalità.

Il male è sempre negli occhi di chi lo vede, io non lo vedo in questa marcia di amici che non accusano nessuno, ma chiedono misure di sostegno alla vita. Di certo non è uno spot elettorale, perché al prossimo voto manca tempo, e le famiglie non si faranno bastare le chiacchiere.

Fonte: BlogCostanzaMiriano.it

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